Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5615 del 28/02/2020

Cassazione civile sez. I, 28/02/2020, (ud. 18/12/2019, dep. 28/02/2020), n.5615

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 134/2015 proposto da:

R.M., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avvocato Mauro Pontini, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Fallimento (OMISSIS) Spa, in persona dei Curatori Fallimentari

S.F. e M.G., elettivamente domiciliato in Roma, Corso

Vittorio Emanuele II n. 229, presso lo studio dell’avvocato Ferrari

Elena, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati

Diaferio Ruggero, Guardamagna Davide, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di PIACENZA, del 27/11/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

18/12/2019 da Dott. DOLMETTA ALDO ANGELO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.- R.M. ha presentato domanda di insinuazione in via privilegiata (o, in subordine, in via di chirografo) nel passivo fallimentare della s.p.a. (OMISSIS). Ha titolato la sua richiesta nel compenso corrispondente alla carica di amministratore/direttore generale della società di poi fallita.

2.- Il giudice delegato ha respinto la domanda, facendo propria la proposta formulata dalla curatela (“il compenso richiesto è stato deliberato dalla società fallita con Delib. 2 agosto 2011, affetta da nullità radicale in quanto presa in assenza del collegio sindacale e senza l’approvazione del collegio medesimo, prescritta ai sensi dell’art. 2386 c.c.”; “relativamente alla parte della Delib. relativa al compenso, l’assemblea non previamente convocata non era totalitaria in assenza del consigliere G., nominato nella medesima sede”).

3.- R.M. ha proposto allora opposizione ai sensi della L. Fall., art. 98, avanti al Tribunale di Piacenza. Che la ha respinta, con decreto depositato in data 27 novembre 2014.

4.- In proposito il Tribunale ha constatato, in via di premessa, che la “remunerazione degli amministratori investiti da particolari cariche è stabilita dal Cda, sentito il parere del Collegio sindacale (art. 2389 c.c., comma 3)”; che, “ai sensi dell’art. 2388 c.c., per la validità delle deliberazioni del CdA è necessaria la presenza alla riunione, anche mediante mezzi di telecomunicazione, della maggioranza dei componenti in carica”; che l’art. 33 dello statuto della società “prevede che “il consiglio può riunirsi e validamente deliberare anche mediante mezzi di telecomunicazione, purchè sussistano le garanzie di cui all’art. 24″”; che tale ultima clausola statutaria dispone che “se “gli intervenuti sono dislocati in più luoghi… l’assemblea deve svolgersi alle seguenti condizioni, cui dovrà darsi atto nei relativi verbali: a) che siano presenti nello stesso luogo il Presidente e il Segretario della riunione, che provvederanno alla formazione e sottoscrizione del verbale, dovendosi ritenere svolta la riunione in detto luogo; b)…””.

Così fissati i paradigmi normativi specificamente attinenti alla vicenda in oggetto, il decreto ha ritenuto che “la deliberazione del 2.8.2011 si deve considerare inesistente, perchè presa in violazione delle norme relative alla convocazione del CdA (art. 33) e alla sua adozione (art. 33 in linea con l’art. 2389)”.

Ha argomentato il Tribunale: “manca la prova della convocazione degli amministratori in carica per la riunione del 2.8.2011 presso la sede” sociale; “manca inoltre, e soprattutto, la prova della deliberazione del consiglio di amministrazione”; “nel presente caso, il rag. R.M., consigliere delegato, fungeva da segretario, e il Dott. Ga.Fa., presidente, era altrove (a (OMISSIS))”; “l’asserita sua presenza alla riunione del CdA mediante mezzo di telecomunicazione non è sorretta da prova del collegamento telefonico, che sia pervenuta e comunque attestata alla chiusura dell’atto di deliberazione del CdA”; “nella specie, il verbale presenta in calce le firme del Segretario e del Presidente senza distinzione temporale e senza ottemperare al dettato degli artt. 33 e 24 statuto”.

5.- Avverso questo provvedimento ricorre R.M., svolgendo tre motivi di cassazione.

Resiste, con controricorso, il fallimento.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

6.- I motivi di ricorso sono stati intitolati secondo i termini che qui di seguito vengono riportati.

Primo motivo: “violazione/falsa applicazione di legge ex art. 360 c.p.c., n. 3, art. 2388 c.c.”.

Secondo motivo: “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., n. 5”.

Terzo motivo: “violazione/falsa applicazione di legge ex art. 360 c.p.c., n. 3, L. Fall., art. 99 e art. 111 Cost.”, nonchè “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., n. 5”.

7.- Il primo motivo di ricorso, assume, in particolare, che il verbale della Delib. “riporta in calce la firma del rag. R.M., segretario della riunione, e del Dott. Ga.Fa., Presidente”. Rileva, altresì, che quelle rilevate dal Tribunale sono comunque delle semplici irregolarità: “con la riforma del 2003, il legislatore ha inteso ricondurre tutte le fattispecie di invalidità dell’atto consiliare nell’ambito della generale categoria della annullabilità”.

Il secondo motivo lamenta, poi, l’omesso esame di un documento di convocazione del Consiglio di amministrazione per il 2 agosto 2011, come sottoscritto dallo stesso presidente e come recante la data apposta del 2 agosto 2011 e, come luogo, la città di Piacenza.

Il terzo motivo afferma, a sua volta, che il Tribunale ha errato a “imputare al R. di non avere dimostrato il fatto del collegamento telefonico”, avendogli nel contempo “impedito di fatto di dimostrare il fatto con l’unico mezzo di prova a lui consentito, e cioè l’assunzione a teste del Dott. Ga. sul punto in questione”.

8.- Risultando tra loro strettamente collegati, i motivi, che compongono il ricorso proposto da R.M., sono suscettibili di trattazione unitaria.

Gli stessi non risultano fondati.

9.- Per meglio inquadrare la problematica proposta dal ricorso all’esame di questa Corte, appare opportuno osservare che le censure, che vi sono nel complesso sviluppate, si muovono lungo due distinte linee prospettiche.

Una attiene alla dinamica dei fatti accaduti e delle relative prove. L’altra concerne invece la correttezza, sotto il profilo del diritto vigente, del giudizio formulato dal Tribunale emiliano di “non sussistenza”, nella specie concreta, di una Delib. del consiglio di amministrazione della società di poi fallita. (per questo profilo v. nei n. 13 ss.).

10.- Sotto il primo profilo (della dinamica materiale della fattispecie), va subito messo in evidenza che il giudizio di “non sussistenza” della Delib. consiliare si basa e nutre su un’articolata serie di circostanze indiziarie che il Tribunale ha valutato nel suo complesso, accostando l’una alle altre (cfr. in particolare le indicazioni che sono state sintetizzate sopra, nell’ultimo capoverso del n. 4).

Si tratta di una valutazione senz’altro oggettivamente plausibile in sè stessa, che per la verità il ricorrente sembra in sostanza contestare non tanto nell’intrinseco, quanto piuttosto perchè non tiene conto di due circostanze ulteriori. Come date, l’una dalla prodotta presenza di un ordine di convocazione del consiglio (cfr. il secondo capoverso del n. 7), l’altra dalla richiesta di assunzione a teste dell’allora presidente della società calcistica Ga.Fa. (ultimo capoverso n. 7).

11.- Quanto alla circostanza dell’avviso di convocazione, che è stata dedotta sotto il profilo del vizio di omesso esame di cui dell’art. 360 c.p.c., n. 5, va rilevato che il documento di convocazione, a cui si richiama il ricorrente, non potrebbe comunque essere considerato decisivo per la formulazione del giudizio di “(non) esistenza” della decisione deliberativa.

E’ invero incontroverso che al tempo – nel giorno, comunque, in cui il documento indica di essere stato formato nella città di Piacenza (2 agosto 2011; data pure della progettata Delib.) – l’allora presidente Ga. si trovava in altro e lontano luogo, qual è la capitale dell’Argentina. Nè il ricorrente ha allegato alcunchè per rendere conto di una simile peculiarità e così spiegarla.

Sì che l’esistenza materiale della richiamata carta finisce, in realtà, per corroborare piuttosto la valutazione della “non sussistenza” di una decisione consiliare intesa ad approvare un compenso per particolari cariche ex art. 2389 c.c.. Tanto più che (in aggiunta) il controricorrente non ha mancato di introdurre, nel corpo del suo atto (pp. 7 e 8), le copie di due distinti “avvisi di convocazione”: uno, privo di sottoscrizione, datato 30 luglio 2011, collocato sempre a Piacenza e non destinato (anche) ai membri del collegio sindacale; l’altro, appunto datato 2 agosto, sottoscritto dal presidente e destinato anche ai membri del collegio.

12.- Quanto poi alla richiesta relativa all’assunzione a teste dell’allora presidente Ga., si deve rilevare che – secondo l’orientamento univocamente espresso dalla giurisprudenza di questa Corte “l’omessa ammissione di prova testimoniale può essere denunziata per cassazione solo nel caso in cui essa abbia determinato l’assenza di motivazione su un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa sia tale da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia di altre risultanze istruttorie” (sul punto si vedano, tra quelle recenti, le pronunce di Cass., 29 ottobre 2018, n. 27415; Cass., 7 marzo 2017, n. 5654).

Il che tra l’altro suppone – secondo quanto appare naturale, del resto – la specifica trascrizione del testo dei capitoli per cui si era chiesta l’escussione del testo (cfr., tra le altre, Cass., 25 febbraio 2011, n. 4708).

Il ricorrente omette, per contro, di riportare il testo dei capitoli testimoniali in relazione ai quali promosse l’istanza nell’ambito del giudizio del merito (al di là dell’avere impostato il motivo nella prospettiva del vizio di violazione di legge e non già in quella dell’omesso esame).

Con la conseguenza che non può non rimanere estraneo all’ambito del presente giudizio lo stesso contributo che, in linea di ipotesi, avrebbe potuto fornire – quanto al tema della sussistenza della decisione consiliare – l’eventuale escussione della testimonianza in questione.

13.- Passando ora alla valutazione di diritto, posta in essere dal Tribunale emiliano, si deve osservare che il rimprovero mosso dal ricorrente (cfr. sopra, il secondo periodo del primo capoverso del n.

7) non viene proprio a confrontarsi con la ratio decidendi del provvedimento impugnato.

Quest’ultimo, infatti, non ha fatto riferimento alla “non sussistenza” della decisione consiliare nei termini di categoria di invalidità delle delibere societarie ulteriore e distinta rispetto a quelle della annullabilità (nonchè a quella della nullità), secondo un modulo di ricostruzione dommatica e disciplinare che – con riferimento alle fattispecie soggette al regime anteriore alla riforma del 2003 – si ritrova comunemente nella giurisprudenza di questa Corte (cfr., così, Cass., 26 settembre 2016, n. 18845).

Il decreto non ha, cioè, inteso negare il carattere per più lati innovativo della riforma, come per contro le imputa la censura del ricorrente. Nè ha inteso – va altresì aggiunto – dilatare ambito e possanza dei vizi che, nel concreto, possono venire ad affliggere lo svolgimento del procedimento assembleare, che è poi – come è noto – la ragione pratico-disciplinare per cui ebbe a fiorire, nel contesto giurisprudenziale del precedente regime, la categoria di invalidità data dall'”inesistenza”.

14.- Il giudizio espresso dal Tribunale si è posto, invece, decisamente a monte della problematica appena accennata. Si è posto, cioè, al livello della ricostruzione in concreto della fattispecie legale costituita dalla Delib. consiliare di s.p.a.. Dunque, di riscontro della sussistenza – nel concreto di un accadimento della realtà materiale degli elementi identificativi di tale fattispecie normativa.

Per concludere che a fondare il titolo del credito avanzato dall’assunto creditore, per insinuarsi nel passivo fallimentare, mancava la Delib. del consiglio di amministrazione della s.p.a., che pure per legge e per statuto sarebbe senza dubbio occorsa.

Non v’è chi non veda, d’altro canto, come lo svolgimento del c.d. giudizio di sussunzione sia – e rimanga comunque – una necessità ineliminabile nell’ambito della valutazione intesa a selezionare, e qualificare, le fattispecie che nel concreto vengono sottoposte a giudizio (sulla conformazione del c.d. giudizio di sussunzione v., di recente, Cass., 30 aprile 2018, n. 10320).

15.- Ciò posto, per completare l’esposizione appare ancora opportuno rilevare che – con riferimento alle delibere (assembleari e) consiliari di società – il giudizio di sussunzione non si identifica coll’esistenza o meno di un verbale o colla maggiore o minore completezza ed esattezza del verbale medesimo, così da fare entrare in applicazione le prescrizioni normative di cui all’art. 2377 c.c., comma 5, art. 2379 bis c.c. e art. 2388 c.c., comma 4, secondo una prospettiva a cui, per contro, il ricorrente sembra volere alludere (cfr. il primo periodo del primo capoverso del n. 7, laddove si viene a sottolineare la presenza sul verbale della presunta Delib. sia della sottoscrizione del presidente, che della sottoscrizione del segretario).

In realtà, il detto giudizio di sussunzione neppure va di necessità a focalizzarsi su profili propri del verbale, per sua natura dirigendosi invece verso l’intero arco degli elementi che, volta per volta, viene a proporre la fattispecie concreta. Secondo quanto ha per l’appunto riscontrato, nel caso qui in esame, il Tribunale emiliano (cfr. ancora una volta l’ultimo capoverso del numero 4; nonchè l’avvio del n. 10, in relazione alla valutazione per concorso e somma di indizi posta in essere dal Tribunale).

E’ appena il caso di esplicitare, in effetti, che il verbale per sè non ha, nè potrebbe avere (in mancanza di una norma che gli attribuisca in via espressa una efficacia del genere), valore costitutivo della decisione da verbalizzare; e nemmeno potrebbe essere considerato come fatto sostitutivo dell’assunzione di quest’ultima, pur quando inserito nei prescritti libri sociali ai sensi dell’art. 2421 c.c..

16.- In conclusione, il ricorso va respinto.

Le spese seguono la regola della soccombenza e si liquidano in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese relative al giudizio di legittimità, che liquida nella somma di Euro 5.600,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi), oltre a oltre a spese forfettarie nella misura del 15% e accessori di legge.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, secondo quanto stabilito dalla norma dell’art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 18 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2020

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