Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5602 del 28/02/2020

Cassazione civile sez. I, 28/02/2020, (ud. 22/11/2019, dep. 28/02/2020), n.5602

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23885/2018 proposto da:

Ministero dell’Ambiente della Tutela del Territorio e del Mare,

Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona dei rispettivi

Ministri pro tempore, Presidenza del Consiglio dei Ministri, in

persona del Presidente del Consiglio pro tempore, domiciliati in

Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello

Stato, che li rappresenta e difende ope legis;

– ricorrenti –

contro

LivaNova Plc, già Sorin S.p.a., in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via delle Quattro

Fontane n. 20, presso lo Studio Giannir Origoni Grippo Cappelli

& Partners, rappresentata e difesa dagli avvocati Sacchi

Roberto, Zaccà Rosario, Vecchi Daniele, giusta procura speciale per

Notaio C.D.G. di (OMISSIS), munita di (OMISSIS);

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

Ministero dell’Ambiente della Tutela del Territorio e del Mare,

Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona dei rispettivi

Ministri pro tempore, Presidenza del Consiglio dei Ministri, in

persona del Presidente del Consiglio pro tempore, domiciliati in

Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello

Stato, che li rappresenta e difende ope legis;

– controricorrenti al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 2409/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 15/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/11/2019 dal cons. IOFRIDA GIULIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale ed incidentale;

udito, per i ricorrenti, l’Avvocato dello Stato Vignoli Francesco che

si riporta;

uditi, per la controricorrente e ricorrente incidentale Società,

l’Avvocato Gaudiello Salvatore (con delega orale avv. Zaccà),

Vecchi Daniele e Sacchi Roberto che si riportano.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto del luglio 2015, denominato “opposizione ex art. 2503 c.c., comma 2”, il Ministero dell’Ambiente, della Tutela del Territorio e del Mare, il Ministero dell’Economia e delle Finanze e la Presidenza del Consiglio dei Ministri – premettendo di essere creditori per uno dei più gravi disastri ambientali del nostro Paese, che ha interessato i siti di Torviscosa (Udine), Colleferro e Brescia, ove la società Snia spa (ex colosso della chimica, successivamente dichiarata in stato di insolvenza e posta in amministrazione straordinaria, che, con scissione del 2003, aveva trasferito il settore di attività biomedicale alla neocostituita Sorin spa) gestiva stabilimenti chimici industriali (direttamente e tramite società controllate Caffaro Chimica e Caffaro), – hanno convenuto in giudizio, dinanzi al Tribunale di Milano, la Sorin spa, per sentire accertare, in via principale, ai sensi dell’art. 2503 c.c., comma 2, l’illegittimità delle operazioni, riguardanti una complessa operazione di fusione transrrontaliera, che avrebbero dovuto avere “epilogo nell’incorporazione – della Sorin – nella società Cyberonics”, società di diritto statunitense, descritte nel “transaction agreement” intercorso nel 2015 tra Sorin spa, SandHoldCo Limited, Cypher Merger e Cyberonics, e dichiarare invalida ed inefficace la delibera, emessa il 26/5/2015 dall’assemblea straordinaria di Sorin, nonchè, in via subordinata, per sentire condannare la convenuta al risarcimento dei danni.

A fronte di istanza cautelare avanzata dalla convenuta Sorin, ex art. 2445 c.c., comma 4, e art. 2503 c.c., comma 2, in pendenza dell’opposizione, il Tribunale ha autorizzato (con provvedimento del 20/8/2015, non reclamato) l’operazione di fusione della Sorin nella società di diritto inglese SanHoldCo PLC (ora Livallova PLC); l’operazione è quindi proseguita fino all’iscrizione dell’atto di fusione ex art. 2504 c.c..

Quindi, il Tribunale di Milano, con sentenza n. 11747/2016, ha respinto tutte le domande attoree, condannando le Amministrazioni attrici alle spese processuali ed al danno da lite temeraria, rilevando che, in relazione all’unico progetto di fusione portato alla formale approvazione dell’assemblea e così suscettibile di legittima contestazione da parte dei creditori, quello relativo alla c.d. fusione inglese “Sorin-HoldCo”, ovvero la fusione realizzata dalla società italiana con una società di diritto inglese, era stata completata l’operazione di fusione, con le rituali iscrizioni nel Registro delle Imprese ex art. 2594 c.c., comma 2, e gli effetti preclusivi di cui all’art. 2504 quater c.c., e non era stata data prova dell’effettiva sussistenza delle ragioni di credito vantate dagli attori, anche in termini di rischio di mancato subentro della società incorporante nelle passività ambientali contestate.

La Corte d’appello di Milano con sentenza n. 2409/2018, depositata in data 15/5/2018, ha riformato i capi della decisione di primo grado concernenti la condanna delle attrici per lite temeraria (domanda respinta, in appello) e la liquidazione delle spese processuali, a carico delle attrici, spese ridotte a complessivi Euro 50.000,00 per il primo grado, confermando nel resto la sentenza impugnata.

In particolare, i giudici d’appello hanno sostenuto che, in relazione alla richiesta di tutela reale, azionata con l’opposizione alla fusione, solo la c.d. fusione inglese, di cui è stata parte la Sorin, nei cui confronti le Amministrazioni si affermano creditrici, poteva formare oggetto dell’opposizione, in quanto il resto dell’operazione, approvata con la delibera assembleare impugnata del 26/5/2015, si inseriva in un quadro di collegamento negoziale (non ancora definito), ma, una volta conclusosi la parte del segmento (per effetto della definizione del procedimento cautelare che ha autorizzato il perfezionamento della fusione) attraverso l’iscrizione della fusione c.d. inglese nel registro delle imprese, la stessa fusione non poteva più essere posta in discussione attraverso la tutela reale, per l’effetto preclusivo di cui all’art. 2504 quater c.c.; nè vi era spazio per la prospettata invalidità della delibera assembleare della Sorin spai che ha approvato la fusione, essendo la domanda svolta un’opposizione alla fusione ex art. 2503 c.c., comma 2, e non altro.

Con riguardo poi alla domanda risarcitoria, la Corte territoriale ha ribadito quanto già affermato dal Tribunale in sede cautelare e, nel giudizio di merito, nella decisione di primo grado impugnata, vale a dire che: a) la fusione con società di diritto inglese, unica oggetto di opposizione, non era, in astratto, idonea a creare pregiudizio alle ragioni dei creditori, non avendo comportato alcuna diminuzione attuale e concreta della garanzia patrimoniale delle amministrazioni creditrici, presentandosi la società incorporante senza debiti ed essendo in essa confluito l’intero patrimonio di Sorin, avendo la stessa, inoltre, acquisito la partecipazione ed il controllo della società Cyberonics, che presenta una capitalizzazione rilevante, senza esborsi, nè potendo rilevare il mero timore di mancato soddisfacimento delle ragioni dei creditori della società ante fusione, in quanto la prospettazione di un “timore in ordine al fatto che il diritto applicabile potrebbe non rispettare le ragioni dei creditori”, del tutto genericamente allegato, non integra il necessario danno da fusione, che ricorre quando sia diminuita per effetto della fusione la garanzia patrimoniale generica del creditore (neppure essendo stato indicato “in che modo gli ordinamenti giuridici stranieri potrebbero portare ad una confusione di patrimoni tra due diverse società, solamente collegate quanto all’assetto proprietario”; b) nessuna prova era stata offerta dalle amministrazioni appellanti in ordine alla loro posizione di creditori vantanti un diritto al risarcimento del danno, che, nell’ambito del giudizio di opposizione alla fusione, non può che essere dato dalla differenza tra quanto sarebbe stato soddisfatto del credito vantato se non si fosse realizzata la fusione e quanto di meno percepito per effetto della fusione.

Avverso la suddetta pronuncia, il Ministero dell’Ambiente, della Tutela del Territorio e del Mare, in persona del Ministro p.t., il Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro p.t., e la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente in carica, propongono ricorso per cassazione, affidato a nove motivi, nei confronti della Livallova PLC, già Sorin spa, (che resiste con controricorso e ricorso incidentale in tre motivi). Le ricorrenti hanno, con controricorso, replicato al ricorso incidentale della Livallova ed hanno depositato documenti, in data 18/11/2019. La controricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente, ai fini di una corretta ricostruzione fattuale, occorre chiarire che laddove, anche nel corpo della decisione impugnata e negli atti, si parla di c.d. fusione inglese, si fa riferimento alla fusione per incorporazione della società italiana Sorin nella controllata totalitaria inglese HoldCo, oggi Livallova; si è poi verificata un’altra fusione, c.d. americana, perchè avvenuta negli USA, secondo la legge del Delaware, quella della società Cypher Merger (società di nuova costituzione e direttamente o indirettamente controllata dalla società inglese HoldCo/Livanova) in Cyberonics; all’esito di detta fusione, la società statunitense risultante dalla fusione è divenuta interamente controllata dalla società di diritto inglese HoldCo/Livallova.

2. Sempre preliminarmente, è inammissibile la nuova produzione documentale effettuata dalle ricorrenti, consistita essenzialmente in una sentenza della Corte d’appello di Milano, intervenuta, nel marzo 2019, in altro giudizio, promosso, nei confronti delle stesse amministrazioni pubbliche qui ricorrenti e della Livanova, dalla SNIA spa in amministrazione straordinaria, per sentire accertare che la convenuta Sorin (nuovo soggetto scaturito, nel 2003, da un’operazione di scissione, cui sono state trasferite da SNIA le partecipazioni detenute nel settore biomedicale) è condebitrice solidale, insieme a SNIA, nei confronti dell’Amministrazione pubblica, per i danni, ambientali e non, da accertare, sentenza con la quale, in via non definitiva, è stata affermata la corresponsabilità di Sorin.

Invero, come già affermato da questa Corte (Cass.2431/1995; Cass.6656/2004; Cass.7515/2011), “nel giudizio innanzi alla Corte di cassazione, secondo quanto disposto dall’art. 372 c.p.c., non è ammesso il deposito di atti e documenti non prodotti nei precedenti gradi del processo, salvo che non riguardino l’ammissibilità del ricorso e del controricorso ovvero nullità inficianti direttamente la sentenza impugnata, nel quale caso essi vanno prodotti entro il termine stabilito dall’art. 369, con la conseguenza che ne è inammissibile la produzione in allegato alla memoria difensiva di cui all’art. 378”.

La pronuncia prodotta non riguarda nè la nullità della sentenza qui impugnata nè l’ammissibilità del presente ricorso per cassazione, anche in relazione al primo motivo, per quanto si dirà appresso.

3. Tanto premesso, le ricorrenti principali lamentano, con il primo motivo, la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 2503 c.c., in ordine alla legittimazione ad opporsi da parte delle Amministrazioni, in quanto mere titolari di crediti contestati, sub judice, avendo la Corte d’appello ritenuto che la mancata prova del danno risarcibile vantato dalle Amministrazioni rappresentava “un ulteriore elemento per ritenere infondata la domanda”.

La censura è inammissibile, in quanto non pertinente al decisum.

Invero, in relazione all’opposizione alla fusione, domanda svolta dalle Amministrazioni pubbliche in via principale, la Corte d’appello non ha respinto la domanda per carenza di legittimazione ad opporsi, ex art. 2503 c.c., alla fusione delle stesse, avendo ritenuto che si fosse ormai verificato, quanto alla fusione c.d. inglese, ovverosia alla fusione della società italiana Sorin in società di diritto inglese, il completamento dell’operazione di fusione, con le rituali iscrizioni nel Registro delle Imprese ex art. 2594 c.c., comma 2, e gli effetti preclusivi di cui all’art. 2504 quater c.c..

La domanda risarcitoria, articolata in via subordinata, è stata invece respinta in quanto era mancata la prova della sussistenza, anche in astratto, di un danno da fusione ricollegabile all’operazione dedotta in giudizio (par. II a) della motivazione), essendo stato allegato solo un generico timore in ordine al fatto che la normativa straniera applicabile “potrebbe non rispettare le ragioni dei creditori”, rilevandosi, poi, in aggiunta, che neppure era stata provata nell’an e nel quantum la posizione di creditore delle Amministrazioni appellanti (oggetto peraltro di altri giudizi pendenti tra le parti).

Il diverso tema, invece, dell’accertamento dell’effettiva responsabilità di Sorin nella responsabilità per danni ambientali, in conseguenza della scissione della SNIA spa, è estraneo al presente giudizio.

4. Con il secondo motivo del ricorso principale, si lamenta l’omesso esame, ex art. 360 c.p.c., n. 5, di fatto decisivo, per non avere i giudici di merito considerato che la c.d. fusione inglese costituisce un mero trasferimento di sede ed un cambio di denominazione di Sorin, nonchè per avere ritenuto che oggetto dell’opposizione fosse esclusivamente la c.d. fusione inglese, pretermettendo l’unità dell’operazione costituta dalla c.d. fusione inglese o “fusione Sorin” (in società di diritto inglese oggi denominata Livanova, già SandHoldCo Plc) e dalla c.d. fusione americana o “fusione Cyberonics” (fusasi con la Cypher Merger Sub Inc, società di nuova costituzione interamente posseduta da Livanova), avente come vero obiettivo l’aggregazione di Sorin nella società Cyberonics.

La censura è inammissibile, in quanto non viene dedotto un vizio di omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, secondo la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, quanto una questione correlata alla diversa ricostruzione o valutazione o interpretazione che le amministrazioni attrici e poi appellanti avevano dato della operazione di fusione c.d. inglese, vale a dire l’intento di realizzare un mero trasferimento di sede ed un cambio di denominazione di Sorin in vista della successiva fusione c.d. americana.

Ma la Corte d’appello ha correttamente rilevato che l’unica fusione cui le amministrazioni pubbliche, quali creditrici potenzialmente danneggiate, potevano opporsi, ex art. 2503 c.c., comma 2, era quella c.d. inglese, riguardante la loro debitrice la società italiana Sorin spa, fusasi nella proprio controllata inglese HoldCo, oggi Livanova, non anche quella della società Cypher Merger, indirettamente controllata dalla HoldCo/Livanova, con la società di diritto statunitense Cyberonics (che, per effetto di questa fusione era divenuta interamente da Livallova), operazione cui Sorin era legalmente estranea.

Come chiarito da questa Corte (Cass. 21152/2014; Cass. 17761/2016) “l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, prevede l'”omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione”, come riferita ad “un fatto controverso e decisivo per il giudizio” ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico – naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni” che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate”. Sempre questa Corte (Cass. 5795/2017; Cass. 20718/2018) ha precisato che “l’omesso esame della questione relativa all’interpretazione del contratto non è riconducibile al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, in quanto l’interpretazione di una clausola negoziale non costituisce fatto decisivo per il giudizio, atteso che in tale nozione rientrano gli elementi fattuali e non quelli meramente interpretativi”.

5. Le ricorrenti principali denunciano quindi, con il terzo motivo, la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 2503 c.c., e art. 112 c.p.c., per non avere i giudici di merito deciso sull’opposizione che riguardava, in realtà, l’intera operazione, costituente un unicum funzionale, di aggregazione tra le società Sorin Lue; e Cyberonics.

Il motivo è inammissibile, in quanto, come già rilevato al precedente paragrafo, la Corte d’appello non ha omesso di pronunciarsi, in violazione dell’art. 112 c.p.c., sull’opposizione riguardante l’aggregazione tra Sorin e Cyberonics ma ha motivatamente ritenuto, al pari del giudice di primo grado, che l’opposizione ex art. 2503 c.c., potesse necessariamente riguardare il solo segmento in cui la Sorin spa, asserita debitrice delle Amministrazioni pubbliche attrici, aveva partecipato, vale a dire la c.d. fusione inglese o “fusione Sorin” (in società di diritto inglese oggi denominata Livanova, già SandHoldCo Plc).

L’opposizione ex art. 2503 c.c., comma 2, è infatti un strumento preventivo concesso ai creditori sociali per impedire che essi possano ricevere dalla fusione un pregiudizio alla loro aspettativa di soddisfazione del credito.

L’art. 2504 quater c.c., stabilisce poi che, una volta eseguite le iscrizioni dell’atto di fusione di cui all’art. 2504 c.c., comma 2, l’invalidità dell’atto di fusione non può essere più pronunciata, salvo il diritto al risarcimento del danno dei soci o dei terzi; la tutela reale viene quindi meno per garantire il pubblico affidamento nei confronti dell’atto societario.

Nella specie, l’iscrizione dell’atto di fusione riguardante la Sorin era avvenuto, a seguito del provvedimento cautelare autorizzatorio dell’agosto 2015 (non reclamato), con l’effetto preclusivo di cui alla norma dell’art. 2504 quater c.c..

Questa Corte (Cass. 28245/2005) ha già chiarito che “la disposizione di cui all’art. 2504 quater c.c., richiamata anche per le operazioni di scissione dall’art. 2504 novies (oggi art. 2506 ter c.c.), secondo cui, una volta eseguita l’iscrizione dell’atto di fusione delle società, l’invalidità dello stesso non può più essere dichiarata, pone una preclusione di carattere assoluto, che riguarda tanto il caso in cui si deducano vizi inerenti direttamente all’atto di fusione, quanto l’ipotesi in cui i vizi concernano il procedimento di formazione dell’atto e della sua iscrizione; tale preclusione rimane operante anche nel caso in cui si asserisca che l’impugnativa è meramente preordinata ad una futura ed ipotetica azione di risarcimento del danno nei confronti degli amministratori o di terzi”. La preclusione della declaratoria di invalidità dell’atto di fusione, sancita dall’art. 2504 quater c.c., quale effetto dell’iscrizione nel registro delle imprese, infatti, “tutela l’affidamento dei terzi e la certezza dei traffici, sicchè, quando l’iscrizione dell’atto di fusione nel registro delle imprese sia avvenuta in base ad una sequenza procedimentale priva di riconoscibili anomalie esteriori, l’inesistenza giuridica di una delle delibere assembleari propedeutiche alla fusione, nei limiti in cui essa possa essere ipotizzata, non determina l’inesistenza giuridica dell’atto di fusione, ormai iscritto nel registro, restando esclusa l’impugnabilità di quest’ultimo e risultando carente, pertanto, l’interesse all’accertamento dell’inesistenza della delibera prodromica” (Cass. 8864/2012).

La sentenza impugnata risulta conforme a tali principi di diritto.

6. Con il quarto motivo, si denuncia la nullità della sentenza, ex art. 360 c.p.c., n. 4, per omessa ed apparente motivazione, in relazione alla ritenuta mancata dimostrazione di una diminuzione della garanzia patrimoniale vantata dai creditori, non avendo invece la Corte d’appello motivato alcunchè sulle denuncia delle gravi carenze informative sugli effetti giuridici dell’operazione complessiva di fusione esposte nell’opposizione dalle Amministrazioni attrici e sul grave timore dedotto da queste ultime che la nuova società, frutto della sinergia tra Sorin e Cyberonics, opponesse alle stesse amministrazioni pubbliche l’assenza di passività ambientali nella contabilità di Snia passate a Sorin e quindi alla società incorporante quest’ultima (come testimoniato dalle dichiarazioni presenti, circa l’inesistenza di debiti ambientali, nel “transaction agreement” stipulato nel marzo 2015 tra Sorin, HoldCo, Merger Sub e Cyberonics).

Il motivo è infondato.

La Corte d’appello al par. II-a), pag.8, ha diffusamente e con esaustiva motivazione escluso la fondatezza del “timore”, peraltro del tutto generico, prospettato dalle amministrazioni appellanti in ordine al fatto che la disciplina giuridicamente applicabile alla fusione potesse pregiudicare le ragioni dei creditori.

Come ribadito dalla Corte di merito, peraltro, la fusione in oggetto (Sorin/Livallova) non è disciplinata da leggi straniere non meglio individuate ma dal D.Lgs. n. 108 del 2008, attuativo della Direttiva comunitaria 2005/56/Ce, in materia di fusioni transfrontaliere delle società di capitali.

Non ricorre pertanto il vizio di motivazione del tutto omessa o apparente, risolvendosi le censure in un vizio di insufficienza motivazionale della decisione impugnata.

Questa Corte ha di recente ribadito (Cass. 23940/2017) che “in seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, con v., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia”.

7. Le ricorrenti principali lamentano quindi, con il quinto motivo, la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 2503 c.c., art. 7 della Direttiva n. 2005/56 CE e D.Lgs. n. 108 del 2008, art. 6, nonchè dei principi generali in materia di obblighi informativi a vantaggio dei creditori in caso di fusione, da ritenersi riguardanti sia i profili patrimoniali sia i profili normativi (e quindi la disciplina applicabile, inglese ed americana).

Il motivo è inammissibile.

Le ricorrenti lamentano che la Corte d’appello avrebbe errato nell’affermare che il solo profilo rilevante ai fini della pretesa risarcitoria nell’opposizione alla fusione sia quello riguardante gli aspetti patrimoniali dell’operazione, con riguardo alla diminuzione delle garanzie patrimoniali per il creditore, dovendosi invece ritenersi di rilievo anche il profilo riguardante la normativa applicabile alla fusione transfrontaliera e l’omessa informativa sulla stessa disciplina applicabile, in quanto, ad avviso delle ricorrenti, “tale normativa potrebbe in ipotesi escludere che i debiti della incorporata passino all’incorporante o disporre che passino soltanto i debiti risultanti dal bilancio dell’incorporata o dichiarati in altro modo dalla incorporata; tale normativa potrebbe anche, ad esempio, prevedere tempi e/o modalità più onerose per l’esazione dei crediti dell’incorporata”.

Il motivo difetta di specificità, in quanto, trattandosi, come dedotto dalla controricorrente, quanto alla società di diritto inglese, di società quotata in borsa ed essendo stato pubblicato il documento informativo, prima dell’assemblea straordinaria del 26/5/2015, relativo alla fusione transfrontaliera, non si comprende quali siano le carenze lamentate con riguardo agli aspetti normativi della disciplina applicabile, rimaste non conoscibili da parte delle creditrici, Amministrazioni pubbliche.

Le ricorrenti lamentano pertanto una lesione meramente ipotetica.

La Corte d’appello ha efficacemente risposto, affermando, nel corpo del II paragrafo sub a), che la prospettazione di un mero timore, genericamente allegato, all’interno di un’opposizione alla fusione, in difetto di elementi concreti di riscontro, in ordine al fatto che la normativa applicabile potrebbe non essere rispettosa delle ragioni del creditore, non configura il pregiudizio integrante il danno da fusione (di Sorin in Livanova) azionabile dalle creditrici opponenti.

8. Nel sesto motivo del ricorso principale,, si lamenta la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 2503 c.c., e art. 2504 quater c.c., comma 1, nella parte in cui la Corte d’appello ha respinto la domanda principale diretta ad ottenere la tutela reale di opposizione alla fusione.

La censura è infondata.

Con essa, anzitutto le ricorrenti reiterano la doglianza in ordine al fatto che la c.d. fusione inglese non sarebbe in realtà una fusione ma un mero trasferimento di sede della Sorin, con conseguente inapplicabilità dell’art. 2504 quater c.c., e che oggetto dell’opposizione proposta sarebbe in realtà l’intera operazione di aggregazione di Sorin in Cyberonics. In relazione a tali profili, valgono le considerazioni già svolte nei precedenti paragrafi, rilevandosi che comunque quella proposta è un’opposizione alla fusione ex art. 2503 c.c., comma 2, e che l’unica fusione cui aveva partecipato la Sorin, asserita debitrice delle Amministrazioni pubbliche quale successore di Snia, è quella c.d. inglese.

Quanto poi al profilo correlato all’effetto preclusivo o sanante dell’art. 2504 quater c.c., le ricorrenti deducono che, nella specie, esso non opererebbe, in quanto si verterebbe in ipotesi di violazioni di norme o principi di ordine pubblico, tra cui rientrerebbero i principi che presiedono alle norme relative alla redazione dei documenti informativi previsti per la fusione.

Anche tale profilo è infondato. Vanno, al riguardo, richiamati i principi di diritto espressi da questa Corte (Cass. 28242/2005; Cass. 8864/2012), già ribaditi al par. 5.

9. Le ricorrenti lamentano con il settimo motivo, la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 2503 c.c., e art. 2504 quater c.c., comma 1, nella parte in cui la Corte d’appello ha respinto la domanda subordinata diretta ad ottenere il risarcimento dei danni derivanti dalla fusione, per mancata allegazione e prova di un danno effettivo, laddove la domanda risarcitoria subordinata proposta era volta ad eliminare il pregiudizio lamentato, in re ipsa, dipendente dalle carenze informative sugli effetti giuridici della fusione, attraverso una pronuncia che dichiarasse “senza equivoci la responsabilità dell’incorporante per i debiti dell’incorporata”.

Con il motivo sostanzialmente si lamenta che la Corte d’appello non avrebbe correttamente vagliato il contenuto della domanda subordinata risarcitoria.

In motivo è inammissibile, per assoluta genericità.

La Corte d’appello, al pari del giudice di primo grado, ha rilevato che le amministrazioni pubbliche opponenti, con la domanda subordinata, nel giudizio di opposizione alla fusione, avevano chiesto, non il mero accertamento della responsabilità della società scaturente dalla fusione per i debiti della società incorporata, peraltro oggetto di altri giudizi pendenti tra le parti, ma la condanna al risarcimento del c.d. danno da fusione.

Peraltro, la controricorrente Livallova ha eccepito, nel controricorso, anche una ragione ostativa per preclusione, rispetto ad una domanda di accertamento come quella in esame, atteso che il giudice di primo grado aveva ritenuto tardiva la domanda, in quanto formulata solo in sede di memoria conclusionale e sul punto non era stato formulato specifico motivo di appello.

Ora, nel settimo motivo, come nel quinto già esaminato, non si precisa in cosa sarebbe consistito il danno lamentato da pretesa omissione informativa e si denuncia un danno puramente ipotetico, per il caso che la disciplina straniera applicabile all’esito delle fusioni non prevedesse la successione della società risultante dalla fusione nei debiti di quelle fusesi.

Ma, ai sensi dell’art. 2501 ter c.c., comma 3, e D.Lgs. n. 108 del 2008, artt. 6 e 7, è stato previsto, almeno trenta giorni prima della data fissata per l’assemblea generale di approvazione, il deposito del progetto comune di fusione per l’iscrizione nel registro delle imprese del luogo ove hanno sede le società partecipanti e, per estratto, nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, con indicazione anche della legge regolatrice della società risultante dalla fusione e di ciascuna delle società coinvolte.

L’onere informativo risulta essere stato quindi assolto, secondo le prescrizioni di legge, mentre l’assunto da cui muovono le ricorrenti, secondo il quale l’onere di informazione implicherebbe anche, nel dettaglio, l’illustrazione del contenuto delle norme, della disciplina da esse derivante e degli effetti, risulta del tutto infondato.

La Corte d’appello ha giustamente rilevato che non può integrare un pregiudizio risarcibile, derivante dalla fusione transfrontaliera, quello correlato a mero timore, genericamente allegato, degli effetti di una regolamentazione straniera della società risultante all’esito della fusione, che oltretutto, sulla base degli elementi offerti ed essendo stata comunque indicata la legge applicabile, “può essere conosciuta” dalle amministrazioni pubbliche attrici.

Valgono pertanto le argomentazioni già svolte in risposta dei pregressi motivi.

10. Con l’ottavo motivo, si denuncia poi la violazione e/o falsa applicazione degli art. 112 c.p.c., art. 183 c.p.c., comma 6, e art. 345 c.p.c., in ordine alla richiesta istruttoria, formulata dalle appellanti in sede di conclusioni in appello, di ammissione di produzione documentale (a) delle produzioni a corredo della memoria di primo grado ex art. 183 c.p.c., comma 6, n. 3; b) della documentazione depositata in uno con l’atto di appello; c) delle produzioni di cui all’udienza di precisazione delle conclusioni davanti alla Corte d’appello), sulla quale richiesta istruttoria la Corte d’appello nulla ha statuito.

La censura è inammissibile.

In relazione ai documenti prodotti con l’atto di appello, anzitutto, la mera produzione di un documento in appello non comporta automaticamente il dovere del giudice di esaminarlo, in ossequio all’onere di allegazione delle ragioni di doglianza sotteso al principio di specificità dei motivi di appello, occorrendo che alla produzione si accompagni la necessaria attività di allegazione diretta ad evidenziare il contenuto del documento ed il suo significato, ai fini dell’integrazione della ingiustizia della sentenza impugnata (Cass. 2461/2019; Cass. 8377/2009).

Nel giudizio ordinario, in effetti, con riguardo alla produzione di nuovi documenti in grado di appello, l’art. 345 c.p.c., comma 3, nel testo applicabile ratione temporis, e cioè successivo alle modifiche apportate dalla L. n. 69 del 2009 (cfr. la L. n. 69 cit., art. 58, comma 2, a norma del quale l’art. 345 c.p.c., nel testo modificato dalla stessa legge si applica ai giudizi che, come quello in esame, erano pendenti in primo grado al momento della sua entrata in vigore in data 4/7/2009), dev’essere interpretato nel senso che esso fissa sul piano generale il principio della inammissibilità di mezzi di prova “nuovi” (la cui ammissione non sia stata richiesta in precedenza), indicando nello stesso tempo i limiti di tale regola, in via alternativa (e non concorrente), vale a dire che si tratti di prove o di documenti che le parti dimostrino di non aver potuto proporre prima, per causa ad esse non imputabile, ovvero che, nel quadro delle risultanze istruttorie già acquisite, siano indispensabili ai fini della decisione della causa, vale a dire di per sè idonei ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio, a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per propria negligenza o per altra causa, nelle preclusioni istruttorie del primo grado (Cass. SU n. 10790 del 2017, in motiv.; Cass. n. 24164 del 2017; Cass. n. 24129 del 2018).

In ogni caso, il potere – dovere del giudice di appello di esaminare i documenti prodotti ex art. 345 c.p.c., comma 2, sussiste solo se la parte ne faccia specifica richiesta, esponendo gli scopi della esibizione in rapporto alle specifiche ragioni da essa poste a fondamento dell’impugnazione; in caso contrario, la controparte è nell’impossibilità di controdedurre e, conseguentemente, per lo stesso giudice resta impedita la valutazione di quei documenti ai fini della decisione.

Le ricorrenti non deducono di avere formulato tale specifica richiesta in appello, risultando esclusivamente che, in sede di conclusioni, esse avevano chiesto l’ammissione di varia produzione documentale, di formazione successiva al trattenimento in decisione della causa da parte del Tribunale, attinenti ad altro giudizio pendente tra le parti in grado di appello.

Quanto poi ai documenti non ammessi dal giudice già in primo grado, le ricorrenti dovevano specificare, nel ricorso per cassazione, di avere, con l’atto di appello, espressamente censurato la decisione del Tribunale nella parte in cui non aveva revocato l’ordinanza istruttoria di espunzione di alcuni documenti asseritamente prodotti dalle attrici nella terza memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, non risultando ciò dalla decisione della Corte d’appello.

11. Infine, con il nono motivo, si lamenta la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, della tariffa forense (D.M. n. 55 del 2014) nella parte in cui la Corte d’appello ha maggiorato le spese processuali di appello, poste a carico delle amministrazioni pubbliche appellanti, in favore dell’appellata Sorin/Livallova, del 20% per pluralità di parti.

Il motivo, in punto di statuizione sulle spese processuali, è infondato.

Il D.M. n. 55 del 2014, art. 4, comma 2, stabilisce: “Quando in una causa l’avvocato assiste più soggetti aventi la stessa posizione processuale, il compenso unico può di regola essere aumentato per ogni soggetto oltre il primo nella misura del 20 per cento, fino a un massimo di dieci soggetti, e del 5 per cento per ogni soggetto oltre i primi dieci, fino a un massimo di venti. La disposizione di cui al periodo precedente si applica quando più cause vengono riunite, dal momento dell’avvenuta riunione e nel caso in cui l’avvocato assiste un solo soggetto contro più soggetti”.

Ne consegue che la disposta maggiorazione del 20% del compenso unico per pluralità di parti, aventi la medesima posizione processuale, si giustificava, avendo dovuto la controricorrente rivolgere la propria difesa contro più amministrazioni pubbliche che avevano agito in giudizio, sia pure con la stessa posizione processuale.

12. La ricorrente incidentale lamenta: 1) con il primo motivo, l’omesso esame, ex art. 360 c.p.c., n. 5, di fatto decisivo, per non avere i giudici d’appello considerato i presupposti per la corretta applicazione dell’art. 96 c.p.c., nella revoca della condanna delle amministrazioni pubbliche per lite temeraria; 2) con il secondo motivo, la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 4, dell’art. 112 c.p.c., per avere la Corte d’appello, in ultrapetizione, pronunciato sul profilo del valore indeterminabile della domanda, di particolare importanza, in difetto di specifica censura da parte delle appellanti, che avevano lamentato soltanto l’arbitrarietà dell’importo liquidato in primo grado; 3) con il terzo motivo, la violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, degli artt. 10 e 14 c.p.c. e D.M. n.. 55 del 2014, art. 5, per non avere la Corte d’appello parametrato il valore della controversia alla entità della richiesta risarcitoria per danni ambientali azionata in separato giudizio, per oltre 3,5 miliardi di Euro.

13. Il primo motivo del ricorso incidentale è inammissibile.

La ricorrente si duole della riforma della decisione di primo grado, in punto di condanna delle amministrazioni soccombenti per lite temeraria, avendo la Corte d’appello revocato la condanna, ritenendo insussistenti gli estremi del dolo e della colpa grave in capo alle attrici appellanti ovvero dell’abuso del processo, in considerazione della complessità dell’operazione di fusione transfrontaliera realizzata e della rilevanza degli interessi pubblici coinvolti.

Ora, come chiarito da questa Corte (Cass. 327/2010), l’accertamento, ai fini della condanna al risarcimento dei danni da responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., dei requisiti dell’aver agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave (comma 1) ovvero del difetto della normale prudenza (comma 2) implica un apprezzamento di fatto, non censurabile in sede di legittimità, se la sua motivazione in ordine alla sussistenza o meno dell’elemento soggettivo ed all'”an” ed al “quantum” dei danni di cui è chiesto il risarcimento risponde ad esatti criteri logico-giuridici (nella specie, questa Corte, rigettando il ricorso avverso una sentenza adottata in sede di rinvio, ha ritenuto adeguata la motivazione con la quale era stata respinta la domanda di risarcimento ex art. 96 c.p.c., in ragione della perdurante complessità delle questioni che erano state oggetto del giudizio, tali da escludere che l’esercizio dell’azione fosse stato imprudente, tenendo conto, altresì, che il principio precedentemente enunciato dal giudice di legittimità non aveva escluso la prospettazione di ulteriori questioni rilevanti nella sua applicazione).

Nella specie, la Corte d’appello ha ritenuto, con congrua ed esaustiva motivazione, di potere escludere la sussistenza di malafede o colpa grave della parte pubblica soccombente, presupposti che sussistono “quando la parte abbia agito, o resistito, con la coscienza dell’infondatezza della domanda o dell’eccezione, ovvero senza avere adoperato la normale diligenza per acquisire la coscienza dell’infondatezza della propria posizione”, in relazione all’oggetto del giudizio (opposizione a fusione transfrontaliera ed agli interessi pubblici coinvolti, avendo le pubbliche amministrazioni di agire a tutela del diritto di credito correlato a danni ambientali).

14. Il secondo motivo del ricorso incidentale è infondato.

Invero, le amministrazioni pubbliche avevano impugnato la statuizione di primo grado relativa alle spese di lite, assumendo essere del tutto arbitraria la liquidazione, a loro carico, dell’importo di Euro 200.000,00, al di fuori di qualunque parametro normativo, cosicchè non può parlarsi di ultrapetizione, in vio azione dell’art. 112 c.p.c., atteso che la contestazione atteneva necessariamente a tutta la statuizione di condanna alle spese e quindi anche ai relativi parametri utilizzati per la determinazione del quantum liquidato.

15. Anche il terzo motivo del ricorso incidentale è infondato, in quanto correttamente la Corte di merito ha ritenuto di applicare lo scaglione relativo al valore indeterminabile della controversia, atteso che si verteva in ipotesi di domande volte sia alla tutela reale in ambito di opposizione alla fusione sia alla tutela obbligatoria, azionata in via subordinata, per danno da fusione, in relazione alla quale non era stata operata una precisa quantificazione economica.

16. Per tutto quanto sopra esposto, vanno respinti sia il ricorso principale sia quello incidentale.

In considerazione dell’esito della lite e della soccombenza reciproca delle parti, le spese processuali vanno parzialmente compensate tra le stesse nella misura di un quinto, considerato che il ricorso incidentale ha avuto ad oggetto esclusivamente doglianze sulla statuizione sulle spese e sulla temerarietà della lite, mentre le spese dei restanti quattro quinti, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La Corte respinge il ricorso principale e quello incidentale; compensa tra le parti le spese processuali del presente giudizio di legittimità nella misura di un quinto; condanna le parti ricorrenti, in solido, al rimborso dei restanti quattro quinti delle spese processuali, liquidati, in favore della controricorrente, in complessivi Euro 14.000,00, a titolo di compensi, oltre 200,00 per esborsi, nonchè al rimborso forfetario delle spese generali, nella misura del 15%, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti, principale ed incidentale, dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 22 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2020

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