Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5636 del 09/03/2010

Cassazione civile sez. lav., 09/03/2010, (ud. 18/12/2009, dep. 09/03/2010), n.5636

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –

Dott. D’AGOSTINO Giancarlo – Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

B.N., M.N., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo studio

dell’avvocato CARUSO MICHELE, che li rappresenta e difende, giusta

delega in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

P.M.R.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 5632/2 007 della CORTE D’APPELLO di ROMA

dell’11/07/07, depositata il 28/11/2007;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

18/12/2009 dal Consigliere Relatore Dott. GIOVANNI MAMMONE;

è presente il P.G. in persona del Dott. MASSIMO FEDELI.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO E DIRITTO

B.N. e M.N. convenivano in giudizio dinanzi al giudice del lavoro di Roma P.M.R., alle cui dipendenze sostenevano di essere stati occupati quali collaboratori domestici per il periodo 7.3.94-31.7.96, per ottenere la sua condanna al pagamento di differenze retributive. Costituitasi in giudizio la convenuta eccepiva la carenza di legittimazione passiva.

Il Tribunale, ritenendo non provata la natura subordinata del rapporto nè la legittimazione passiva della convenuta, rigettava la domanda compensando le spese per metà e condannando per il rimanente gli attori.

Proponevano appello i due domestici, rilevando che controparte non aveva contestato la natura subordinata del rapporto e che era stata sempre lei a versare la retribuzione mensile.

La Corte di appello di Roma con sentenza 11.7-28.11.07, per quanto qui rileva, riteneva che, pur avendo gli attori svolto la prestazione presso l’abitazione della convenuta, non esisteva presunzione che gli stessi fossero suoi dipendenti. Non ravvisando in fatto i caratteri tipici della subordinazione (potere direttivo, organizzativo e disciplinare) nei confronti della P., riteneva insufficienti gli indici di subordinazione nella specie ravvisabili e rigettava l’impugnazione.

Proponevano ricorso per Cassazione gli attori denunziando carenza di motivazione sotto due punti di vista: 1) a proposito dell’esistenza della subordinazione, non essendo stata essa posta in dubbio neppure dalla convenuta; 2) a proposito della legittimazione passiva della convenuta, la quale era la padrona della casa in cui i predetti avevano lavorato ed alle cui direttive essi erano stati assoggettati.

Non svolgeva attività difensiva l’intimata P..

Il consigliere relatore redigeva relazione ex art. 380 bis c.p.c., che veniva comunicata al Procuratore generale ed era notificata unitamente al decreto di fissazione dell’odierna adunanza in camera di consiglio al difensore costituito.

Il ricorso è fondato.

Il giudice era chiamato a verificare se il rapporto di collaborazione domestica tra gli attori e la convenuta fosse o meno caratterizzato dalla subordinazione. Tale verifica gli appellanti chiedevano fosse effettuata sulla base delle risultanze acquisite agli atti e costituite dalle ammissioni fatte dalla convenuta al momento della costituzione e dall’esito della prova per testi.

Dalla lettura della motivazione emerge che il giudice di merito ha escluso il requisito della subordinazione non in senso assoluto, ma nei confronti della convenuta, ritenendo che essa, pur vivendo nella casa nella quale gli attori svolgevano la loro prestazione in regime di convivenza, fosse estranea al rapporto di lavoro. Tale conclusione viene raggiunta con una motivazione non esaustiva, in quanto il giudice – pur avendo parte convenuta affermato di aver impartito ai due domestici, con lei conviventi, le necessarie direttive di organizzazione domestica e di averlo fatto per solo per “delega” del marito separato, reale dominus del rapporto di lavoro – esclude che la convenuta fosse titolare del potere direttivo, organizzativo e disciplinare, affermando anzi che la circostanza che fosse costei a consegnare la retribuzione mensile ai domestici fosse una irrilevante circostanza presuntiva.

L’incongruità della motivazione deriva innanzitutto dall’omessa considerazione che la tesi difensiva di parte convenuta (essere stati gli attori assunti da suo marito) è rimasta priva del necessario riscontro probatorio, dato che l’unico teste assunto ha dichiarato di non sapere da chi i due domestici fossero stati assunti.

Ulteriore motivo di incongruità è costituito dall’illogicità della conclusione tratta dalle premesse, atteso che nella sentenza, di fronte ad una prestazione pacificamente caratterizzata dai requisiti del lavoro subordinato – quale quella della collaborazione domestica – svolta in favore di un unico soggetto che provvedeva anche a corrispondere la retribuzione mensile, si ritiene quest’ultimo privo della qualità di datore di lavoro sulla base dell’indimostrata affermazione che il titolare del rapporto sarebbe altra persona.

Tali palesi incongruenze portano all’accoglimento del ricorso ed alla cassazione della sentenza impugnata, con rinvio al giudice indicato in dispositivo che procederà a nuovo esame sanando le evidenziate lacune argomentative.

Al giudice del rinvio è rimessa anche la regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il ricorso e cassa l’impugnata sentenza, rinviando alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione anche per le spese.

Così deciso in Roma, il 18 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 9 marzo 2010

 

 

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