Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5599 del 11/03/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 5599 Anno 2014
Presidente: MASSERA MAURIZIO
Relatore: FRASCA RAFFAELE

PU

SENTENZA

sul ricorso 12448-2010 proposto da:
CIPRESSI

CECILIA

CPRCCL77B66H501H,

elettivamente

domiciliata in ROMA, VIALE ANGELICO 92, presso lo
studio dell’avvocato MARCO DE SANTIS, che la
rappresenta e difende unitamente agli avvocati
PIETROLUCCI ANDREA, ANTONELLA RIZZI giusta delega in

1
2013

atti;
– ricorrente –

2222

contro

EASY RECORDS ITALIANA S.R.L. 02158611000;
– intimata –

1

Data pubblicazione: 11/03/2014

Nonché da:
EASY RECORDS ITALIANA S.R.L. 02158611000 in persona
del legale rappresentante pro tempore CLAUDIO
MATTONE, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA APPIA
NUOVA 96, presso lo studio dell’avvocato D’AMICO

in atti;
– ricorrente incidentale contro

CIPRESSI

CECILIA CPRCCL77B66H501H,

elettivamente

domiciliata in ROMA, VIALE ANGELICO 92, presso lo
studio dell’avvocato DE SANTIS MARCO, che la
rappresenta e difende unitamente agli avvocati RIZZI
ANTONELLA, PIETROLUCCI ANDREA giusta delega in atti;
– controricorrente all’incidentale –

avverso la sentenza n. 1504/2009 della CORTE
D’APPELLO di ROMA, depositata il 16/03/2009, R.G.N.
10035/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 26/11/2013 dal Consigliere Dott. RAFFAELE
FRASCA;
udito l’Avvocato ANDREA PIETROLUCCI;
udito l’Avvocato ROBERTO D’AMICO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. TOMMASO BASILE che ha concluso per il
rigetto di entrambi i ricorsi;

ROBERTO, che la rappresenta e difende giusta delega

R.g.n. 12448-10 (ud. 26.11.2013)

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

§1. Cecilia Cipressi, in arte “Syria”, ha proposto ricorso per cassazione contro la s.r.l.
Easy Records Italiana avverso al sentenza della Corte d’Appello di Roma, Sezione Lavoro
e Previdenza, del 23 febbraio 2009, con la quale è stata parzialmente riformata la sentenza
del Tribunale di Roma, in funzione di Giudice del Lavoro, del 10 aprile 2004, resa su una
controversia introdotta con ricorso ai sensi dell’art. 414 c.p.c. il 17 maggio 2001

dall’intimata per ottenere la declaratoria della risoluzione di diritto di un contratto
discografico del 1° ottobre 1995, per avvenuta violazione del patto di esclusiva da parte
della Cipressi, l’accertamento del diritto di trattenere la penale pattuita e la condanna della
convenuta al risarcimento del danno nella misura di allora £. 2.000.000.
Nel relativo giudizio la Cipressi, oltre a svolgere eccezione di incompetenza
dell’adìto giudice del lavoro, proponeva domanda riconvenzionale per la declaratoria della
nullità del contratto, in subordine domanda di declaratoria della risoluzione per
inadempimento dell’attrice, in via ulteriormente subordinata la riduzione della penale,
nonché la condanna al risarcimento dei danni patrimoniali ed all’immagine derivati dalla
vicenda e al pagamento di somme a suo dire sostenute come spese.
Il Tribunale dichiarava risolto per inadempimento della Cipressi il contratto,
autorizzava la società a trattenere la penale, condannava la Cipressi al risarcimento del
danno in 516.000,00 e rigettava le riconvenzionali della medesima.
§2. La parziale riforma della sentenza di primo grado operata dalla Corte capitolina,
dopo che Essa ha fra l’altro disatteso il motivo di appello basato sull’eccezione di
incompetenza già ritenuta infondata dal primo giudice, ha riguardato l’ammontare del
danno, ridoto ad E 180.000,00 all’attualità al tempo della pronuncia.
§3. Al ricorso ha resistito con controricorso, nel quale ha svolto ricorso incidentale,
la Easy Records Italiana.
La ricorrente principale ha resistito al ricorso incidentale con controricorso.
§4. Le parti hanno depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

§1. Preliminarmente il Collegio rileva che il ricorso incidentale dev’essere esaminato
congiuntamente a quello principale, in seno al quale è stato proposto.

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Est. Cons. Rffae1e Frasca

R.g.n. 12448-10 (ud. 26.11.2013)

§2. Sempre in via preliminare, premesso che la sentenza impugnata è stata
pronunciata da un giudice del lavoro in grado appello ed in un processo incardinato anche
in appello dalla Cipressi con il rito delle controversie di lavoro e previdenziali, con
decisione che ha fra l’altro disatteso il motivo di appello con cui ci si era doluti, da parte
dell’appellante e qui ricorrente, della valutazione di infondatezza dell’eccezione di
incompetenza del giudice del lavoro fatta dal primo giudice, confermandosi la

artistica, il Collegio osserva che il ricorso avrebbe dovuto essere iscritto a ruolo presso la
cancelleria di questa Corte di cassazione con indicazione della sua assegnazione alla
Sezione Lavoro della Corte.
Onde, secondo la regola di ripartizione della trattazione dei ricorsi civili, la decisione
sarebbe spettata a detta Sezione.
E’ stato, tuttavia, già ritenuto recentemente da questa stessa Sezione che «Investita
una sezione civile della Corte di cassazione dell’esame di un ricorso da devolvere, invece,
alla sezione lavoro della stessa Corte, la necessità di dare applicazione al principio
costituzionale sulla “durata ragionevole” del processo, unitamente alla constatazione
dell’assoluta ininfluenza della circostanza sul piano delle regole processuali da osservare
nel giudizio di legittimità, escludono la necessità di rimettere il ricorso al Primo Presidente
della Suprema Corte.>> (così Cass. n. 9148 del 2013).
La trattazione dei ricorsi può e deve, dunque, senz’altro aver corso da parte di questa
Sezione.
§3. Il ricorso principale è manifestamente inammissibile, perché proposto con
consegna dell’atto per la notifica e, quindi, perfezionamento della notificazione dal punto
di vista della notificante il 28 aprile 2010 e, quindi, come eccepito anche dalla resistente,
oltre l’anno solare dalla pubblicazione della sentenza mediante il deposito della
motivazione, avvenuto il 16 marzo 2009.
L’inammissibilità deriva dalla circostanza che la controversia è stata decisa con il
rito del lavoro e, quindi, è pacificamente controversia non soggetta alla sospensione feriale
dei termini, sicché nel periodo dal là agosto 2009 al 15 settembre il termine c.d. lungo di
cui all’art. 327, primo comma, c.p.c. sicché viene in rilievo il principio consolidato e
recentemente affermato (con riguardo a ricorso soggetto al regime della 1. n. 69 del 2009)
ai sensi dell’art. 360-bis n. c.p.c., secondo cui «dovendo l’impugnazione di un
provvedimento giurisdizionale essere proposta, in applicazione del principio cosiddetto
dell’apparenza, nelle forme ed entro i termini previsti dalla legge rispetto alla domanda così

Est. Cons.

e e Frasca

qualificazione come rapporto di subordinazione del contratto inter partes di scrittura

R.g.n. 12448-10 (ud. 26.11.2013)

come qualificata dal giudice, le cui determinazioni sul rito adottato assumono,
indipendentemente dall’esattezza della relativa valutazione, funzione enunciativa della
natura della vertenza così da assicurare il massimo grado di certezza al regime dei termini
di impugnazione, alla relativa controversia non si applica la sospensione feriale dei termini
ai sensi dell’art. 3 della legge n. 742 del 1969>> (Cass. (ord.) n. 21363 del 2010).
§3.1. Del tutto irrilevanti ad escludere la tardività sono le deduzioni svolte dalla
ricorrente principale sia nel controricorso in replica al ricorso incidentale ed al

controricorso avversario, sia nella memoria, là dove Essa vorrebbe che l’esercizio del
diritto di impugnazione in questo giudizio di cassazione sarebbe stato possibile con il
beneficio della sospensione dei termini per il periodo feriale, come se la controversia non
fosse stata nella sostanza di lavoro, in ragione:
a) oltre che della lunga durata del procedimento, della inosservanza da parte del
giudice di primo grado di alcune norme del rito delle controversie di lavoro, quali quella
dell’art. 410 c.p.c., quella sull’obbligatorietà dell’interrogatorio libero e sul tentativo di
conciliazione, sull’immediata discussione delle eccezioni preliminari della convenuta e
sull’ammissione alla prima udienza delle prove, sull’esercizio del potere istruttorio
d’ufficio di cui all’art. 421 c.p.c., sulla discussione orale ex art. 429 c.p.c., in sostituzione
della quale sarebbero stati concessi termini per note scritte conclusive, ed in fine sulla stesa
obbligatorietà della lettura del dispositivo in udienza;
b) oltre che nuovamente della lunga durata del procedimento – introdotto in appello
nel novembre del 2004 e la cui prima udienza venne fissata il 20 marzo 2006 — del rinvio
d’ufficio della prima udienza ad oltre un anno, della mancata tenuta della relazione orale
da parte del consigliere delegato alla trattazione, della concessione di termini per note
scritte e del differimento dell’udienza di discussione al gennaio del 2008, della mancanza
della relazione del detto giudice, della mancanza della discussione orale in essa, del rinvio
con ordinanza pronunciata alle ore 23.15 a altra udienza, quella del 23 febbraio 2009, nella
quale nuovamente non vi sarebbe stata relazione e discussione e nemmeno lettura del
dispositivo, ancorché nel verbale si legga di una lettura alle ore 20.45, ed in fine della
comunicazione del deposito in violazione dell’art. 430 c.p.c., richiamato dall’art. 438
c.p.c., soltanto il 24 agosto 2009.
Secondo la ricorrente, l’inosservanza in concreto delle regole del rito del lavoro nei
detti termini evidenzierebbe che la controversia non sarebbe stata trattata come
controversia di lavoro. Donde l’inapplicabilità della regola della sottrazione della
sospensione. A sostegno viene evocata la giurisprudenza che àncora l’esercizio del diritto
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Est. Cons. Rffat1Frasca

R.g.n. 12448-10 (ud. 26.11.2013)

di impugnazione al rito adottato dal giudice che ha pronunciato la decisione
indipendentemente dall’esattezza della sua valutazione.
L’assunto è palesemente privo di fondamento.
§3.2. La stessa ricorrente assume che sarebbero state violate norme del rito con cui la
causa avrebbe dovuto essere trattata perché con esso pacificamente incardinata sia in primo
grado che in appello e, dunque, esclude che il giudice sia in un grado che nell’altro abbia
“adottato” un rito diverso.

La giurisprudenza evocata è quella che, invece, riguarda, il caso in cui il giudice
adotti un rito per la trattazione nonostante che una delle parti o entrambe sostengano che
debba esserne adottato un altro: in tal caso, se anche il giudice ha errato, opera il c.d.
principio della ultrattività del rito ai fini delle impugnazioni (in termini, ex multis, Cass. n.
22738 del 2010).
Perché una controversia sia soggetta ad un rito occorre che sia introdotta con le
forme di esso e se lo sia stata, perché dalla soggezione a quel rito si passi ad un rito
diverso, durante la pendenza della lite è necessario un provvedimento di mutamento del
rito da parte del giudice oppure — ipoteticamente – la sua espressa adozione nella decisione.
Il principio di diritto che evidenzia l’infondatezza della prospettazione della
ricorrente è, invece, il seguente: <>.
Ora, l’efficacia dell’abrogazione non è regolata — come si spigherà dopo – dall’art. 12
c.p.c. e, quindi, dall’applicazione del principio per cui la legge non provvede che per
l’avvenire, il che avrebbe comportato la sua efficacia con riguardo a tutti i ricorsi per
cassazione già pendenti alla data di entrata in vigore della 1. n. 69 del 2009, oltre che ai
ricorsi proposti dopo.
Detta efficacia non è, peraltro, regolata neppure dall’art. 58, comma 5, che ha
disciplinato il regime transitorio esclusivamente per le norme modificatrici della disciplina
del ricorso per cassazione contenute nell’art. 47 della legge.
Essa è, invece, regolata dall’art. 58, comma 1, il quale ha disposto che «fatto salvo
quanto previsto dai commi successivi le disposizioni della presente legge che modificano il
codice di procedura civile e le disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile si
applicano ai giudizi instaurati dopo la sua entrata in vigore.>>. Poiché nei quattro commi
successivi non è disposto in alcun modo riguardo alla modifica dell’art. 385 mediante
l’abrogazione del quarto comma operata dal suddetto comma 20 dell’art. 45 della legge, la
soggezione dell’efficacia di tale modifica e, quindi, della detta abrogazione non può essere
revocata in dubbio.
Ne segue che l’abrogazione, in realtà, è stata disposta ed è divenuta operativa con
riferimento ai ricorsi per cassazione che si trovino ad essere decisi dopo il 4 luglio del 2009
con riferimento a processi iniziati in primo grado anch’essi dopo tale data, atteso che il
riferimento ai giudizi instaurati dopo l’entrata in vigore della legge dev’essere inteso come
relativo all’instaurazione del giudizio i primo grado e ciò secondo una tradizione
consolidata, formatasi riguardo a formulazioni legislative simili.

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Est. Cons. Rffa1e Frasca

R.g.n. 12448-10 (ud. 26.11.2013)

Né potrebbe pensarsi che, essendo stato l’art. 385, quarto comma, oggetto di
un’abrogazione e non di una modificazione la sua abrogazione si collochi al di fuori della
norma del comma 1 citata, di modo che resti regolata dal generale principio per cui la
legge dispone per l’avvenire: è sufficiente osservare che, considerando l’abrogazione come
soppressione della più ampia disposizione dell’art. 385 c.p.c., essa si presta agevolmente
ad essere ricondotta sotto l’ambito del comma 1.
Non solo: la rubrica dell’art. 45 della 1. n. 69 del 2009 è intitolata << Modifiche al libro secondo del codice di procedura civile>> e, quindi, anche l’abrogazione dell’art.
385, comma 5, è stata considerata — come le altre disposte nello stesso art. 45 – una
modifica del c.p.c.
Il principio di diritto che di deve affermare è, dunque, il seguente: «L’abrogazione
del quarto comma dell’art. 385 c.p.c., disposta dall’art. 45, comma 20, della 1. n. 69
del 2009, è efficace, ai sensi dell’art. 58, comma 1, della stessa legge soltanto per i
ricorsi per cassazione proposti dopo l’entrata in vigore di detta legge contro
provvedimenti pronunciati nell’ambito di giudizi introdotti in primo grado dopo di
essa. La norma abrogata ha, invece, continuato a disciplinare i ricorsi per cassazione
proposti contro sentenze o provvedimenti pubblicati a far tempo dal 2 marzo 2006
(art. 27, comma 2, d.lgs. n. 40 del 2006) ed anche dopo l’entrata in vigore della L n. 69
del 2009 in giudizi instaurati in primo grado anteriormente a quest’ultima.».

§4.1. Ora, nel caso di specie, la proposizione del ricorso per cassazione in situazione
di manifesto decorso del termine c.d. lungo per la, secondo giurisprudenza consolidata, non
soggezione della controversia alla sospensione dei termini per il periodo feriale, ritiene il
Collegio che non integri colpa grave ai sensi del suddetto quarto comma. La ragione è che
nella giurisprudenza della Corte la specifica questione che ha portato all’enunciazione del
principio di diritto in chiusura del paragrafo 3.3. non sembra essere stata esaminata.
Per tale ragione si reputa di non far luogo alla condannare di cui alla citata norma,
valutando come ulteriore circostanza il fatto che la controversia è di natura
parasubordinata.
P. Q. M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso principale ed inefficace l’incidentale.
Condanna la ricorrente alla rifusione alla resistente delle spese del giudizio di cassazione,

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Est. Cons.
a ele Frasca
Lì’fsa

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liquidate in euro diecimiladuecento, di cui duecento per esborsi, oltre accessori come per
legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione Civile, il 26

Il Pres

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