Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5643 del 21/02/2022
Cassazione civile sez. VI, 21/02/2022, (ud. 11/02/2022, dep. 21/02/2022), n.5643
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –
Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –
Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 22960-2020 proposto da:
C.C., rappresentato e difeso dall’avv. Alessandro
Brandoni e domiciliato presso la cancelleria della Corte di
Cassazione;
– ricorrente –
contro
RISTORANTE LOCANDA LA LUNA DI CR.MA.TE. e
F.M.V.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 1665/2019 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,
depositata il 26/11/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del
11/02/2022 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.
Fatto
FATTI DI CAUSA
Con decreto ingiuntivo n. 162/2009 il Tribunale di Ancona ordinava al Ristorante La Luna di Cr.Ma.Te. il pagamento, in favore di C.C., della somma di Euro 4.680 a saldo delle prestazioni di manodopera effettuate dall’impresa ingiungente, in favore della ditta ingiunta, nel marzo del 2007.
L’ingiunto proponeva opposizione avverso detto decreto, lamentando vizi e difetti nella prestazione ricevuta, ed il Tribunale, con sentenza n. 103/2014, resa nella resistenza del C., accoglieva l’opposizione, dichiarando risolto per fatto e colpa della parte opposta il contratto intercorso tra le parti, revocando il decreto opposto e condannando il C. alle spese di lite.
Interponeva appello avverso detta decisione la parte soccombente e la Corte di Appello di Ancona, con la sentenza impugnata, n. 1665/2019, resa nella resistenza della parte appellata, rigettava il gravame, condannando l’appellante alle spese del grado.
Propone ricorso per la cassazione di detta decisione C.C., affidandosi a due motivi.
Le parti intimate non hanno svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, il ricorrente lamenta l’omesso esame del fatto decisivo, rappresentato dal fatto che – a differenza di quanto ritenuto dalla Corte territoriale – sia nelle conclusioni rassegnate in prime cure, sia in comparsa conclusionale, sia in atto di appello, egli aveva insistito per la revoca dell’ordinanza del 18.4.2012, che aveva precluso la prova testimoniale da lui articolata nel corso del giudizio di primo grado. Il ricorrente aveva dedotto, in primo grado, di aver eseguito le opere affidatele in base alle istruzioni ricevute dalla Cr., titolare del Ristorante La Luna, agendo in veste di nudus minister. La Cr., infatti, era stata – secondo la tesi di parte ricorrente – sempre presente sul cantiere ed aveva esercitato una costante ingerenza nelle modalità di esecuzione dei lavori oggetto del contratto tra le parti. Tale tesi era stata ritenuta non dimostrata dal giudice di merito, il quale tuttavia non aveva consentito l’ingresso della prova testimoniai articolata dal C. proprio per documentare il fatto posto alla base della sua difesa. La Corte di Appello, nel rigettare la doglianza relativa alla mancata ammissione della prova in prime cure, ha ritenuto che la doglianza fosse inammissibile, poiché la richiesta di revoca dell’ordinanza di diniego della prova non era stata reiterate nelle conclusioni rassegnate dal C. in prime cure.
In effetti, il ricorrente deduce, nella censura in esame, che la richiesta di revoca della predetta ordinanza del 18.2.2002 (con la quale il Tribunale aveva posto nel nulla la precedente ordinanza del 12.1.2011, con la quale era stata invece ammessa la prova orale articolata dal medesimo C.) era stata ritualmente formulata nelle conclusioni rassegnate in prime cure, riproposta nella comparsa conclusionale depositata in quel grado (cfr. pagg. 8 di tale atto), ed infine trasfusa in apposito motivo di appello (in particolare, il terzo). Tuttavia, il ricorrente non si cura di trascrivere, nel motivo di ricorso, il contenuto della prova che egli aveva articolato in prime cure, ed in tal modo non consente al Collegio la verifica della decisività dell’errore commesso dal giudice di merito. Di conseguenza, la censura va dichiarata inammissibile, in continuità con il principio secondo cui “La Corte di cassazione, allorquando debba accertare se il giudice di merito sia incorso in error in procedendo, è anche giudice del fatto ed ha il potere di esaminare direttamente gli atti di causa; tuttavia, non essendo il predetto vizio rilevabile ex officio, né potendo la Corte ricercare e verificare autonomamente i documenti interessati dall’accertamento, è necessario che la parte ricorrente non solo indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” di cui richiede il riesame, ma anche che illustri la corretta soluzione rispetto a quella erronea praticata dai giudici di merito, in modo da consentire alla Corte investita della questione, secondo la prospettazione alternativa del ricorrente, la verifica della sua esistenza e l’emenda dell’errore denunciato” (Cass. Sez. U, Sentenza n. 20181 del 25/07/2019, Rv. 654876; cfr. anche Cass. Sez.1, Sentenza n. 2771 del 02/02/2017, Rv. 643715 e Cass. Sez.5, Sentenza n. 1170 del 23/01/2004, Rv. 569603).
Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1667 c.c., perché il giudice di merito avrebbe dovuto escludere la responsabilità dell’appaltatore, in considerazione del fatto che la committente non aveva denunciato i presunti vizi dell’opera nei sessanta giorni dalla scoperta.
La censura è inammissibile. La Corte di Appello ha accertato che le opera oggetto del contratto sottoscritto tra le parti non sono state ultimate (cfr. pag. 3 della sentenza impugnata) ed ha quindi, su tale presupposto, escluso l’applicabilità delle disposizioni di cui all’art. 1667 e ss., a fronte dell’inadempimento dell’appaltatore. Sul punto, va ribadito che “… in caso di opera non ultimata, restando l’appaltatore inadempiente all’obbligazione contrattuale assunta, si applicano le norme generali in tema di risoluzione per inadempimento ex art. 1453 c.c. e ss., mentre la speciale garanzia prevista dagli artt. 1667 e 1668 c.c., trova applicazione nella diversa ipotesi in cui l’opera sia stata portata a termine” (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 4511 del 14/02/2019, Rv. 653113; conf. Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 9198 del 13/04/2018, Rv. 648467). Il principio vale anche per il caso in cui l’opera, pur ultimata, “… sia stata realizzata in violazione delle prescrizioni pattuite o delle regole tecniche” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4446 del 20/03/2012, Rv. 622108; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 9333 del 17/05/2004 Rv. 572910) e sempre fermo restando che l’effetto liberatorio della consegna ed accettazione dell’opera sono limitati ai soli vizi palesi e riconoscibili dal committente, che devono essere fatti valere necessariamente in sede di verifica o collaudo (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 11 del 03/01/2019, Rv. 651909; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 346 del 13/02/1970, Rv. 345247).
In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Nulla per le spese, in difetto di svolgimento di attività difensiva da parte intimata nel presente giudizio di legittimità.
Ricorrono i presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, per il raddoppio del versamento del contributo unificato, se dovuto.
PQM
La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sesta Sezione Civile, il 11 febbraio 2022.
Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2022