Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5644 del 09/03/2010

Cassazione civile sez. lav., 09/03/2010, (ud. 18/12/2009, dep. 09/03/2010), n.5644

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

Z.A., elettivamente domiciliato in ROMA, LARGO TRIONFALE

7, presso lo studio dell’avvocato GIANCARLO FIORINI, rappresentato e

difeso dall’avvocato VITIELLO ANGELO, giusta procura speciale a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MANPOWER SPA in persona del suo amministratore delegato e legale

rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

L.G. FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato PATERNO’ FEDERICA,

rappresentata e difesa dall’avvocato ABIGNENTE ANGELO, giusta procura

speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

e contro

F.LLI POLLI SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2488/2008 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

del 4.12.07, depositata l’11/02/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

18/12/2009 dal Consigliere Relatore Dott. GIOVANNI MAMMONE.

E’ presente il P.G. in persona del Dott. MASSIMO FEDELI.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO E DIRITTO

1.- Con ricorso al giudice del lavoro di Prato Z.A. chiedeva fossero dichiarate la nullità del contratto di lavoro interinale stipulato con Manpower s.p.a. e l’instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato a decorrere dal 18.1.99 con F.lli Polli s.p.a., solo formalmente risultante impresa utilizzatrice, con conseguente reintegrazione nel posto di lavoro e pagamento di differenze retributive.

Dichiarata l’inefficacia del rapporto di lavoro interinale per violazione della L. n. 196 del 1997, il Tribunale di Prato dichiarava che tra F.lli Polli spa e Z. era intercorso un rapporto di lavoro a tempo determinato per il periodo 18.1-31.3.99 e condannava detto datore al pagamento di differenze retributive per Euro 52,30 e Manpower spa a tenere lo stesso indenne per la stessa somma.

Proposto appello da tutte le parti, la Corte d’appello di Firenze con sentenza 5.10.04, rilevato che nella specie doveva ritenersi integrata una violazione della disciplina sull’appalto di manodopera ai sensi della L. n. 1369 del 1960 – richiamata dalla L. n. 196 del 1997 – che prevedeva la costituzione in capo all’utilizzatore appaltante di un rapporto a tempo indeterminato, dichiarava che tra Z. e F.lli Polli spa a decorrere dal 18.1.99 era in atto un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con inquadramento del dipendente nel sesto livello del c.c.n.l. industria alimentare, con condanna del datore alle differenze retributive e di Manpower spa alla garanzia.

A seguito di ricorso di Manpower e F.lli Polli, la Corte di cassazione con sentenza 1.2.08 n. 2488 cassava la sentenza di appello e, decidendo nel merito, dichiarava che nel periodo 18.1-31.3.99 era intercorso un rapporto di lavoro subordinato tra F.lli Polli spa e Z. e che le differenze dovute a quest’ultimo ammontavano ad Euro 52,30, oltre interessi e rivalutazione.

In particolare, la Corte affermava che, a proposito dei rapporti tra lavoro interinale e divieto di interposizione di manodopera, per il combinato disposto della L. n. 196 del 1997, art. 10, comma 1, e L. n. 1369 del 1960, art. 1, comma 5, il rapporto di lavoro temporaneo, oggetto del contratto tra lavoratore ed impresa fornitrice, opera per legge tra il lavoratore e l’impresa utilizzatrice e che il rapporto stesso, sorto a tempo determinato, mantiene tale suo carattere anche a seguito della modificazione soggettiva del datore di lavoro.

2.- Di questa ultima sentenza lo Z. chiede la revocazione sotto vari profili.

2.1) Ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 5, – La sentenza impugnata entra in contrasto con la sentenza delle Sezioni unite 21.3.97 n. 2517 che, in merito alla portata applicativa della L. n. 1369 del 1960, art. 1, comma 5, avevano affermato che il rapporto di lavoro che si costituisce in capo al datore di lavoro interponente è da intendersi come un normale rapporto di lavoro a tempo indeterminato, non limitato al periodo di utilizzazione delle prestazioni del lavoratore. Tale sentenza, ai sensi dell’art. 374 c.p.c., avrebbe efficacia di giudicato tra le parti oggi in causa quanto alla portata applicativa della L. n. 1369 del 1960, art. 1, comma 5, atteso che le Sezioni unite operano quale giudice qualificato dell’interpretazione della norma di legge e statuiscono, di conseguenza, non solo per la concreta fattispecie, ma anche per quei casi in cui detta norma di legge sarà applicabile nei giudizi successivi.

Sulla base di questi principi dovrebbe accogliersi una lettura estensiva dell’art. 395 c.p.c., n. 5, e consentire l’impugnazione per revocazione della sentenza della Corte di cassazione per il motivo ivi previsto (contrarietà della sentenza ad altra precedente avente tra le parti autorità di cosa giudicata), dovendosi in caso contrario ritenere non manifestamente infondata la questione di costituzionalità di detto art. 395 c.p.c., n. 5, per violazione degli artt. 3, 24 e 101 della Costituzione, nella parte in cui non prevede l’impugnazione della sentenza di cassazione che abbia deciso la causa nel merito quando, in relazione al principio di diritto enunziato, essa è contraria ad altra precedente delle Sezioni unite intervenuta tra parti diverse.

2.2) Ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c. – La sentenza impugnata sarebbe incorsa in un errore percettivo riguardante l’esame degli atti, non percependo l’esistenza della difforme decisione a Sezioni unite n. 2517 del 1997 e, quindi, si sarebbe sottratta al potere- dovere officioso di reinvestire della questione le Sezioni unite in applicazione del disposto dell’art. 376 c.p.c., u.c..

2.3) Ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c., sotto ulteriore diverso profilo – La sentenza impugnata sarebbe incorsa in un errore percettivo riguardante l’esame degli atti, non percependo l’esistenza della difforme decisione a Sezioni unite n. 2517 del 1997 e, quindi, si sarebbe sottratta al potere-dovere di reinvestire della questione le Sezioni unite in applicazione del disposto dell’art. 374 c.p.c., comma 3, che fa obbligo alla Sezione semplice che non condivide il principio di diritto enunziato dalle Sezioni unite di rimettere a queste ultime la decisione del ricorso.

Al riguardo è proposta questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 27, per violazione degli artt. 3, 24 e 101 Cost., nella parte in cui prevede che il citato D.Lgs., art. 8, che introduce il testo dell’art. 374 c.p.c., comma 3, suddetto – si applichi ai ricorsi per Cassazione proposti avverso le sentenze pubblicate a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto stesso (2.3.06), con esclusione dei ricorsi proposti avverso le sentenze pubblicate in data anteriore.

Si difendeva con controricorso Manpower s.p.a. Non svolgeva difese Polli s.p.a..

Il consigliere relatore redigeva relazione ex art. 380 bis c.p.c., che veniva comunicata al Procuratore generale ed era notificata unitamente al decreto di fissazione dell’odierna adunanza in camera di consiglio ai difensori costituiti. Ha depositato memoria Z..

3.- Il ricorso in esame è inammissibile per due sostanziali rilievi.

Innanzitutto la sentenza n. 2517 del 1997 costituisce un semplice precedente giurisprudenziale e non può costituire “sentenza avente tra le parti autorità di cosa giudicata” ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 5. Per la giurisprudenza di legittimità, infatti, ai fini della sussistenza del motivo revocatorio in esame, una sentenza può considerarsi contraria ad altra precedente quando tra i due giudizi vi sia identità di soggetti e di oggetto “tale che tra le due vicende sussista una ontologica e strutturale concordanza degli estremi sui quali deve essere espresso il secondo giudizio, rispetto agli elementi distintivi della decisione emessa per prima, di modo che la precedente sentenza deve avere ad oggetto il medesimo fatto o un fatto ad esso antitetico, e non anche un fatto costituente un possibile antecedente logico” (sentenze 26.11.87 n. 8787, 23.6.92 n. 7697, 7.10.96 n. 8761 ed altre conformi). Solo in presenza di queste condizioni va riscontrata l’esistenza del contrasto tra le due pronunzie, nel senso che la contrarietà della sentenza impugnata deve essere riferita alla sentenza costituente cosa giudicata non in senso formale, ma in senso concreto e, quindi, in relazione all’oggetto degli accertamenti in essa racchiusi (sentenza 23.6.92 n. 7697).

In ogni caso, deve rilevarsi che la sentenza a Sezioni unite costituisce solo indirettamente precedente rilevante ai fini della decisione della presente controversia.

La sentenza n. 2517 del 1997 intervenne in controversia avente ad oggetto l’impiego di mano d’opera negli appalti concessi dall’azienda autonoma delle Ferrovie dello Stato e per il periodo anteriore alla data di scadenza del regime transitorio previsto dalla L. 17 maggio 1985, n. 210, art. 21, che, nell’istituire l’Ente ferrovie dello Stato, ha privatizzato il rapporto di lavoro dei ferrovieri.

La Corte ritenne che l’assunzione del lavoratore da parte dell’interposto può avvenire anche in un momento notevolmente anteriore a quello dell’effettiva utilizzazione da parte dell’imprenditore interponente ed affermò che l’ipotesi di interposizione nelle prestazioni di lavoro, vietata dalla L. n. 1369 del 1960, art. 1, può realizzarsi anche in una fase successiva alla costituzione del rapporto di lavoro, in relazione a fatti sopravvenuti, traendone la conclusione che l’effetto di detta interposizione, previsto nell’art. 1 citato, comma 5, può verificarsi anche nel corso del rapporto di lavoro, quale conseguenza di una sopravvenienza normativa. Escluse, tuttavia, che la specifica tutela trovasse applicazione nel caso di specie, in quanto la disciplina apprestata in favore dei dipendenti delle imprese appaltatrici dal D.P.R. 22 novembre 1961, n. 1192 (rimasta in vigore fino alla data suddetta), non comprendeva, in caso di interposizione vietata, anche la sanzione prevista dalla L. n. 1369 del 1960, art. 1, comma 5.

Diverso è, invece, il contenuto della sentenza di cui si chiede la revocazione, atteso che essa ritiene che fermo restando il principio generale della insaturazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato in caso di violazione del divieto di intermediazione nella tipologia ordinaria del rapporto di lavoro intercorrente tra soggetto interposto e lavoratore – “la L. n. 1369 del 1960, art. 1, u.c. … non ricollega necessariamente ed inevitabilmente un rapporto di lavoro a tempo indeterminato tra lavoratore e appaltante all’ipotesi di inosservanza del divieto di appalto di manodopera”.

Ritiene, infatti, la sentenza in questione che in una fattispecie concreta in cui il contratto è stipulato a tempo determinato, la presunzione che il contratto di lavoro sia a tempo indeterminato non si applica in presenza di norma di legge che disponga diversamente, come appunto previsto dalla L. n. 196 del 1997, la quale “non commina la nullità dei contratti collegati, ma soltanto la surrogazione di un soggetto ad un altro”.

4.- Non ravvisandosi tecnicamente il precedente “giudicato” ed essendo comunque non sovrapponibili le fattispecie decise dalle due sentenze evidenziate, non è in linea di principio configurabile il vizio revocatorio di cui all’art. 395 c.p.c., comma 5.

Tale rilievo consente di tralasciare l’esame della complessa questione dei limiti di ammissibilità dell’impugnazione delle sentenze della Corte di cassazione per esistenza del detto vizio revocatorio, che, come noto, non è testualmente prevista tra i motivi di revocazione previsti dagli artt. 391 bis e 391 ter c.p.c. e che, tuttavia, è oggetto di alcune importanti pronunzie di questa Corte (Cass. 22.8.06 n. 18234, che l’ammette solo per le sentenze che decidano nel merito, e Cass. S.u., 30.4.08 n. 10867 che l’esclude per le sentenze di mera legittimità).

Irrilevante si presenta, infine, la descritta questione di costituzionalità, In conclusione il ricorso deve essere ritenuto inammissibile.

Le spese del giudizio di revocazione, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza nel rapporto tra Z. e Manpower s.p.a., mentre nulla deve statuirsi al riguardo nel rapporto tra Z. e Polli s.p.a., non avendo quest’ultima svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alle spese in favore di Manpower s.p.a. nella misura di Euro 30,00 per esborsi e di Euro 3.000,00 per onorari, oltre spese generali, Iva e Cpa. Nulla per le spese nei confronti di Polli s.p.a.

Così deciso in Roma, il 18 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 9 marzo 2010

 

 

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