Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5606 del 02/03/2021

Cassazione civile sez. trib., 02/03/2021, (ud. 11/11/2020, dep. 02/03/2021), n.5606

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. NONNO G. M. – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – rel. Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al numero 9617 del ruolo generale dell’anno

2014, proposto da:

Salvatore Moncada s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t.,

rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al

ricorso, dall’avv.to Gianluca Gulino, elettivamente domiciliata

presso lo studio dell’avv.to Giuseppe Spada, in Roma, Via Piemonte,

n. 32;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania, n. 57/17/13,

depositata in data 21 febbraio 2013, non notificata.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

dell’11 novembre 2020 dal Relatore Consigliere Putaturo Donati

Viscido di Nocera Maria Giulia.

 

Fatto

RILEVATO

che:

-con sentenza n. 57/17/13, depositata in data 21 febbraio 2013, non notificata, la Commissione tributaria regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania, rigettava l’appello proposto da Salvatore Moncada s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., nei confronti dell’Agenzia delle entrate avverso la sentenza n. 169/01/2008 della Commissione tributaria provinciale di Ragusa che aveva rigettato il ricorso proposto dalla suddetta società avverso l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) con il quale l’Ufficio di Modica, del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1, lett. d) e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, commi 2 e 3, previo p.v.c. redatto dagli stessi funzionari dell’Agenzia, aveva contestato nei confronti di quest’ultima, esercente attività di commercio all’ingrosso di prodotti ortofrutticoli, maggiori ricavi, ai fini Irpef, Irap e Iva, per l’anno 2003, in relazione a presunte vendite di merce non fatturate;

– la CTR – nel confermare la sentenza di primo grado – in punto di diritto, per quanto di interesse, ha osservato che: 1) l’accertamento in questione condotto dall’Ufficio, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), era fondato su elementi presuntivi – gravi, precisi e concordanti- del maggior imponibile non dichiarato; 2) in particolare, i verificatori avevano posto alla base della verifica molteplici dati concreti e specifici (libri contabili, fatture, documenti di consegna, estensione delle serre, numero delle piantine messe a dimora, quantità di merce prodotta per ogni mille metri di serre) forniti dalla stessa contribuente, alla luce dei quali erano emerse gravi incongruenze tra la quantità di merce dichiarata e quella accertata, con conseguente rilevazione di maggiori ricavi non fatturati, moltiplicando la quantità pari alla differenza tra “la merce a disposizione” (nel periodo considerato tra il 20/10/03 e il 10/12/03) e quella venduta per il prezzo medio ponderato di vendita; 2) quanto alla doglianza relativa alla circoscrizione della verifica ad un determinato arco temporale del periodo di imposta, in considerazione dei particolari prodotti oggetto in concreto dell’accertamento (pomodori, zucchine e peperoni), del tempo di produzione degli stessi e della loro facile deperibilità, il periodo preso in considerazione era particolarmente significativo ed idoneo ad esprimere il reale ed effettivo andamento delle attività accertate; 3)la contribuente non aveva prodotto prove contrarie idonee a dimostrare l’infondatezza dell’accertamento; 4) infondata era, altresì, in mancanza di idoneo supporto probatorio, la doglianza relativa al recupero dei costi asseritamente indeducibili; 5) in relazione alla complessità delle questioni esaminate, sussistevano giusti motivi per compensare le spese del giudizio di appello;

– avverso la sentenza della CTR, la società contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui ha resistito, con controricorso, l’Agenzia delle entrate;

– la ricorrente ha depositato memoria ex art. 380bis.1 c.p.c.;

– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2, e dell’art. 380-bis.1 c.p.c., introdotti dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

– con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2, nonchè in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 l’omessa o insufficiente motivazione su un punto controverso e decisivo della controversia, per avere la CTR- con vizio motivazionale, senza prendere in considerazione i rilievi mossi dalla contribuente- ritenuto legittimo l’accertamento analitico-induttivo condotto dall’Ufficio, ai sensi del citato D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2, ancorchè non fosse fondato su presunzioni gravi, precise e concordanti, ma soltanto sulle c.d. rese medie (dalle quali era stato dedotto l’avvenuto acquisto e rivendita di un certo quantitativo per ogni tipologia di prodotto, con conseguente aumento del dato stimato della complessiva merce venduta), inidonee a costituire “fatti noti” sui quali operare una valida ricostruzione presuntiva, trattandosi di “dati medi” (ovvero valori teorici che attestano come il dato reale possa essere inferiore o superiore ad essi) e avuto riguardo all’elevato grado di aleatorietà degli stessi dovuto ai numerosi fattori (particolarità delle culture, fattori climatici ambientali) caratterizzanti le produzioni agrarie;

– il primo motivo- che consta di due sub censure- è complessivamente inammissibile;

– la prospettata violazione di legge, con la quale (pur indicando nella rubrica del motivo solo la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2) in sostanza si denuncia il malgoverno del materiale probatorio da parte del giudice di appello per avere ritenuto legittimo l’avviso di accertamento ancorchè, ad avviso della contribuente, la ricostruzione del maggior reddito operata dall’Ufficio fosse stata basata unicamente sulle c.d. rese medie inidonee in quanto tali a costituire elementi presuntivi- dotati dei requisiti di gravità, precisione e concordanza- non coglie il decisum per le ragioni di seguito indicate;

– premesso che, in tema di prova presuntiva, questa Corte ha affermato che “qualora il giudice di merito sussuma erroneamente sotto i tre caratteri individuatori della presunzione (gravità, precisione e concordanza) fatti concreti che non sono invece rispondenti a quei requisiti, il relativo ragionamento è censurabile in base all’art. 360 c.p.c., n. 3 (e non già alla stregua del n. 5 dello stesso art. 360), competendo alla Corte di cassazione, nell’esercizio della funzione di nomofilachia, controllare se la norma dell’art. 2729 c.c., oltre ad essere applicata esattamente a livello di proclamazione astratta, lo sia stata anche sotto il profilo dell’applicazione a fattispecie concrete che effettivamente risultino ascrivibili alla fattispecie astratta” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 17535 del 26/06/2008; Sez. 3 -, Sentenza n. 19485 del 04/08/2017;Sez. L, Sentenza n. 29635 del 16/11/2018) e che “ciò che la Corte controlla, cioè la correttezza della sussunzione in termini di gravità, precisione e concordanza, non lo è più con il limite che il ragionamento del giudice di merito è censurabile solo se necessariamente altra dev’essere la soluzione applicabile al caso concreto, bensì lo è: a) in riferimento al requisito della gravità, tutte le volte che essa manchi, perchè difetta la c.d. inferenza probabilistica; b) con riguardo a quello della precisione, tutte le volte in cui la presunzione presenti inferenze probabilistiche plurime e non la sola assunta dal giudice di merito; c) rispetto alla concordanza, quando vi siano elementi probatori dissonanti rispetto alla presunzione. In tutti questi casi parrebbero configurabili possibili vizi di violazione di legge” (Cass. sez. 3, Sentenza n. 17535 del 26/06/2008), nella specie, la CTR ha ritenuto legittimamente espletato, ai sensi del citato D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), l’accertamento in questione, in quanto la ricostruzione analitico-induttiva del maggiore reddito societario (non dichiarato) in relazione a vendite di merce non fatturata, lungi dall’essere basata come prospettato dalla ricorrente – su valori teorici quali le c.d. rese medie (dalle quali sarebbe stato dedotto l’avvenuto acquisto e rivendita di un certo quantitativo per ogni tipologia di prodotto, con conseguente aumento del dato stimato della complessiva merce venduta), era stata fondata dall’Ufficio su molteplici dati concreti e specifici (libri contabili, fatture, documenti di consegna, estensione delle serre, numero delle piantine messe a dimora, quantità di merce prodotta per ogni mille metri di serre) forniti dalla stessa contribuente alla luce dei quali erano emerse gravi incongruenze tra la quantità di merce dichiarata e quella accertata. Da qui la rideterminazione del maggior reddito non dichiarato avvenuta – come incontestabilmente si evince dal ricorso (pag. 4-6) e dal controricorso nonchè dall’avviso di accertamento allegato al ricorso (all. 5)-:1) dapprima calcolando la quantità di “merce a disposizione”, ovvero la quantità di merce idonea ad essere venduta nel periodo considerato, intercorrente dal 20 ottobre 2003 al 31 dicembre 2003 – sommando alle quantità desunte dalle rese annuali per ogni tipologia di prodotto (ottenute moltiplicando la superficie delle aree di produzione per la resa media riferita all’intero ciclo annuale, determinata sempre sulla base delle dichiarazioni del legale rappresentante della società) le quantità di merce acquistate da altri soggetti in riferimento al periodo considerato e sottraendovi un calo forfettario del 3% per “perdita di peso” e “scarto di lavorazione” nonchè le rimanenze di fine anno; 2) ponendo a confronto tale quantità di “merce a disposizione” nel detto periodo con la quantità di merce venduta risultante dalle fatture sempre relative al periodo considerato; 3) determinando la quantità di merce presumibilmente ceduta senza fattura pari alla differenza tra la “merce a disposizione” e quella venduta, e moltiplicando tale quantità per il prezzo medio ponderato di vendita relativo ad ogni tipologia di prodotti; peraltro, la CTR ha anche giustificato la circoscrizione della verifica ad un limitato arco temporale del periodo di imposta, in considerazione della particolare significatività del detto periodo e della sua idoneità ad esprimere il reale ed effettivo andamento delle attività accertate, avuto riguardo ai tempi di produzione dei prodotti (peperoni, zucchine e pomodori) e alla loro facile deperibilità; in tale contesto, dalla sentenza impugnata si evince chiaramente che la rideterminazione del maggior reddito-ritenuta dal giudice di appello rispondente ai criteri di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d)- è stata operata dall’Ufficio in base a dati non privi di concretezza in quanto direttamente rilevati dalla realtà aziendale specifica; ciò, peraltro, conformemente all’orientamento consolidato di questa Corte per cui “l’accertamento con metodo analitico-induttivo, con cui il fisco procede alla rettifica di singoli componenti reddituali, ancorchè di rilevante importo, è consentito, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), pure in presenza di contabilità formalmente tenuta, giacchè la disposizione presuppone, appunto, scritture regolarmente tenute e, tuttavia, contestabili in forza di valutazioni condotte sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti che facciano seriamente dubitare della completezza e fedeltà della contabilità esaminata (ex multis: Cass., sez. 5, n. 33508 del 2018; n. 20060 del 2014), essendosi ulteriormente specificato che, a norma del D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, comma 3, convertito nella L. n. 427 del 1993 – “gli accertamenti di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), (…) e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54, (…) possono essere fondati anche sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi e i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta (…);

– inammissibile si profila, altresì, il dedotto vizio motivazionale, nella parte in cui denuncia il difetto di motivazione su fatti controversi e decisivi per il giudizio in quanto trattasi di vizio non più censurabile in virtù della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, come modificato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile ratione temporis nella specie, per essere stata la sentenza di appello depositata in data 21 febbraio 2013 (v. nello stesso senso, Cass. n. 30948 del 2018);

-invero, anche a volere ricondurre la censura al vizio specifico denunciabile per cassazione in base alla nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, lo stesso concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., sez. un., n. 8053 e n. 8054 del 2014; Cass. n. 14324 del 2015); nella specie, la ricorrente non ha assolto il suddetto onere, non avendo dedotto l’omesso esame di un “fatto storico”, ma, invero, di profili pur sempre attinenti alla denunciata erronea formazione da parte del giudice di appello della prova presuntiva;

– con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il vizio di omessa o insufficiente motivazione su un punto controverso e decisivo per il giudizio, per avere la CTR ritenuto legittimo l’avviso, senza considerare quanto eccepito dalla contribuente nei giudizi di merito circa l’erroneità del metodo di calcolo della quantità di merce presumibilmente ceduta senza fattura, avendo l’Agenzia confrontato le annuali rese medie dei terreni con gli acquisti e le vendite risultanti dalle fatture emesse in riferimento ad un più limitato periodo temporale (dal 20 ottobre 2003 al 31 dicembre 2003), e riferite a prodotti pendenti e raccoglibili entro la data del 31 dicembre 2003, con conseguente fatturazione di alcuni dei relativi prodotti nel successivo periodo di imposta; peraltro, la CTR avrebbe omesso di considerare che – come eccepito dalla contribuente- il computo effettuato dall’Ufficio era stato effettuato considerando “incidenze e scarti” errati in quanto non confacenti alla realtà tecnico- organizzativa e alla natura dell’attività svolta e senza valutare l’incidenza sulla produzione degli eventi atmosferici;

– il motivo, formulato in rubrica come “vizio di omessa o insufficiente motivazione” su punti controversi e decisivi per la controversia è inammissibile trattandosi di vizio non più censurabile in virtù della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5), applicabile ratione temporis; peraltro, anche a volere ricondurre tale censura nello schema del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la ricorrente non ha assolto l’onere di dedurre l’omesso esame di un “fatto storico”, avendo dedotto – quanto alla mancata considerazione da parte del giudice di appello dei rilievi sollevati dalla contribuente circa l’erroneità del metodo di determinazione del maggior reddito, stante la eterogeneità dei dati messi a confronto (da un lato, le rese annuali e, dall’altro, le vendite e gli acquisiti risultanti dalle fatture emesse in riferimento ad un periodo limitato), la riferibilità delle fatture ai prodotti pendenti e raccoglibili entro la data del 31 dicembre 2003 (pertanto oggetto di fatturazione nel successivo periodo di imposta), la mancata rispondenza delle applicate percentuali (del 3%) di calo per perdita di peso e scarto di lavorazione alla realtà tecnico-organizzativa della società, l’incidenza sulla produzione delle calamità naturali – profili attinenti ad apprezzamenti di fatto operati dalla CTR circa la ritenuta correttezza del metodo di determinazione del maggiore reddito seguito dall’Ufficio-la rivalutazione dei quali è preclusa a questa Corte;

– con il terzo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c. per avere la CTR erroneamente confermato la decisione di primo grado anche nella condanna alle spese giudiziali a carico della contribuente, compensando le spese di lite del secondo grado di giudizio;

-il motivo è infondato;

– premesso che per giurisprudenza consolidata di questa Corte “il giudice di appello, allorchè riformi in tutto o in parte la sentenza impugnata, deve procedere d’ufficio, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, ad un nuovo regolamento delle spese processuali, il cui onere va attribuito e ripartito tenendo presente l’esito complessivo della lite poichè la valutazione della soccombenza opera, ai fini della liquidazione delle spese, in base ad un criterio unitario e globale, mentre, in caso di conferma della sentenza impugnata, la decisione sulle spese può essere modificata soltanto se il relativo capo della sentenza abbia costituito oggetto di specifico motivo d’impugnazione”(Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 9064 del 12/04/2018; Sez. L, Sentenza n. 11423 del 01/06/2016; sez. 3, Sentenza n. 24422 del 19/11/2009), nella specie – non avendo, peraltro, la ricorrente dedotto di avere specificamente impugnato in sede di gravame il capo della sentenza della CTP sulle spese processuali nè tantomeno risultando ciò dalla sentenza impugnata – la CTR ha, nel rigettare il gravame, correttamente confermato la statuizione della CTP sulla condanna della contribuente al pagamento delle spese di primo grado;

– in conclusione, il ricorso va complessivamente rigettato;

– le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento in favore dell’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 5.600,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito;

Dà inoltre atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 11 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 marzo 2021

 

 

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