Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5601 del 02/03/2021

Cassazione civile sez. trib., 02/03/2021, (ud. 11/11/2020, dep. 02/03/2021), n.5601

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. NONNO G. M. – Consigliere –

Dott. TRISCARI G. – rel. Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 11567 del ruolo generale dell’anno 2012

proposto da:

Telearena s.p.a., in persona del legale rappresentante, rappresentata

e difesa dagli Avv.ti Pietro Selicato e Pier Cesare Tacchi Venturi,

per procura speciale allegata al ricorso, elettivamente domiciliata

in Roma, via Ferdinando Galiani, n. 68, presso lo studio del primo

difensore;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, è domiciliata;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale del Veneto, n. 115/15/2011, depositata in data 22 agosto

2011;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’11 novembre

2020 dal Consigliere Triscari Giancarlo.

 

Fatto

RILEVATO

che:

dall’esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che: l’Agenzia delle entrate aveva notificato a Telearena s.p.a. due avvisi di accertamento con i quali, relativamente all’anno di imposta 2005, aveva contestato componenti negativi di reddito ritenuti non deducibili e l’indebita detrazione dell’Iva di cui alle fatture emesse nei propri confronti da Telemantova s.p.a. relativamente ad un contratto denominato di “prestazione di servizi” stipulato tra le suddette società; in particolare, per effetto del suddetto contratto, a fronte della prestazione svolta da Telemantova s.p.a., finalizzata alla assistenza ed attivazione di una emittente televisiva, Telearena s.p.a. si era obbligata a corrispondere l’importo di Euro 31.000,00 mensili oltre al rimborso delle spese di vitto ed alloggio corrisposto al proprio personale, dipendente e non dipendente, ed impegnato per lo svolgimento del servizio; ai fini Iva, l’ufficio aveva, in particolare, contestato che il contratto avesse natura di “prestazione di servizi”, dovendo essere invece ricondotto al distacco o prestito di personale, con conseguente non imponibilità ai fini Iva del costo sostenuto da Telemantova s.p.a. (indicato nella fattura a titolo di rimborso per le spese per il personale dipendente) e non detraibilità ai fini Iva; avverso i suddetti atti impositivi la società aveva proposto ricorso che era stato parzialmente accolto dalla Commissione tributaria provinciale di Verona, avendo ritenuta illegittima la ripresa relativa alla detrazione dell’Iva; avverso la pronuncia del giudice di primo grado l’Agenzia delle entrate aveva proposto appello;

la Commissione tributaria regionale del Veneto ha accolto l’appello, in particolare ha ritenuto che, tenuto conto del contenuto delle clausole del contratto stipulato tra Telemantova s.p.a. e Telearena s.p.a. emergeva che la causa del suddetto contratto consisteva nello scambio tra il prestito del personale e il mero rimborso delle spese sostenute da Telemantova s.p.a., sicchè il rapporto negoziale non poteva essere qualificato quale prestazione di servizi, ma come operazione di prestito o distacco di personale, con la conseguenza che correttamente l’ufficio aveva disconosciuto, ai sensi della L. n. 67 del 1988, art. 8, comma 35, la detraibilità dell’Iva per le fatture che documentavano costi riferiti al personale dipendente;

la società ha quindi proposto ricorso per la cassazione della sentenza affidato a quattro motivi, illustrato con successiva memoria, cui ha resistito l’Agenzia delle entrate depositando controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per omessa o insufficiente motivazione, per avere ritenuto che il contratto stipulato tra Telemantova s.p.a. e Telearena s.p.a. non potesse essere qualificato come prestazione di servizi facendo mero rinvio alla ricostruzione della vicenda come “riassunta dall’appellante”, senza avere proceduto ad una autonoma valutazione della linea difensiva di parte appellante e senza avere, inoltre, tenuto conto di quella di parte appellata, attuale ricorrente, che era stata, invece, seguita dal giudice di prima grado, e senza avere, inoltre, indicato gli elementi da cui aveva tratto il proprio convincimento ed il criterio logico seguito per condividere le ragioni difensive dell’amministrazione finanziaria piuttosto che della ricorrente che, peraltro, aveva svolto nel corso del giudizio specifiche eccezioni e prodotto documenti rilevanti per dimostrare l’esatto ed effettivo inquadramento normativo delle prestazioni oggetto del contratto;

il motivo è infondato;

la questione in esame attiene alla corretta qualificazione del rapporto contrattuale instaurato tra la ricorrente e la società Telemantova s.p.a. avendo l’amministrazione finanziaria ritenuto che lo stesso dovesse essere qualificato come mero distacco di personale mentre la ricorrente ha prospettato che si trattava di una prestazione di servizi;

il giudice del gravame ha ritenuto che, tenuto conto del contenuto delle specifiche clausole contrattuali, la causa del contratto doveva essere ricondotta nello scambio tra il personale messo a disposizione da Telemantova s.p.a. e il rimborso delle spese da questa sostenute, sicchè ha ritenuto che la fattispecie dovesse essere ricondotta nell’ambito della previsione di cui alla L. n. 67 del 1988, art. 8, comma 35, e del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 30, che disciplina la figura giuridica del distacco di personale, valorizzando la circostanza che non risultava previsto nè corrisposto alcun corrispettivo alla commissionaria, che il potere direttivo e gerarchico era esercitato dalla committente, cioè il soggetto destinatario della prestazione, che, infine, Telemantova s.p.a. non aveva assunto alcun onere di gestione o rischio di impresa;

la configurazione, nei termini sopra indicati, della fattispecie in esame, dunque, è stata compiuta dal giudice del gravame facendo riferimento alle singole clausole negoziali ed alla funzione economico sociale del rapporto negoziale posto in essere tra le parti, secondo, quindi, una propria ed autonoma valutazione degli atti e delle risultanze di causa, seguendo uno specifico ragionamento logico giuridico che, traendo le mosse dal rapporto contrattuale posto in essere tra le parti, ha fatto, poi, conseguire la valutazione giuridica del medesimo alla luce delle previsioni normative di riferimento;

il richiamo, valorizzato dalla ricorrente, alla ricostruzione “della vicenda così come riassunta dall’appellante” non ha riguardato i profili valutativi dei fatti, ma il contenuto dell’accordo, cioè le circostanze fattuali sulla cui base, poi, il giudice del gravame mostra di essere pervenuto alla successiva qualificazione giuridica degli stessi, non incorrendo, in tal modo, nel vizio di insufficiente motivazione;

d’altro lato, con specifico riferimento alla ragione di censura relativa alla mancata considerazione delle tesi difensive di parte ricorrente, va osservato che, in materia di vizio di motivazione, questa Corte ha precisato che la sua deduzione non attribuisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge. Ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili di ufficio, ovvero quando esista un insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione (Cass. civ., 13 dicembre 2018, n. 32269);

sotto tale profilo, la parte si è limitata a fare riferimento al fatto di avere “svolto, nel corso del giudizio di merito (ai cui atti ed allegati si rinvia) specifiche eccezioni e prodotto documenti decisamente influenti (primi fra tutti il contratto stesso e le fatture ad esso afferenti) per dimostrare l’esatto ed effettivo inquadramento normativo delle prestazioni di servizi oggetto del contratto in questione”, senza ulteriore specificazione, dunque in violazione del principio di autosufficienza del motivo di ricorso, sì da non consentire a questa Corte di apprezzare la rilevanza della ragione di censura proposta;

con il secondo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione degli artt. 1362,1363 e 1366, c.c., per avere proceduto ad una ricostruzione della volontà contrattuale delle parti facendo unicamente riferimento al criterio interpretativo di cui all’art. 1363 c.c., che detta il criterio della interpretazione delle clausole le une per mezzo delle altre, attribuendo a ciascuno di esse il senso che risulta dal complesso dell’atto, senza avere, tuttavia, tenuto conto di quanto previsto dall’art. 1362 c.c., cioè della necessità di interpretare il contratto secondo la comune intenzione delle parti, anche alla luce del comportamento complessivo, anche successivo, delle stesse;

in particolare, evidenzia parte ricorrente che il giudice del gravame non ha considerato che l’intenzione della ricorrente era quella di avviare una nuova emittente televisiva nella provincia di Brescia e, pertanto, aveva la necessità di usufruire di prestazioni di servizi complessi e, a tal fine, si era avvalsa della qualificata esperienza del personale di Telemantova s.p.a. la quale, peraltro, in modo incompatibile con il mero distacco di personale, non aveva alcun interesse a distaccare propri dipendenti presso la nuova emittente; il motivo è infondato;

va osservato, in primo luogo, che, secondo questa Corte, l’interpretazione dei contratti e degli atti negoziali in genere, in quanto accertamento della comune volontà delle parti in essi espressasi, costituisce attività propria ed esclusiva del giudice di merito, dovendo il sindacato in proposito riservato al giudice di legittimità limitarsi alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica contrattuale (nonchè, secondo la giurisprudenza anteriore alla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), al controllo della coerenza e logicità della motivazione). Deve pertanto escludersi che il ricorrente in cassazione possa di fatto, sotto le spoglie di una denuncia per violazione di legge, chiedere al giudice di legittimità di procedere ad una nuova interpretazione dell’atto negoziale, ovvero cercare di far valere pretesi vizi logici della motivazione che sostiene l’accertamento in fatto operato dal giudice di merito in ordine alla volontà delle parti espressasi nell’atto negoziale. Secondo la concorde giurisprudenza di questo giudice di legittimità, inoltre, qualora deduca la violazione dei citati canoni interpretativi, il ricorrente deve precisare in quale modo il ragionamento del giudice se ne sia discostato, non essendo sufficiente un astratto richiamo ai criteri asseritamente violati e neppure una critica della ricostruzione della volontà dei contraenti che, benchè genericamente riferibile alla violazione denunciata, si riduca alla mera prospettazione di un risultato interpretativo diverso da quello accolto nella sentenza impugnata (Cass. civ., 20 gennaio 2017, n. 1587);

con riferimento al caso di specie, il giudice del gravame ha precisato, in tal modo rispettando la previsione di cui all’art. 1362 c.c., di non volere procedere all’interpretazione del contratto facendo riferimento unicamente al senso letterale delle parole in esso riportate, dunque ha chiarito di volere prescindere dal nomen iuris dato dalle parti al contratto e di dovere, invece, procedere ad una considerazione complessiva delle singole clausole contrattuali al fine di accertare “il contenuto dell’accordo”, secondo quanto prescritto dall’art. 1363 c.c.;

inoltre, nella specifica indicazione del contenuto delle clausole negoziali, il giudice del gravame ha dato atto della circostanza che l’importo da corrispondere era relativo al servizio reso dalla commissionaria (Telemantova s.p.a.) “consistente in assistenza ed attivazione di una emittente televisiva che opererà in Brescia” e che il personale messo a disposizione era dipendente e non dipendente, in tal modo risultando che anche il profilo della specifica intenzione della ricorrente era stato preso in considerazione al fine della valutazione complessiva della “comune intenzione delle parti” di cui all’art. 1362 c.c., sicchè non può dirsi che il giudice del gravame, ai fini della qualificazione del rapporto negoziale in esame, abbia fatto violazione delle regole di interpretazione del contratto;

inoltre, va altresì osservato che parte ricorrente si limita a censurare la mancata considerazione del comportamento delle parti anche dopo la conclusione del contratto, nonchè del criterio di interpretazione del contratto secondo buona fede, ma, sotto entrambi i profili, il motivo di censura difetta di specificità, non avendo la stessa specificato e allegato quali circostanze, ad esso relativi, erano stati dedotti e posti all’attenzione del giudice del gravame, al fine di consentire a questa Corte di apprezzare la rilevanza della questione;

con il terzo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione della L. n. 67 del 1988, art. 8, comma 35, in combinato disposto con il D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 30 e con l’art. 2094 c.c.;

in particolare, si censura la sentenza per avere ritenuto che, nel caso di specie, la prestazione di servizi cui si era obbligata Telemantova s.p.a. in favore della ricorrente fosse non imponibile, ai fini Iva, anche nel caso, quale quello di specie, in cui la ricorrente non si limitava a corrispondere il solo costo di utilizzazione del personale messo a disposizione da Telemantova s.p.a., ma un importo che eccedeva il suddetto costo, essendo stato previsto come corrispettivo per il servizio fornito anche un compenso ulteriore rispetto al costo del personale dipendente impiegato;

si censura, inoltre, la sentenza per avere ritenuto sussistente la figura giuridica del distacco del personale dipendente, atteso che, nel caso di specie, non vi era stato alcun passaggio del potere gerarchico dal distaccante al distaccatario;

il motivo è fondato, per quanto di ragione;

la questione prospettata attiene alla individuazione dei limiti entro i quali può trovare applicazione la previsione di cui alla L. n. 67 del 1988, art. 8, comma 35;

il giudice del gravame ha ritenuto che, poichè il rapporto negoziale stipulato tra le parti era da ricondursi nell’ambito del distacco di personale, a fronte del quale era stato corrisposto dalla ricorrente il rimborso dei costi sostenuti dalla distaccante Telemantova s.p.a., la prestazione era da considerarsi non imponibile ai fini Iva, sicchè non poteva essere riconosciuto il diritto alla detrazione Iva in favore della ricorrente;

va quindi osservato che la Corte di giustizia, (sentenza 11 marzo 2020, causa C-94/19, San Domenico Vetraria s.p.a.) ha dichiarato che “L’art. 2, punto 1, della sesta direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, deve essere interpretato nel senso che esso osta a una legislazione nazionale in base alla quale non sono ritenuti rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto i prestiti o i distacchi di personale di una controllante presso la sua controllata, a fronte dei quali è versato solo il rimborso del relativo costo, a patto che gli importi versati dalla controllata a favore della società controllante, da un lato, e tali prestiti o distacchi, dall’altro, si condizionino reciprocamente”;

la Corte di giustizia, in particolare, era stata investita della questione pregiudiziale relativa all’eventuale contrarietà con il diritto unionale della previsione della L. n. 67 del 1988, art. 8, comma 35, la quale, nel prevedere che, nel caso in cui la somma rimborsata corrisponda all’importo delle spese sostenute per il personale distaccato, l’operazione di distacco non è imponibile, in quanto irrilevante ai fini dell’Iva, poneva dubbi di coerenza con la disciplina unionale quanto all’esclusione dallo spettro di applicazione dell’Iva di una prestazione quale il distacco di personale, a fronte del rimborso del costo delle relative prestazioni, potendo lo stesso essere considerato corrispettivo della prestazione di servizi, in quanto tale da sottoporre a Iva;

la Corte di giustizia, dunque, ha esaminato la questione se la prestazioni di servizi resa con il distacco del personale potesse essere considerata effettuata “a titolo oneroso”, ai sensi dell’art. 2, punto 1, della sesta direttiva ed ha precisato che, secondo una giurisprudenza costante, nell’ambito del sistema dell’Iva le operazioni imponibili presuppongono l’esistenza di un negozio giuridico tra le parti implicante la stipulazione di un prezzo o di un controvalore, sicchè una prestazione di servizi è effettuata “a titolo oneroso”, ai sensi dell’art. 2, punto 1, della sesta direttiva, e configura pertanto un’operazione imponibile soltanto quando tra il prestatore e il beneficiario intercorra un rapporto giuridico nell’ambito del quale avvenga uno scambio di reciproche prestazioni, e il compenso ricevuto dal prestatore costituisca il controvalore effettivo del servizio prestato al beneficiario. Ciò si verifica quando sussiste un nesso diretto tra il servizio reso e il corrispettivo ricevuto (v., in tal senso, sentenze del 22 giugno 2016, desh”, rozhlas, C-11/15, EU:C:2016:470, punti 21 e 22 nonchè giurisprudenza ivi citata; del 22 novembre 2018, MEO – Servigos de Comunicagoes e Multimedia, C-295/17, EU:C:2018:942, punto 39, nonchè del 3 luglio 2019, UniCredit Leasing, C-242/18, EU:C:2019:558, punto 69);

esiste, in particolare, un nesso diretto quando due prestazioni si condizionano reciprocamente vale a dire che l’una è effettuata solo a condizione che lo sia anche l’altra, e viceversa (v., in tal senso, sentenze del 23 novembre 1988, Naturally Yours Cosmetics, 230/87, EU:C:1988:508, punto 14, e del 2 giugno 1994, Empire Stores, C-33/93, EU:C:1994:225, punto 16);

è stato, infine, precisato che è irrilevante, a tale riguardo, l’importo del corrispettivo, in particolare la circostanza che esso sia pari, superiore o inferiore ai costi che il soggetto passivo ha sostenuto a suo carico nell’ambito della fornitura della sua prestazione (v., in tal senso, sentenze del 20 gennaio 2005, Hotel Scandic Gasaback, C-412/03, EU:C:2005:47, punto 22, nonchè del 2 giugno 2016, Lajver, C-263/15, EU:C:2016:392, punto 45 e giurisprudenza ivi citata): infatti, una simile circostanza non è tale da compromettere il nesso diretto esistente tra la prestazione di servizi effettuata e il corrispettivo ricevuto (sentenza del 2 giugno 2016, Lajver, C-263/15, EU:C:2016:392, punto 46 e giurisprudenza ivi citata);

ne consegue che la pronuncia censurata è contraria ai principi sopra indicati, avendo ritenuto che la prestazione di distacco di personale dietro pagamento dei costi sostenuti sia, di per sè, non imponibile ai fini Iva;

la pronuncia, invero, dovrà accertare se esista un nesso diretto tra le prestazioni rese tra le parti, cioè se le stesse si condizionano reciprocamente nel senso che l’una è effettuata solo a condizione che lo sia anche l’altra, e viceversa, con la precisazione, come visto, che è irrilevante l’importo del corrispettivo, in particolare la circostanza che esso sia pari, superiore o inferiore ai costi che il soggetto passivo ha sostenuto a suo carico nell’ambito della fornitura della sua prestazione;

con il quarto motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 1,3 e 19, per non avere riconosciuto il diritto alla detrazione dell’Iva nella presente fattispecie in cui il rimborso eccedeva il costo sostenuto per il personale dipendente sicchè lo stesso doveva essere considerato quale corrispettivo di una prestazione di servizi, rendendo l’operazione di prestito di personale rilevante e quindi interamente imponibile ai fini Iva;

l’accoglimento del terzo motivo di censura è assorbente del presente motivo;

in conclusione, sono infondati il primo e secondo motivo, è fondato il terzo, assorbito il quarto, con conseguente cassazione della sentenza censurata e rinvio alla Commissione tributaria regionale anche per la liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.

PQM

La Corte:

accoglie il terzo motivo di ricorso, infondati il primo e secondo motivo, assorbito il quarto, cassa la sentenza censurata e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Veneto, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 11 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 marzo 2021

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