Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5630 del 28/02/2020

Cassazione civile sez. III, 28/02/2020, (ud. 26/11/2019, dep. 28/02/2020), n.5630

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26359/2018 proposto da:

L.A., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

CARLO BENINI;

– ricorrente –

contro

MILANO ASSICURAZIONI SPA;

– intimata –

avverso sentenza n. 1828/2017 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 08/08/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

26/11/2019 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Bologna, con sentenza in data 8.8.2017 n. 1828, ha rigettato l’appello proposto da L.A., confermando la decisione di prime cure che aveva dichiarato prescritto il diritto all’indennizzo assicurativo azionato, in dipendenza del furto di beni d’arte ed oggetti preziosi, nei confronti di Milano Ass.ni s.p.a., con la quale il danneggiato aveva stipulato di due polizze assicurative contro i danni.

Il Giudice di appello rilevava che la prescrizione non era stata utilmente interrotta dalle lettere inviate dall’assicurato alla Compagnia assicurativa, e che le clausole che prevedevano la esclusione della indennizzabilità per fatto doloso o per colpa grave dell’assicurato nella produzione del danno, aveva funzione limitativa dell’oggetto del rischio assicurato, non potendo ad esse riconoscersi secondo i criteri interpretativi degli atti negoziali – alcun effetto sospensivo della prescrizione in pendenza del procedimento penale instaurato nei confronti dell’assicurato imputato del delitto di simulazione di reato e successivamente assolto. Non essendo peraltro desumibile dal mero conferimento dell’incarico al perito dell’assicurazione di stimare i danni un comportamento rinunciatario alla proposizione da parte della società assicurativa delle eccezioni derivanti dal contratto.

La sentenza di appello è stata impugnata per cassazione da L.A. con due motivi.

Resiste con controricorso UNIPOL SAI Assicurazioni s.p.a. succeduta a seguito di atto 31.12.2013 di fusione per incorporazione in tutti i rapporti attivi e passivi facenti capo a Milano Ass.ni s.p.a..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Primo motivo: violazione artt. 2935,2941,2942,2945,2952 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Sostiene il ricorrente che la statuizione con la quale la Corte territoriale ha dichiarato prescritto il diritto per decorso del termine annuale ex art. 2952 c.c., comma 2 (nel testo applicabile ratione temporis, anteriore alla riforma introdotta dal D.L. n. 179 del 2012, art. 22, comma 14, conv. in L. n. 221 del 2012) si porrebbe in contrasto con i principi enunciati da questa Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 15921 del 11/07/2014 secondo cui “in tema di assicurazione contro i danni, quando le parti elevino a condizione sospensiva della “liquidazione del danno”, da parte dell’assicuratore, la circostanza futura ed incerta dell’inizio di un procedimento penale a carico dell’assicurato per reato riguardante i fatti generatori del danno, l’avveramento della condizione non osta all’esercizio del solo diritto al pagamento di quanto dovuto dall’assicuratore, nè del diritto dell’assicurato all’indennizzo, giacchè la loro coincidenza comporta che la prescrizione di tale unitario diritto resti interrotta a norma dell’art. 2935 c.c. – fino al passaggio in giudicato della sentenza di proscioglimento dell’assicurato, identificandosi il suo diritto all’indennizzo con quello a vedersi risarcire, nei modi e nei limiti stabiliti dal contratto, il danno sofferto in conseguenza del sinistro”.

Secondo motivo: vizio di motivazione in ordine alla applicazione dell’art. 1174 e 2935 c.c., in relazione alla decorrenza del termine prescrizionale dalla data della commissione del furto anzichè dalla data della emissione della sentenza penale di assoluzione irrevocabile.

Il ricorrente ribadisce la critica svolta con il primo motivo insistendo a denunciare l’errore circa il momento della decorrenza del termine prescrizionale breve, in quanto l’esercizio del diritto all’indennizzo doveva intendersi sospeso per tutta la durata del procedimento penale.

I motivi, che per la stretta connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono inammissibili.

Il ricorrente, denunciando una violazione delle norme in diritto sulla durata ed inizio del termine breve di prescrizione previsto per le azioni derivanti dal contratto di assicurazione, non formula alcuna critica alla attività di giudizio del Giudice di appello relativa alla individuazione ed applicazione della “regula juris”, sibbene viene a contestare il risultato interpretativo del testo delle clausole di polizza cui detto Giudice è pervenuto alla stregua dei criteri ermeneutici legali degli atti negoziali, da un lato affermando il ricorrente e dall’altro avendo negato la Corte territoriale che tali clausole esprimessero la volontà comune delle parti di sottoporre a condizione sospensiva la pretesa indennitaria dell’assicurato, in caso di pendenza di procedimento penale a suo carico.

Le clausole di polizza prevedevano che “la società non risarcisce i danni commessi od agevolati da dolo dell’assicurato o dei familiari con lui stabilmente conviventi o delle persone di cui deve rispondere a norma di legge” (art. 2.10. lett. c, CGA, polizza 20257) ed ancora che “Milano Assicurazioni non indennizza i danni agevolati con dolo o colpa grave del contraente e dell’assicurato” (art. 3.1 lett. c, CGA, polizza 564).

Orbene è da ritenere consolidata la giurisprudenza di questa Corte (i principi sono stati ininterrottamente ribaditi a far data da Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 5878 del 07/11/1981, id. Sez. 1, Sentenza n. 5716 del 20/11/1985, fino a Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 15921 del 11/07/2014, ultima massimata, che si è occupata della sospensione convenzionale della prescrizione) che, stante la tassatività e la non suscettibilità di applicazione analogica dei casi di interruzione e sospensione della prescrizione previsti dal codice (artt. 2943,2944,2941 e 2942 c.c.), afferma che la prescrizione annuale di cui all’art. 2935 cit., non è interrotta, nè sospesa dall’instaurazione e dalla pendenza di un giudizio penale relativo a reato, la cui decisione possa influire sull’esistenza (o meno) del diritto azionato, il corso della cui prescrizione, in pendenza di procedimento penale, può essere interrotto dall’interessato con reiterate intimazioni di pagamento. Con la conseguenza, che la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui si sia perfezionata la fattispecie dalla quale nasca il diritto (e cioè dal giorno in cui si è verificato il danno coperto da assicurazione).

Nella specie, da quanto emerge dal ricorso, il procedimento penale instaurato nel 1998 è stato definito con sentenza irrevocabile di assoluzione emessa dalla Corte d’appello penale di Bologna in data 17.11.2004, e durante tale periodo l’assicurato non ha avuto difficoltà a trasmettere alla propria Compagnia assicurativa reiterati atti interruttivi della prescrizione, sebbene non abbia perseguito utilmente tale scopo in due occasioni (nell’intervallo di tempo tra la missiva del 27.6.2000 e la missiva 11.8.2001 ed ancora tra quest’ultima e quella successiva trasmessa in data 20.3.2003).

Ne segue che, avendo escluso la Corte territoriale, con accertamento di merito, che le clausole in questione configurassero una espressa previsione pattizia diretta a sospendere il decorso della prescrizione del diritto all’indennizzo per il periodo di durata del procedimento penale, ossia sottoponessero il diritto di credito all’indennizzo, in caso di instaurazione del procedimento penale nei confronti dell’assicurato, alla condizione sospensiva dell’evento consistente nell’esito assolutorio del processo, il corso della prescrizione estintiva doveva ritenersi definitivamente compiuto già il 27.6.2001.

Il ricorrente per contestare la “ratio decidendi” posta a fondamento della sentenza impugnata, avrebbe dovuto, pertanto, censurare non l’applicazione delle norme di diritto sostanziale relative al decorso del termine prescrizionale, sibbene – in ipotesi – la errata applicazione da parte del Giudice di merito dei criteri ermeneutici legali degli atti negoziali, essendo a tal fine onerato dell’osservanza del requisito di specificità, previsto per l’accesso al sindacato di legittimità, secondo cui: a) il motivo di ricorso con il quale si sostenga il malgoverno delle regole interpretative deve contenere non solo l’astratto riferimento agli articoli del codice che le sanciscono, ma altresì la specificazione dei canoni in concreto violati; b) va altresì in ogni caso precisato il modo in cui il giudice se ne è discostato e, quindi, le distorsioni che in concreto ha prodotto la denunciata violazione (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 24461 del 18/11/2005; id. Sez. 2, Sentenza n. 1406 del 23/01/2007; id. Sez. 3, Sentenza n. 2560 del 06/02/2007).

La critica svolta dal ricorrente in base al principio di “evidenza testuale” secondo cui il mero collegamento dell’obbligo di indennizzo alla assenza di dolo o colpa grave dell’assicurato, integrerebbe “ex se” una condizione sospensiva e dunque la sospensione del decorso del termine prescrizionale, è manifestamente infondata laddove si osservi che le clausole in questione sono meramente riproduttive del testo normativo dell’art. 1900 c.c., comma 1, norma che – pacificamente – definisce l’ambito oggettivo del rischio della polizza assicurativa per danni.

Ben diverse erano, in vero, le clausole esaminate nei precedenti di legittimità invocati dal ricorrente, peraltro solo in parte riconducibili allo schema del diritto “condizionato”:

la sentenza Sez. 3, Sentenza n. 15921 del 11/07/2014 ha esaminato la distinta clausola con la quale le parti avevano espressamente concordato che “la liquidazione del danno dovesse avvenire…sempre che l’assicurato, a richiesta della società abbia prodotto i documenti atti a provare che non ricorre alcuno dei casi previsti dall’art. 12, lett. b), e cioè, tra i tanti, che il danno non sia stato commesso o agevolato dall’assicurato”: nella fattispecie, peraltro, non veniva in contestazione la pattuizione di una condizione sospensiva, ma soltanto se tale condizione riguardasse il “diritto di pagamento” e non anche il “diritto all’indennizzo” in relazione al quale, pertanto, il termine prescrizionale sarebbe continuato normalmente a decorrere (la Corte ha negato che potesse configurarsi un diritto di pagamento separato dal diritto all’indennizzo): in quel caso l’evento condizionante assunto dalle parti era stato specificamente collegato all’onere gravante sull’assicurato della produzione dei documenti “liberatori” intesi ad escludere il dolo o colpa grave, mentre nel caso oggetto del presente giudizio non viene preso in considerazione nelle clausole in esame alcun evento futuro ed incerto, ma più semplicemente viene esclusa la copertura assicurativa per i danni cagionati da dolo o colpa grave dell’assicurato, ossia viene definito l’ambito oggettivo del rischio indennizzabile, essendo quindi tenuta la società ad adempiere alla propria obbligazione a seguito della denuncia della verificazione del rischio, e potendo soltanto opporre eventuali ragioni ostative alla insorgenza dell’obbligo indennitario, alla stregua degli elementi indiziari disponibili in pendenza dell’eventuale procedimento penale instaurato contro l’assicurato, assumendosi la responsabilità per le conseguenze dannose derivanti dal ritardo nell’adempimento, ove tali ragioni si rivelino manifestamente infondate: non è dato quindi riscontrare nelle clausole delle quali si controverte la previsione di un “evento futuro ed incerto”, quale appunto l’esito del procedimento penale, cui le parti non hanno inteso riferirsi – secondo la interpretazione delle clausole effettuata dalla Corte di merito – come evento condizionante l’esercizio del diritto all’indennizzo – la presenza di clausole – analoghe a quelle oggetto di esame – volte ad escludere semplicemente l’indennizzo del danno per fatti commessi od agevolati con dolo e colpa grave dall’assicurato e dalle persone delle quali deve rispondere, è stata ritenuta inidonea a configurare un diritto all’indennizzo sottoposto a “condizione” da Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5322 del 04/04/2003 (citata anche dalla resistente), che ha rilevato come “le parti abbiano previsto solo le ipotesi in cui la Compagnia ha facoltà di non riconoscere l’indennizzo, ma non abbiano affatto condizionato l’esercizio del diritto all’indennizzo al superamento dell’azione penale destinata ad accertare quelle ipotesi, e quindi non abbiano elevato la pendenza del processo penale a condizione sospensiva del diritto”;

– identica invece alla precedente causa, decisa da Cass. 15921/2014, è la fattispecie esaminata da Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 1296 del 06/02/1998, nella quale veniva in questione la disposizione negoziale con la quale le parti avevano espressamente subordinato il pagamento (e quindi l’esercizio del diritto all’indennizzo) all’esito dell’indagine penale, assunta, pertanto, come “condizione” in pendenza della quale il termine prescrizionale non decorreva ex art. 2935 c.c.;

così come, diversamente dalle clausole oggetto del presente giudizio, è stata invece riconosciuta la previsione di una “condizione sospensiva” nella clausola esaminata da Corte Cass. Sez. 1, Sentenza n. 3294 del 19/03/1993 concernente “un patto che, ponendo a carico dell’assicurato l’onere della prova di non aver provocato il danno per dolo o colpa grave, “elevava” la pendenza del processo penale, per l’intera sua durata, a causa di sospensione del diritto dell’assicurato medesimo della correlativa obbligazione dell’assicuratore”;

analogamente la obbligazione indennitaria è stata considerata sospensivamente condizionata alla stregua della manifestazione di volontà comune delle parti, espressa nella clausola oggetto di esame da Corte Cass. Sez. 1, Sentenza n. 2264 del 24/02/1992, atteso che “l’inizio di un giudizio penale a carico dell’assicurato sulle cause del sinistro produttivo di danno è stato contrattualmente configurato come condizione sospensiva (evento futuro ed incerto) del diritto dello assicurato a riscuotere l’indennizzo e della corrispondente obbligazione dell’assicuratore”.

Pertanto, non avendo il ricorrente idoneamente censurato l’applicazione dei criteri ermeneutici, la censura svolta con i due motivi di ricorso per cassazione si palesa inammissibile, in quanto volta soltanto a sostenere una differente prospettazione interpretativa del significato da attribuire alle clausole delle CGA, rispetto a quella logicamente non implausibile compiuta dal Giudice di appello.

In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile ed il ricorrente va condannato alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità liquidate in dispositivo.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, la Corte dà atto che il tenore del dispositivo è tale da giustificare il versamento, se e nella misura dovuto, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 26 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2020

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