Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5645 del 09/03/2010

Cassazione civile sez. lav., 09/03/2010, (ud. 21/12/2009, dep. 09/03/2010), n.5645

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAVAGNANI Erminio – Presidente –

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio – rel. Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

T.V., elettivamente domiciliato in ROMA,

CIRCONVALLAZIONE NOMENTANA 312, presso lo studio dell’avvocato

MICHENZI ALESSANDRO, rappresentato e difeso dall’avvocato PITINGOLO

DOMENICO, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DELLA FREZZA N. 17, presso l’AVVOCATURA

CENTRALE DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli Avvocati FABIANI

GIUSEPPE, PATRIZIA TADRIS, EMANUELE DE ROSE, giusta mandato speciale

in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1983/2007 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO

del 27/09/07, depositata il 22/11/2007; è presente il P.G. in

persona del Dott. CARLO DESTRO.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di appello di Catanzaro, con sentenza depositata il 22 novembre 2007, confermava la decisione con la quale il Tribunale di Crotone aveva rigettato la domanda proposta da T.V. nei confronti dell’INPS, per l’accertamento negativo del credito di L. 32.310.989 fatto valere dall’Istituto sul presupposto dell’indebita erogazione del trattamento di cigs nel periodo dal 29 aprile 1993 al 28 ottobre 1995, ed aveva, invece, accolto la riconvenzionale spiegata dall’ente per la condanna dell’attore alla restituzione di quella somma.

Nel disattendere l’impugnazione del soccombente, il giudice del gravame osservava come l’appellante non aveva diritto, per l’attività di lavoro autonomo svolta durante il periodo di integrazione salariale, al relativo trattamento per le giornate di lavoro effettuato, in applicazione della disposizione dettata dal D.L. 21 marzo 1988, n. 86, art. 8, commi 4 e 5, conv. nella L. 20 maggio 1988, n. 160; irrilevante era la comunicazione inviata dal lavoratore all’Istituto il 1^ marzo 1993 circa lo svolgimento del lavoro autonomo.

La cassazione di questa sentenza è stata richiesta dal T. con ricorso basato su un motivo.

L’NPS ha resistito con controricorso.

Trattandosi di ricorso avverso una sentenza pubblicata dopo il 2 marzo 2006 (data dalla quale si applicano le modifiche al processo di cassazione introdotte dal D.Lgs. 2 febbraio 2006 n. 40), ed essendosi ravvisate le condizioni per la decisione con il procedimento previsto dall’art. 380 bis cod. proc. civ., è stata redatta la relazione ai sensi di tale norma, poi ritualmente notificata alle parti e comunicata al Procuratore Generale.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

L’unico motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione del D.L. 21 marzo 1988, n. 86, art. 8, commi 4 e 5, conv. nella L. 20 maggio 1988, n. 160, e deduce che la comunicazione inviata nel marzo 1993 dal T., con cui lo stesso “chiede(va) all’INPS la possibilità di mantenere l’iscrizione alla Camera di Commercio, essendo titolare di una piccola attività commerciale” era doverosa prima dell’inizio dell’attività stessa e “va configurata sotto l’aspetto della preventività della comunicazione, nel senso di tempestività della stessa che escluda ogni possibile profilo di intento doloso o fraudolento del lavoratore”. Prima di tale rideduzione si sottolinea in ricorso che “l’intento del T. sia stato quello di evitare di fruire contemporaneamente del trattamento di mobilità corrisposto dall’Istituto con l’attività di lavoratore autonomo, eludendo il T. ogni potenziale comportamento fraudolento”.

Al termine del motivo è enunciato il quesito di diritto ove si chiede a questa Corte di affermare la doverosità della comunicazione prima del collocamento in cassa integrazione e se tale comunicazione debba essere intesa nel senso di escludere ogni possibile comportamento fraudolento del lavoratore.

Il ricorso è inammissibile.

Nella relazione ex art. 380 bis cod. proc. civ., è stato già rilevato che il ricorrente, nel denunciare violazione e falsa applicazione di una norma di diritto, non spiega per quali ragioni la decisione impugnata sia in contrasto con la norma di legge, così come richiede la costante giurisprudenza di questa Corte. Si è infatti affermata l’ammissibilità del ricorso per cassazione anche se non siano indicati gli articoli di legge che si assumono violati, purchè, nel chiedere la cassazione per il motivo di violazione di norma di diritto, il ricorrente indichi per quale aspetto la decisione è in contrasto con una norma di legge ed avrebbe perciò potuto essere diversa, spettando poi alla Corte di verificare la conformità della decisione della questione alla norma che avrebbe dovuto esservi applicata (Cass. sez. unite 17 luglio 2001 n. 9652).

La norma denunciata, che riguarda gli interventi di integrazione salariale straordinaria a carico dell’INPS, stabilisce al comma 4:

“Il lavoratore che svolga attività di lavoro autonomo o subordinato durante il periodo di integrazione salariale non ha diritto al trattamento per le giornate di lavoro effettuate”; ed al comma 5: “Il lavoratore decade dal diritto al trattamento di integrazione salariale nel caso in cui non abbia provveduto a dare preventiva comunicazione alla sede provinciale dell’INPS dello svolgimento della predetta attività”.

Dopo avere richiamato queste disposizioni, la sentenza impugnata ha affermato che per l’incompatibilità, in considerazione della ratio della medesima norma, del trattamento di integrazione salariale con l’attività di lavoro subordinato o autonomo durante il periodo di integrazione, in ogni caso tale trattamento andava sospeso per tutto il periodo in cui il lavoratore aveva continuato a svolgere l’attività, anche se si fosse ritenuto che egli avesse comunicato all’ente previdenziale l’espletamento di un’attività di lavoro autonomo. Ed a fronte di questa statuizione, il ricorrente non spiega quali le affermazioni della sentenza impugnata in contrasto con la norma di legge di cui assume la violazione, limitandosi a sostenere la doverosità della comunicazione inviata all’INPS nel marzo 1993 prima di essere collocato in cassa integrazione, ed anzi aggiunge che il suo intento, nel comunicare all’Istituto lo svolgimento di un’attività commerciale, era quello di evitare di fruire contemporaneamente del trattamento di integrazione salariale, in sostanza concordando con quanto affermato dal giudice di merito con la statuizione innanzi indicata.

Condividendo il Collegio le argomentazioni della relazione ex art. 380 bis cod. proc. civ., a cui il ricorrente non ha replicato, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso.

Non si deve provvedere sulle spese del presente giudizio, ai sensi dell’art. 152 disp. att. cod. proc. civ., nel testo anteriore a quello di cui al D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 42, comma 11, convertito in L. 24 novembre 2003, n. 326, modifica qui non applicabile ratione temporis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 21 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 9 marzo 2010

 

 

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