Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5600 del 08/03/2010

Cassazione civile sez. I, 08/03/2010, (ud. 26/11/2009, dep. 08/03/2010), n.5600

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. FITTIPALDI Onofrio – Consigliere –

Dott. SALVATO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

B.F. e C.M.R. – elettivamente

domiciliati in ROMA, via San Godenzo 2, presso lo studio dell’avv.

Aiello Giuseppe, dal quale sono rappresentati e difesi, giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero della giustizia, in persona del Ministro pro tempore –

domiciliato ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12, presso

l’Avvocatura generale dello Stato, dalla quale e’ rappresentato e

difeso;

– controricorrente –

avverso il decreto della Corte d’appello di Catania depositato il 4

luglio 2007;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio del

26 novembre 2009 dal Consigliere Dott. SALVATO Luigi;

P.M., S.P.G. Dott. PIVETTI Marco.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

B.F. e C.M.R. adivano la Corte d’appello di Catania, allo scopo di ottenere l’equa riparazione ex lege n. 89 del 2001 in riferimento al giudizio promosso innanzi al Tribunale di Gela il 14.3.1993, avente ad oggetto risarcimento danni da incidente stradale, definito con sentenza del 13.10.2003, avverso la quale era stato proposto appello deciso con sentenza del 6.7.2006.

La Corte territoriale, con decreto del 4 luglio 2007, fissata la durata ragionevole del giudizio in tre anni 6 mesi e 12 giorni (alla luce della condotta delle parti), ritenuta sussistente la violazione del relativo termine per il periodo di anni 6, mesi 6 e 12 giorni ed esclusa la violazione del termine per il giudizio di secondo grado reputava fondata la domanda relativa alla dedotta sussistenza del danno non patrimoniale, stabilendo il risarcimento nella misura di Euro 600,00 per anno, condannano il convenuto a pagare complessivi Euro 3.918,00, per ciascun ricorrente, nonche’ le spese del giudizio nella misura di 1/3, dichiarando compensata la residua parte.

Per la cassazione di detto decreto hanno proposto ricorso B. F. e C.M.R., affidato a due motivi; ha resistito con controricorso il Ministero della giustizia.

Ritenute sussistenti le condizioni per la decisione in Camera di consiglio e’ stata redatta relazione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comunicata al Pubblico Ministero e notificata alle parti;

hanno depositato memoria i ricorrenti.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.- La relazione sopra richiamata ha il seguente tenore:

“1.- Il primo motivo denuncia violazione e mancata applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 nonche’ omessa ed insufficiente motivazione su di un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5). Gli istanti osservano «non riteniamo che sarebbe il caso di discutere sull’anno e sei mesi di ritardo e sull’attribuibilita’ dello stesso alle parti ricorrenti” (pg. 9), dolendosi del mancato computo del periodo relativo al giudizio di secondo grado.

E’, quindi, formulato il seguente quesito di diritto: “nella determinazione della durata del processo oltre il termine ragionevole il giudice dovra’ tener conto di tutta la durata della vicenda dall’inizio alla fine, e cioe’ in termini globali di valutazione sino alla sentenza definitiva che soddisfi i diritto rivendicato dal cittadino, concretandolo nel risultato finale”.

I ricorrenti, con il secondo motivo denunciano violazione e mancata applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e degli artt. 2056 e 1226 c.c. nonche’ omessa ed insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

Gli istanti contestano l’entita’ della somma liquidata a titolo di equa riparazione, deducendo che il provvedimento, stabilendo il risarcimento nella misura di Euro 600,00 per ogni anno di ritardo, si sarebbe discostato dai parametri stabiliti dalla Corte EDU, senza fornire alcuna motivazione e sarebbe percio’ censurabile.

E’ quindi formulato il seguente quesito di diritto: “Il giudice di merito dovra’ determinare l’equa riparazione adeguandosi ai criteri adottati in casi simili dalla CEDU, anche se con un margine di valutazione ragionevole e adeguatamente motivato”.

Il terzo motivo denuncia violazione e mancata applicazione di legge (tariffe professionali) e difetto di motivazione nel punto in cui il decreto impugnato ha liquidato le spese del giudizio in contrasto con la nota depositata, disponendone la parziale compensazione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), disattendendo la nota spese.

2.- Il primo motivo appare manifestamente infondato.

Nella specie il decreto non ha affatto omesso di valutare complessivamente il giudizio nelle due fasi. La Corte territoriale, affermando che nessuna violazione si e’ verificata in relazione al giudizio di appello, lo ha, infatti, chiaramente preso in considerazione e del relativo periodo non ha tenuto conto, soltanto in quanto il risarcimento va commisurato avendo riguardo esclusivamente al tempo eccedente la durata ragionevole, nel quale, per siffatta considerazione, non poteva incidere la fase del gravame.

Il secondo motivo appare manifestamente fondato, nei termini precisati di seguito.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, consolidatasi dopo le sentenze del 2004 delle Sezioni Unite, il danno non patrimoniale e’ conseguenza normale, ancorche’ non automatica, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, di modo che va ritenuto sussistente, senza bisogno di specifica prova (diretta o presuntiva), in ragione dell’obiettivo riscontro di detta violazione, sempre che non ricorrano circostanze particolari che ne evidenzino l’assenza nel caso concreto (Cass. S.U. n. 1338 e n. 1339 del 2004). Una volta che questo danno non sia stato escluso, i criteri di determinazione del quantum della riparazione applicati dalla Corte europea non possono essere ignorati dal giudice nazionale, che deve riferirsi alle liquidazioni effettuate in casi simili dalla Corte di Strasburgo, e, se intenda discostarsi dai criteri indennitari affermati dalla Corte di Strasburgo, senza incorrere nel vizio di violazione di legge (successivamente, per tutte, Cass. n. 9328 del 2008; n. 14274 del 2006), deve procedere sempre ad un giudizio di comparazione i cui termini sono costituiti, per un verso, dalla natura e dall’entita’ della pretesa pecuniaria avanzata e, per altro verso, dalle condizioni socio – economiche dell’attore e, quindi, puo’ apportare le deroghe che siano in relazione ragionevole con detti parametri (Cass. n. 2254 del 2007) giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda, purche’ motivate e non irragionevoli (tra le molte, Cass. n. 1630 del 2006; n. 19205 del 2005; n. 8600 de 2005; n. 8568 del 2005), avendo riguardo appunto alle particolarita’ della fattispecie (quali: l’entita’ della “posta in gioco”, il “numero dei tribunali che hanno esaminato il caso in tutta la durata del procedimento” ed il comportamento della parte istante; per tutte, Cass. n. 6898 del 2008; n. 1630 del 2006). In applicazione di detti principi, il decreto non e’ immune da censure, in quanto ha liquidato una somma di Euro 600,00 per ciascun anno di ritardo, discostandosi in misura non ragionevole dai parametri della Corte EDU (fissati nella misura compresa tra Euro 1.000,00 ed Euro 1.500,00), senza fornire adeguata motivazione, facendo generico riferimento alla natura della causa, indicando che aveva ad oggetto una domanda di risarcimento danni per fatto illecito che non presentava particolare complessita’, con puntualizzazione evidentemente incongrua rispetto al fine di chiarire l’inosservanza del parametro della Corte EDU. Dalla manifesta fondatezza del mezzo consegue la cassazione del decreto e la possibilita’ di decidere nel merito la causa, facendo applicazione del parametro di Euro 1.000,00 per anno, in difetto di elementi che consentano di discostarsi, in melius o in peius, dal medesimo.

Il terzo motivo e’ destinato a restare assorbito, siccome dovra’ procedersi alla riliquidazione delle spese.

Pertanto, il ricorso, stante la manifesta fondatezza, nei limiti e nei termini precisati, puo’ essere trattato in Camera di consiglio, ricorrendone i presupposti di legge.”.

2.- Il Collegio reputa di dovere fare proprie le conclusioni contenute nella relazione, condividendo le argomentazioni che le fondano, fatta salva l’identificazione del parametro per la liquidazione del danno non patrimoniale che, per le argomentazioni svolte, da ultimo nella sentenza n. 21840 del 2009, va individuato nella somma di Euro 750,00 per ogni anno di ritardo, per i primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, ed in Euro 1.000,00 per ogni anno di ritardo successivo.

Le deduzioni contenute nella memoria non appaiono fondate, poiche’ non colgono la ratio decidendi ne’ del decreto ne’ della relazione.

Infatti, e’ certo che la irragionevole durata del giudizio va determinata avendo riguardo all’intero giudizio e, se questo si sia svolto in due gradi, ad entrambi, in quanto, benche’ sia possibile individuare degli standard di durata media ragionevole per ogni fase del processo, deve sempre procedersi ad una valutazione sintetica e complessiva, anche quando esso si sia articolato in gradi e fasi (tra le molte, Cass. n. 23506 del 2008; n. 18720 del 2007; n. 17554 del 2006). Nondimeno, in virtu’ dell’art. 2, comma 3, lettera a), L. n. 89 del 2001, e’ rilevante soltanto il periodo eccedente il termine ragionevole (per tutte, Cass. n. 4572 del 2009; n. 11566 e n. 1354 del 2008; n. 23844 del 2007), con la conseguenza che di quello inferiore a detto termine non deve tenersi conto.

Ebbene, il decreto ha ritenuto che il termine di durata ragionevole del giudizio di primo grado e’ di “anni tre” (pg. 3) e che il giudizio di appello “ha avuto una durata complessiva di anni 2 e mesi 4 che si reputa adeguato per la sua definizione” (pg. 3). Dunque, risulta chiaro che il giudice del merito ha ritenuto ragionevole per i due gradi detto complessivo termine, senza che detta ratio decidendi sia stata colta e specificamente censurata, con la conseguenza che la relativa conclusione non e’ qui riesaminabile e bene e’ stato computato soltanto il tempo di durata non ragionevole.

Cassato il decreto impugnato, decidendo la causa nel merito, in applicazione di detto parametro, a ciascun ricorrente va riconosciuta la complessiva somma di Euro 5.768,00, in relazione alla durata eccedente il termine ragionevole, quale incensurabilmente accertata dal giudice del merito (anni 6, mesi 6, giorni 12), oltre interessi legali dalla domanda al saldo.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza quanto al giudizio di merito e per la meta’ quanto alla presente fase, dichiarando compensata la residua parte, sussistendo giusti motivi, in considerazione del parziale accoglimento del ricorso.

PQM

LA CORTE Accoglie il ricorso per quanto di ragione, nei termini precisati in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della giustizia a pagare a ciascun ricorrente la somma di Euro 5.768,00, oltre interessi legali dalla domanda al saldo ed oltre alle spese processuali – per la meta’, quanto alla presente fase, compensandosi la restante parte – liquidate, quanto al giudizio di merito, in Euro 1.090,00 (di cui Euro 600,00 per diritti ed Euro 490,00 per onorari) e, quanto al giudizio di legittimita’ in Euro 490,00 di cui Euro 50,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 26 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2010

 

 

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