Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5601 del 11/03/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 5601 Anno 2014
Presidente: NUZZO LAURENZA
Relatore: PETITTI STEFANO

appalto

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NAICO s.r.l.
rappresentante

(01261750218),
pro tempore,

procura speciale

in persona del legale
rappresentata e difesa, per

a margine del ricorso, dall’Avvocato

Arturo Knering, domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso
la Cancelleria civile della Corte suprema di cassazione;
– ricorrente
contro
OBERHÓLLER Martin (BRH MTN 44R15 I431Y), rappresentato e
difesi, per procura speciale a margine del controricorso,
dagli Avvocati Karl

Schwienbacher

e

Luigi Manzi,

elettivamente domiciliato presso lo studio del secondo in
Roma, via F. Confalonieri n. 5;

vin//3

– 1 –

Data pubblicazione: 11/03/2014

- controricorrente avverso la sentenza della Corte d’appello di Trento,
sezione di Bolzano n. 205/06, depositato il 30 ottobre
2006.
la relazione della causa svolta nella pubblica

udienza del 16 ottobre 2013 dal Consigliere relatore Dott.
Stefano Petitti;
udito l’Avvocato Federica Manzi con delega;
udito

il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto

Procuratore Generale Dott. Costantino Fucci, che ha
chiesto il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza depositata il 13 gennaio 2005, il
Tribunale di Bolzano, in parziale accoglimento della
domanda proposta da Oberhóller Martin nei confronti di
NAICO s.r.1., condannava quest’ultima al pagamento della
somma di euro 24.628,79, a titolo di residuo corrispettivo
per opere eseguite in appalto, e accoglieva la domanda
riconvenzionale della NAICO volta ad ottenere il pagamento

della penale per ritardata esecuzione delle opere,
determinata in euro 9.296,22, operando poi

la

compensazione.
Avverso questa sentenza l’Oberhóller proponeva
appello, cui resisteva NAICO s.r.l.

Udita

La Corte d’appello di Trento, sezione distaccata di
Bolzano, in parziale accoglimento del gravame, riteneva
che il residuo corrispettivo dell’appalto fosse di euro
36.660,24, sicché, operata la compensazione con il debito

pagamento, in favore dell’appellante, della somma di euro
27.364,02, oltre accessori come determinati dalla sentenza
di primo grado.
La Corte d’appello disattendeva il motivo di gravame
concernente l’applicazione della penale ed accoglieva
quello con il quale Oberhóller si era lamentato del fatto
che il Tribunale avesse determinato il residuo suo credito
senza considerare che la pattuizione di uno sconto era
funzionale al pagamento immediato della somma residua;
condizione, questa, che non si era verificata, sicché
doveva ritenersi che la transazione – così qualificato
l’accordo intercorso tra le parti in ordine allo sconto non avesse raggiunto lo scopo suo proprio.
Per la cassazione di questa sentenza NAICO s.r.l. ha
proposto ricorso sulla base di due motivi, cui ha
resistito, con controricorso, Oberhóller Martin, il quale
ha anche depositato memoria in prossimità dell’udienza.
MOTIVI DELLA DECISIONE
l. Con il primo motivo di ricorso, la ricorrente
denuncia violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per

3

dell’appaltatore per penale, condannava NAICO s.r.l. al

avere la Corte d’appello pronunciato l’inefficacia
dell’accordo per mancato raggiungimento dello scopo del
contratto, anche sulla base di una assunta
presupposizione, senza che sia stata formulata domanda

domanda di risoluzione del contratto per presupposizione.
In proposito formula il seguente quesito di diritto:
«può il giudice affermare l’inefficacia del patto
sull’asserito tacito ma inequivoco presupposto, assunto
come verificatosi, che la parte appaltatrice pagasse
effettivamente la somma, senza ulteriori eccezioni, anche
quando l’appaltatore non ha svolto né domanda di
risoluzione del contratto né (se fosse ammissibile e/o
configurabile giuridicamente) di inefficacia del negozio e
addirittura quando la stessa parte mai ha sostenuto in
causa l’esistenza stessa di tale presupposizione?».
1.1. La ricorrente rileva che Oberhóller ebbe a
concedere la riduzione del prezzo a fronte dell’impegno
dalla committente assunto di pagare il saldo entro una
settimana dalla emissione della “fattura finale”. Di tale
patto, peraltro, Oberhóller non ha mai chiesto la
risoluzione, essendosi limitato per tutta la causa a
sostenere che lo sconto sarebbe stato subordinato solo al
pagamento entro una settimana. Tuttavia, una simile
deduzione non aveva trovato riscontro sul piano

intesa all’accertamento dell’invalidità del patto, né una

probatorio, come riconosciuto dal giudice di primo grado,
mentre la Corte d’appello non è entrata nel merito,
fondando la propria decisione su una diversa ed autonoma
eccezione.

di motivazione insufficiente e/o contraddittoria in
merito: a) all’avvenuto accertamento della esistenza del
patto di sconto (alias presupposizione); b) all’assunto
inadempimento in cui sarebbe incorsa essa ricorrente sulla
condizione presupposta, avendo in proposito la Corte
d’appello ritenuto che la stessa non avrebbe onorato
l’impegno, ed avrebbe poi invocato ulteriori riduzioni del
corrispettivo, in parte ottenute.
Sotto il primo profilo, la ricorrente censura, in
quanto insufficiente o contraddittoria, la motivazione con
cui la Corte d’appello ha ritenuto dimostrata l’asserita
esistenza di un accordo in forza del quale il presupposto
per il riconoscimento della riduzione sarebbe consistito
nel fatto che la parte appaltatrice pagasse effettivamente
la somma, senza addurre ulteriori eccezioni.
Sotto il secondo profilo, la ricorrente rileva che non
sarebbe stato provato l’inadempimento addebitatole quanto
al mancato pagamento.
2. Il primo motivo è infondato.

1.2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce vizio

La ricorrente si duole, nella sostanza, che la Corte
d’appello abbia, da un lato,

ritenuto provata l’esistenza

di un patto relativo allo

sconto, nel senso che la

riduzione del prezzo dell’appalto, nella misura del 2%

sollecito pagamento del residuo risultante da detta
riduzione, e, dall’altro, abbia dichiarato la inefficacia
del patto intervenuto tra le parti, non essendo il
pagamento stato effettuato entro una settimana dalla data
di emissione della fattura, né successivamente, in assenza
di una domanda in tal senso formulata dall’Oberhóller.
Nei termini in cui è prospettata, la censura non tiene
conto che la sentenza impugnata ha riferito puntualmente
la censura svolta dall’appellante, nei termini esatti in
cui la stessa è stata accolta. Ed ha riferito, altresì, la
deduzione difensiva svolta sul punto dall’appellata,
odierna ricorrente, la quale, lungi dall’eccepire la
inammissibilità della deduzione svolta dall’appellante
perché nuova, e quindi in violazione dell’art. 345 cod.
proc. civ., ha invece contestato che «la deposizione del
teste Winkler potesse essere valorizzata nei termini
voluti

ex adverso».

D’altra parte, la ricorrente, nel

limitarsi a riprodurre, per il giudizio di appello, il
testo della sentenza impugnata, non ha neanche offerto
alla Corte elementi per affermare che le difese svolte nel

sull’intero valore del contratto, era subordinata al

giudizio di appello fossero diverse o ulteriori rispetto a
quelle riferite nella sentenza impugnata.
Risulta quindi evidente che la questione della
inammissibilità delle deduzioni dell’appellante in ordine

introdotta nel giudizio di appello, non può formare
oggetto di impugnazione in questa sede.
E’ noto, infatti, che «non sono prospettabili, per la
prima volta, in sede di legittimità le questioni non
appartenenti al tema del decidere dei precedenti gradi del
giudizio di merito, né rilevabili di ufficio» (v., da
ultimo, Cass. n. 17041 del 2013).
D’altra parte, che la questione del condizionamento
dello sconto al pagamento immediato facesse già parte
della materia del contendere nel giudizio di primo grado,
e che quindi la domanda dell’appaltatore trovasse
fondamento nella dedotta inefficacia del detto patto,
emerge dallo stesso ricorso, sia nella parte in cui si
riportano le deduzioni istruttorie in primo grado
dell’Oberhóller (il quale aveva chiesto di provare che
«verso la fine dell’anno 1994 in sede di definitiva
determinazione delle spettanze dell’attore risultate pari
a lire 70.687.980 più

IVA

la convenuta ha chiesto uno

sconto di lire 23.000.000 chiedendo l’emissione di fattura
per lire 47.687.980 e promettendo il pronto pagamento del

alla esistenza del patto di sconto, non essendo stata

predetto importo»), sia nella parte in cui viene riportata
la sentenza di primo grado, e segnatamente l’affermazione
per cui «nessun teste ha riferito che lo sconto sarebbe
valso solo a condizione del pagamento immediato. Invero è

di altre circostanze quali ad es. il furto degli attrezzi
dell’elettricista e l’umidità delle cantine (…)».
In conclusione, il primo motivo è infondato.
3. Il secondo motivo è infondato in entrambi i profili
nei quali si articola.
Occorre premettere che «il ricorso per cassazione
conferisce al giudice di legittimità non il potere di
riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma
solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della
correttezza giuridica e della coerenza logico-formale,
delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al
quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare
le fonti del proprio convincimento, di controllarne
l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le
complessive risultanze del processo, quelle ritenute
maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti
ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno
o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi
tassativamente previsti dalla legge» (Cass. n. 27197 del
2011; Cass. n. 24679 del 2013). Infatti, «il vizio di

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emerso che l’impresa fece detto sconto in considerazione

omessa od insufficiente motivazione, denunciabile con
ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 n.5 cod.
proc. civ., sussiste solo quando nel ragionamento del
giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia

che lo ha condotto alla formazione del proprio
convincimento, mentre il vizio di contraddittoria
motivazione presuppone che le ragioni poste a fondamento
della decisione risultino sostanzialmente contrastanti in
guisa da elidersi a vicenda e da non consentire
l’individuazione della

ratio decidendi, e

cioè

l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto
a base della decisione adottata. Questi vizi non possono
consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e
delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello
preteso dalla parte, spettando solo a detto giudice
individuare le fonti del proprio convincimento, valutare
le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza,
scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute
idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare
prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, salvo i
casi tassativamente previsti dalla legge in cui un valore
legale è assegnato alla prova» (Cass. n. 17076 del 2007;
Cass. n. 6064 del 2008; Cass. n. 7394 del 2010).

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riscontrabile una obiettiva deficienza del criterio logico

3.1. Nell’ambito dei limiti ora ricordati, deve quindi
rilevarsi che la Corte d’appello, sulla base di una
ricostruzione desunta dalle risultanze istruttorie, ha
ritenuto che tra le parti, incontestato che la committente

importo complessivo accertato in lire 1.108.296.019, fosse
intervenuto un accordo in base al quale l’appaltatore
creditore concedeva uno sconto del 2% computato
sull’importo totale dei lavori eseguiti, a condizione che
il pagamento del residuo, determinato in lire 47.687.980,
recato dalla fattura finale del 30 dicembre 1994,
avvenisse entro una settimana dalla emissione della
fattura stessa.
Afferma la Corte d’appello, dopo aver richiamato la
deposizione del teste Winkler, che le parti avevano
chiaramente convenuto che il riconoscimento della
riduzione consisteva nel fatto che la committente pagasse
effettivamente la somma ridotta senza addurre ulteriori
eccezioni.
Trattasi di interpretazione non implausibile del
risultato della deposizione del teste indicato, non
contrastata utilmente in questa sede di legittimità,
atteso che non vengono evidenziati vizi nella motivazione
della sentenza impugnata, ma solo prospettata una diversa
interpretazione di quella deposizione, risolvendosi quindi

NAICO doveva a saldo la somma di lire 70.687.980 su un

la censura in una inammissibile sollecitazione ad una
valutazione diversa da quella cui è pervenuto, con
motivazione congrua e logica, il giudice di appello. E’
appena il caso di rilevare, poi, che la non implausibilità

motivatamente argomentata dalla Corte d’appello non viene
meno per il fatto che il Tribunale, come già riferito, non
aveva valorizzato la medesima deposizione o non la aveva
ritenuta meritevole di considerazione al punto da fondare
su di essa una decisione interamente favorevole alla tesi
dell’attore.
Senza dire che tutta l’argomentazione della ricorrente
muove dalla considerazione della vicenda processuale che
riguarda direttamente le parti del presente giudizio nel
quadro della diversa, ancorché riunita, causa avente ad
oggetto la domanda di risarcimento dei danni avanzata dai
proprietari degli appartamenti realizzati nell’edificio
oggetto del contratto di appalto intercorso tra la
ricorrente e l’impresa controricorrente, senza che dalla
sentenza impugnata emerga in alcun modo che le vicende
afferenti al diverso rapporto processuale abbiano influito
sulla formazione del convincimento della Corte d’appello.

4.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato,

con conseguente condanna della ricorrente, in applicazione

della ricostruzione delle risultanze istruttorie

del principio della soccombenza, al pagamento delle spese
del presente giudizio.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al

liquida in euro 3.500,00 per compensi, oltre ad euro
200,00 per esborsi e agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della
Seconda Sezione Civile della Corte suprema di cassazione,
il 16 ottobre 2013.

pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che

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