Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5655 del 02/03/2021

Cassazione civile sez. I, 02/03/2021, (ud. 08/09/2020, dep. 02/03/2021), n.5655

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 19024/2016 proposto da:

D.C., titolare dell’impresa individuale “Farmacia La

favorita di D.C.”, elettivamente domiciliata presso

l’Avv. Massimo Brunetti, in Roma, via Pico della Mirandola, n. 56/h,

rappresentata e difesa dagli Avv.ti Massimo Brunetti, e Renato

D’Isa, nonchè, giusta procura a margine della comparsa di

costituzione di nuovo difensore, dall’Avv. Prof. Carlo Di Nanni, del

Foro di Napoli.

– ricorrente –

contro

Fallimento D.C., nella persona dei curatori, Avv. Prof.

C.V.M., e Dott. Prof. D’.Ma., rappresentati

e difesi in virtù di autorizzazione del G.D. e di procura in calce,

dall’Avv. Nicola Rascio, con il quale elettivamente domiciliano in

Roma alla via Boccioni, n. 4, presso lo studio dell’Avv. prof.

Antonino Smiroldo.

– controricorrente –

e nei confronti di:

Cefarm S.r.l., in liquidazione, nella persona di liquidatori pro

tempore, con sede in (OMISSIS).

– intimata –

avverso la sentenza della Corte di appello di NAPOLI n. 107/2016 del

4 luglio 2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

08/09/2020 dal Consigliere Dott. Lunella Caradonna.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

1. Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Napoli ha respinto il reclamo proposto, ai sensi della L. Fall., art. 18, da D.C., titolare della farmacia La Favorita di Ercolano, avverso la sentenza dichiarativa del suo fallimento, emessa il 4 luglio 2016 dal Tribunale di Napoli dopo aver ritenuto, con decreto in pari data, improcedibile (recte: inammissibile) la proposta di concordato preventivo depositata dall’imprenditrice il 25 novembre 2015.

La Corte di merito, premesso che l’impugnazione era rivolta unicamente contro il decreto, ha rilevato che: a) il tribunale non era tenuto a motivare le ragioni della mancata concessione di un nuovo termine a difesa all’udienza fissata ai sensi della L. Fall., art. 162, comma 1 e che, in ogni caso, la decisione era giustificata dal lasso di tempo, superiore a 15 giorni, trascorso tra la data di comunicazione del decreto che rilevava le criticità della proposta e l’udienza, tenutasi il 9 marzo 2016; b) la documentazione e l’attestazione che accompagnavano la proposta non erano idonee a fornire un quadro completo ed attendibile della situazione debitoria e dunque della fattibilità del concordato, in quanto l’elenco nominativo di cui alla L. Fall., art. 161, non recava l’indicazione di crediti in contestazione pari ad Euro 893.000,00 (poi ammessi al passivo per il minore importo di Euro 720.000,00) in relazione ai quali i creditori, eredi Giudizioso, avevano già ottenuto un sequestro conservativo; c) i crediti in questione erano stati pretermessi anche nella relazione redatta dall’attestatore, che aveva affermato solamente che gli stessi non erano stati accertati giudizialmente e che il sequestro non era stato eseguito; d) inoltre,il curatore aveva correttamente rilevato che c’erano altre carenze informative fra cui quella concernente il valore dell’azienda, stimato in Euro 680.000,00 in base ad una proposta d’acquisto di un terzo che, benchè dichiarata irrevocabile, non era assistita da alcuna garanzia ed era priva dell’indicazione del termine di efficacia.

2. La sentenza, pubblicata il 4 luglio 2016, è stata impugnata da D.C. con ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, cui la Curatela fallimentare ha resistito con controricorso.

3. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione della L. Fall., art. 162, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Deduce che la corte di appello ha valutato erroneamente i requisiti minimi di ammissibilità previsti per la sola apertura della procedura, avendo da un lato riconosciuto che il credito degli eredi Giudizioso era stato evidenziato nel piano e nell’attestazione ed affermato che il debitore può non dare valore e non prevedere il pagamento di crediti che ritiene insussistenti e, dall’altro, dichiarato inammissibile il concordato senza motivare sull’inidoneità del piano ad assicurare il soddisfacimento dei crediti nella misura e con le modalità indicate e senza consentire ai creditori di potere esprimere il loro voto in ordine alla proposta; lamenta, inoltre, la mancata concessione del termine richiesto a fronte della ritenuta criticità della proposta.

3. Con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione della L. Fall., art. 160, commi 1 e 2, art. 161 e art. 162, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè la Corte di appello ha erroneamente ritenuto che la mancata inclusione di un credito in contestazione nel piano dei pagamenti previsti dal concordato costituisca causa di inammissibilità della proposta (anche tenuto conto delle previsioni contenute nella L. Fall., artt. 178 e 180, per i creditori esclusi); aggiunge che il credito degli eredi Giudizioso è stato ammesso allo stato passivo del Fallimento dal G.D., contro il parere del Commissario giudiziale e del curatore, con decreto non definitivo, perchè impugnato da altri creditori.

4. Con il terzo motivo la ricorrente deduce ulteriore violazione della L. Fall., artt. 160,161 e 162, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè la Corte di appello non ha tenuto conto che la procedura di concordato preventivo non coinvolge i debiti personali dell’imprenditore e che pertanto il debito verso gli eredi Giudizioso, sorto al di fuori dell’esercizio dell’impresa, non andava incluso fra quelli concorsuali.

5. Con il quarto motivo la ricorrente deduce l’omesso esame del fatto decisivo costituito dall’inesistenza del credito degli eredi Giudizioso, affermata dall’attestatore e ritenuta sia dal C.G., nella propria relazione del 9 marzo 2016, sia dal curatore nel proprio progetto di stato passivo.

6. Con il quinto motivo la ricorrente deduce l’omesso esame, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, della documentazione allegata al piano concordatario e della relazione di attestazione, nella quale il valore dell’azienda era stato stimato in base al patrimonio della farmacia e, quindi, indipendentemente dalla proposta di acquisto del terzo; assume inoltre che, in ogni caso, indipendentemente dalla proposta, era applicabile alla fattispecie la L. Fall., art. 163 bis, comma 1, come novellato dal D.L. n. 83 del 2015, convertito con modificazioni dalla L. n. 132 del 2016 e che pertanto l’offerta fatta dal terzo per l’acquisto della farmacia rappresentava un punto di partenza ai fini della determinazione del valore dell’azienda, migliorabile nell’ambito di una procedura competitiva tra liberi concorrenti.

7. Va, in primo luogo, per ragioni di ordine logico, esaminato il terzo motivo di ricorso, che deve essere respinto.

Infatti, anche a voler escludere l’inammissibilità della censura (che si fonda sull’assunto, del tutto indimostrato, che il debito della D. verso gli eredi Giudizioso abbia natura personale, e sia dunque estraneo all’esercizio dell’impresa di cui la ricorrente è titolare), ed a ritenere pertanto provato tale assunto, troverebbe applicazione nella specie il principio più volte affermato da questa Corte, secondo cui “ai fini della sussistenza del presupposto dell’insolvenza, l’ordinamento italiano non distingue tra i debiti di un imprenditore individuale, in ragione della natura civile o commerciale di essi, in quanto non consente limitazioni della garanzia patrimoniale in funzione della causa sottesa alle obbligazioni contratte, tutte ugualmente rilevanti sotto il profilo dell’esposizione del debitore al fallimento e che solo nell’ipotesi di alterità soggettiva (ad esempio, in caso di impresa gestita tramite una società di capitale unipersonale) può essere introdotto un criterio diverso di imputazione dei rapporti obbligatori, in base al principio dell’autonomia patrimoniale perfetta” (Cass., 18 gennaio 2019, n. 1466; Cass. 4 giugno 2012, n. 8930).

L’unicità del patrimonio dell’imprenditore individuale, quindi, non consente una distinzione fra i debiti dell’impresa e i debiti personali.

8. Il primo e il secondo motivo, che sono fra loro connessi e possono essere esaminati congiuntamente, sono in buona parte inammissibili e per il resto infondati.

La Corte di appello ha accertato: che i crediti, dell’importo nominale di non meno di Euro 893.000,00, a tutela dei quali gli eredi Giudizioso avevano già ottenuto il sequestro conservativo con ordinanza del Tribunale di Napoli del 3 giugno 2014, non erano indicati nè nell’elenco nominativo nè nella relazione patrimoniale aggiornata che il proponente il concordato è tenuto a depositare ai sensi della L. Fall., art. 161, comma 2, lett. a) b), ancorchè tali documenti debbano certamente dare conto anche dei crediti in contestazione, salva la facoltà del debitore di indicare le ragioni per le quali ritiene di non essere tenuto al loro pagamento; che nella relazione di attestazione la pretermissione di tali crediti da parte della debitrice non era stata evidenziata, se non in forme alquanto anodine, ed era stata giustificata coi semplici e palesemente insufficienti rilievi che il sequestro conservativo della farmacia non era stato eseguito e non era più eseguibile e che mancava una pronuncia giudiziale definitiva di loro accertamento; che la stessa D. aveva sostanzialmente finito per riconoscere le rilevate carenze informative, idonee a pregiudicare la formazione del consenso informato dei creditori, allorchè, per la prima volta in sede di reclamo, aveva dedotto di non aver tenuto conto dei crediti in questione in quanto fondati su contratti nulli per violazione della L. n. 475 del 1968, artt. 11 e 12 e non inerenti all’attività imprenditoriale da lei esercitata.

Tale complessiva ratio decidendi non forma oggetto specifico delle censure in esame, che muovono da una lettura parziale e sostanzialmente travisata della decisione, imputando alla corte d’appello di essersi contraddetta, laddove è ben chiaro che il giudice del merito, dopo aver accertato in fatto che i crediti degli eredi Giudizioso non erano stati esposti e dopo aver rilevato che le ragioni indicate dall’attestatore erano palesemente inidonee a giustificare la loro pretermissione, ha evidenziato come, ai fini della corretta informazione dei creditori, la proposta di concordato dovesse necessariamente darne conto, ancorchè si trattasse di crediti in contestazione: nessuna contraddizione, rispetto a tale premessa, può ravvisarsi nel successivo rilievo (di diritto, e volto unicamente a precisare in quali esatti termini la proposta avrebbe dovuto essere formulata) secondo cui il proponente, una volta che abbia assolto al proprio dovere di informazione, può anche attribuire ai crediti in contestazione un valore pari a zero e non prevederne il pagamento, allegando, tuttavia, (sempre al fine di consentire ai creditori di valutare l’idoneità del piano al raggiungimento degli scopi fissati) i motivi per i quali ritiene che il contenzioso debba risolversi in senso a sè favorevole.

Quanto all’ulteriore doglianza concernente la mancata concessione del termine di cui alla L. Fall., art. 162, comma 1, è sufficiente rilevare che la disposizione in esame attribuisce al giudice un potere discrezionale, il cui omesso esercizio non necessita di motivazione e non è censurabile in sede di legittimità (Cass. nn. 11882/020, 21901/2013). Ciò a prescindere dalla circostanza, pure rilevante, che nel caso in esame la debitrice aveva comunque usufruito del lasso di tempo, superiore a 15 giorni, intercorso tra la data di comunicazione del decreto che rilevava le criticità della proposta e quella del 9 marzo 2016 fissata per l’udienza di comparizione, durante il quale ben avrebbe potuto provvedere alle dovute integrazioni.

9. Il quarto motivo è inammissibile, non essendo devoluto al giudice dinanzi al quale si discute dell’ammissibilità del concordato di accertare se i crediti in contestazione siano effettivamente sussistenti, ma unicamente di verificare, per l’appunto, se ricorrano i requisiti di ammissibilità della proposta, fra i quali certamente rientra la corretta ed esaustiva informazione dei creditori.

10. Al rigetto dei motivi che investono la prima delle due distinte rationes decidendi sulle quali si fonda la sentenza impugnata consegue l’inammissibilità del quinto motivo, che investe la seconda ratio, stante il difetto di interesse della ricorrente a sentir pronunciare su una censura che, quand’anche fondata, non potrebbe comportare la cassazione della pronuncia.

11. Per le ragioni di cui sopra, il ricorso deve essere rigettato e la ricorrente va condannata al pagamento delle spese processuali, sostenute dal Fallimento controricorrente e liquidate come in dispositivo, nonchè al pagamento dell’ulteriore importo, previsto per legge e pure indicato in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore del Fallimento controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.100,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, se dovuto, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 8 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 marzo 2021

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