Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5634 del 12/03/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 5634 Anno 2014
Presidente: FINOCCHIARO MARIO
Relatore: TRAVAGLINO GIACOMO

SENTENZA
sul ricorso 5783-2008 proposto da:
OLIVERIO LUIGI, elettivamente domiciliato ex lege in
ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE,
rappresentato e difeso dall’avvocato OLIVERIO LUIGI in
80142 NAPOLI, Viale Colli Aminei 36, giusta delega in
atti;
– ricorrente –

2013

contro

1917

MUOIO

FATIMA

MUOFTM57T61F839M,

GIORDANO

LUIGI

GRDLGU49E14F8390, elettivamente domiciliati in ROMA,
VIA FASANA 16, presso lo studio dell’avvocato RAMPIONI

1

Data pubblicazione: 12/03/2014

RICCARDO, rappresentati e difesi da loro medesimi;

controricorrenti

avverso la sentenza n. 26/2007 della CORTE D’APPELLO
di NAPOLI, depositata il 04/01/2007 R.G.N. 1830/2002;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

TRAVAGLINO;
udito l’Avvocato LUIGI OLIVERIO;
udito l’Avvocato FATIMA MUOIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ANTONIETTA CARESTIA che ha concluso per
l’inammissibilita’ del ricorso.

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udienza del 16/10/2013 dal Consigliere Dott. GIACOMO

PREMESSO IN FATTO

– Che il tribunale di Napoli rigettò la domanda di risarcimento
danni promossa, ex art. 2043 c.c., dall’avv. Luigi Oliviero nei
confronti dei colleghi Fatima Muoio e Luigi Giordano, accusati
dall’attore di plurime condotte illecite diacronicamente

rapporti interpersonali e di quelli tenuti con i clienti;
– Che l’appello proposto dall’avv. Oliviero venne a sua volta
rigettato dalla Corte di appello di Napoli con sentenza
depositata il 4 gennaio 2007;
– Che, per la cassazione di questa pronuncia, l’appellante ha
proposto ricorso illustrato da 4 motivi di censura e da
memoria;
– Che Fatima Muoio e Luigi Giordano hanno resistito con
controricorso;
– Che tanto premesso la Corte
OSSERVA IN DIRITTO

Il ricorso è infondato.
Con il primo motivo,

si denuncia

violazione e falsa

applicazione dell’art. 244 c.p.c. in riferimento all’art. 360 I
comma n. 3 c.p.c..
La censura – che lamenta la mancata ammissione di una prova
testimoniale della quale vengono riportati i dedotti capitoli,
in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso – è
corredata dal seguente quesito di diritto (formulato ai sensi

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consumate ai suoi danni dai convenuti nella gestione dei

dell’art. 366 bis c.p.c., applicabile

ratione temporis,

nel

vigore del D.lgs. 40/2006):
Dica la Corte se l’esigenza della specificazione e conseguenti
rilevanza e pertinenza di cui all’art. 244 c.p.c. si intende
soddisfatta quando i fatti vengono formulati nei loro estremi

riservata ai difensori e al giudice durante l’espletamento del
mezzo istruttorio, nel caso ce ne fosse bisogno.
Con il secondo motivo,

si denuncia

radicale violazione

dell’art. 115 c.p.c. in riferimento all’art. 360 comma 1 n. 3
c.p.c..
La censura è corredata dal seguente quesito:
Dica la Corte se, nel rispetto del principio dispositivo in
materia di prova testimoniale di cui è espressione l’art. 115
c.p.c., sia consentito dichiarare in blocco l’inammissibilità
di una prova testimoniale senza l’esame concreto del singoli
capitoli di prova.
I motivi da esaminarsi congiuntamente attesane la intrinseca
connessione, non possono essere accolti.
Con apprezzamento di fatto immune da vizi logico-giuridici, e
perciò solo incensurabile in questa sede, il giudice del merito
ha dichiarato inammissibile la prova testimoniale articolata ex
art. 184 c.p.c. ritenendola vertere su circostanze in parte
generiche in parte irrilevanti ai fini della decisione, e tutte
comunque non pertinenti rispetto all’azione extracontrattuale
proposta dall’attore, ponendo a fondamento della propria

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essenziali, essendo l’eventuale indicazione dei loro dettagli

decisione prove documentali hinc et

inde proposte, e con ciò

uniformandosi ai principi di diritto costantemente predicati da
questa Corte regolatrice, a mente dei quali il giudice di
merito non è tenuto a respingere espressamente e motivatamente
tutte le richieste istruttorie delle parti qualora,

decidere sulla base degli atti, potendosi implicitamente
dedursi il giudizio di ultroneità e superfluità dei mezzi di
prova non ammessi dal complesso delle argomentazioni e dalla
natura e dal contenuto della decisione adottata

(ex multis,

Cass. 8526/03, 6570/04, 14611/05).
Il giudizio espresso dalla Corte di appello, volto ad
escludere, nella specie, la concreta influenza e la decisività
del mezzo istruttorio richiesto, si sottrae, pertanto, alle
doglianze espresse con il motivo in esame.
Con il terzo motivo,

si denuncia

violazione e falsa

applicazione dell’art. 2043 c.c. con riferimento all’art. 360
coma 1 n. 3 c.p.c..
La censura è corredata dal seguente quesito:
Dica

la

Corte ne

chíunqut= ahhi

situazioni_ rogClatC in qualch

5ubitu

Umani all’infuori di

modo da patti e comunque accordi

possa chiedere il risarcimento ai sensi dell’art. 2043 c.c. e
se sia consentito al giudice escludere tale risarcimento sulla
base di accordi inesistenti.
Con il quarto motivo,

si denuncia

violazione e falsa

applicazione dei decreti ministeriali che hanno approvato le

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nell’esercizio dei suoi poteri direzionali, ritensr di putei

tariffe forensi nell’arco di tempo intercorrente tra il 1994 e
il 2004, e in particolare il D.M. 5.10.1994 n. 585 e il D.M.
8.4.2004 n. 127, con riferimento all’art. 360 comma l n. 3
c.p.c..
La censura è corredata dal seguente quesito:

conferita da persona diversa da quella a favore della quale
viene espletata l’attività professionale, la quale attività
deve essere retribuita da chi ha affidato al legale il mandato
di patrocinio e non dalla persona a favore della quale
l’attività è stata espletata, restando la terza completamente
fuori dal rapporto tra le prime due.
Entrambi i motivi sono destinati a cadere sotto la scure
dell’inammissibilità, attesa la irredimibile inammissibilità
dei quesiti che li sorreggono.
Questo giudice di legittimità ha già avuto più volte modo di
affermare che il quesito di diritto deve essere formulato, ai
sensi dell’art. 366 bis cod. proc. civ., in termini tali da
costituire una sintesi logico-giuridica unitaria della
questione, con conseguente inammissibilità del motivo di
ricorso tanto se sorretto da un quesito la cui formulazione sia
del tutto inidonea a chiarire l’errore di diritto imputato alla
sentenza impugnata in relazione alla concreta controversia
(Cass. 25-3-2009, n. 7197), quanto che sia destinato a
risolversi (Cass. 19-2-2009, n. 4044) nella generica richiesta
(quale quelle di specie) rivolta al giudice di legittimità di

6

Dica la Corte se sia consentito che la procura alle liti venga

stabilire se sia stata o meno violata

o disapplicata o

erroneamente applicata, in astratto, – una norma di legge. Il
quesito deve, di converso, investire ex se la ratio decidendi
della sentenza impugnata, proponendone una alternativa di segno
opposto destinata ad una soluzione che, pur trascendendo la

legittimità, ne dia specifico conto ed esaustiva esposizione:
le stesse sezioni unite di questa corte hanno chiaramente
specificato (Cass. ss. uu. 2-12-2008, n. 28536) che deve
ritenersi inammissibile per violazione dell’art. 366 bis cod.
proc. civ. il ricorso per cassazione nel quale l’illustrazione
dei singoli motivi sia accompagnata dalla formulazione di un
quesito di diritto che si risolve in una tautologia o in un
interrogativo circolare, che già presupponga la risposta senza
peraltro consentire un utile riferimento alla fattispecie in
esame.
Tali appaiono, nella specie, i quesiti illustrati poc’anzi.
La corretta formulazione del quesito esige, di converso (Cass.
19892/09), che il ricorrente

dapprima indichi in esso la

fattispecie concreta, poi la rapporti ad uno schema normativo
tipico, infine formuli,

in forma interrogativa e non (sia pur

implicitamente) assertiva, il principio giuridico di cui si
chiede l’affermazione; onde, va ribadito (Cass. 19892/2007)
l’inammissibilità del motivo di ricorso il cui quesito si
risolva (come nella specie) in una generica istanza di

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fattispecie concreta sottoposta all’esame del giudice di

decisione sull’esistenza della violazione di legge denunziata
nel motivo.
Il ricorso va pertanto rigettato.
La disciplina delle spese – che possono per motivi di equità
essere in questa sede compensate – segue come da dispositivo.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di
cassazione tra tutte le parti costituite.
Così deciso in Roma, li 16.10.2013

P.Q.M.

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