Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5598 del 21/02/2022

Cassazione civile sez. VI, 21/02/2022, (ud. 18/11/2021, dep. 21/02/2022), n.5598

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2723 – 2021 R.G. proposto da:

T.G. – c.f. (OMISSIS) – elettivamente domiciliata in Roma,

alla via Acqua Donzella, n. 27, presso lo studio dell’avvocato Greco

Salvino che la rappresenta e difende in virtù di procura speciale

su foglio allegato in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO della GIUSTIZIA – c.f. (OMISSIS) – in persona del Ministro

pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso i cui uffici in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12,

domicilia per legge;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 904 – 10.2/1.7.2020 della Corte d’Appello di

Roma;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18 novembre

2021 dal consigliere Dott. Abete Luigi.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. Con ricorso ex lege L. n. 89 del 2001 alla Corte d’Appello di Roma T.G. esponeva che con atto in data 6.5.2009 era intervenuta nella procedura esecutiva promossa in danno di “Radio Dimensione Suono” s.p.a. innanzi al Tribunale di Roma ed iscritta al n. 39434/2008 r.g.e.; che la debitrice esecutata aveva proposto opposizione all’intervento, opposizione nell’ambito della quale ella ricorrente aveva provveduto a costituirsi; che con sentenza n. 1721/2010 il Tribunale di Roma aveva dichiarato la cessazione della materia del contendere; che con sentenza n. 3084/2014 la Corte d’Appello di Roma aveva rigettato l’appello da ella ricorrente interposto; che con ordinanza n. 4693/2019 questa Corte di legittimità aveva dichiarato inammissibile il ricorso per cassazione del pari da ella ricorrente esperito.

Esponeva quindi che il giudizio “presupposto” aveva avuto una significativa durata irragionevole.

Chiedeva ingiungersi al Ministero il pagamento di un equo indennizzo.

2. Con decreto del 19.11.2019 il consigliere designato rigettava il ricorso.

3. T.G. proponeva opposizione.

Resisteva il Ministero della Giustizia.

4. Con decreto n. 904 dei 10.2/1.7.2020 la Corte d’Appello di Roma rigettava l’opposizione.

Evidenziava la corte che l’opponente aveva proposto dapprima appello e poi ricorso per cassazione con abuso del processo, consapevole che il proprio credito era stato soddisfatto integralmente merce’ due assegni bancari, il primo, ricevuto in data 18.12.2008, anteriormente all’intervento nella procedura esecutiva, il secondo, ricevuto in data 17.9.2009, banco iudicis, nel corso dell’udienza innanzi al giudice dell’esecuzione.

Evidenziava dunque che difettava nell’opponente la condizione soggettiva di incertezza circa l’esito della lite ed il conseguente “paterna d’animo”.

5. Avverso tale decreto ha proposto ricorso T.G.; ne ha chiesto sulla scorta di un unico motivo la cassazione con ogni conseguente statuizione.

Il Ministero della Giustizia ha depositato controricorso; ha chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese.

6. Il relatore ha formulato proposta ex art. 375 c.p.c., n. 5), di manifesta infondatezza del ricorso; il presidente ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 1, ha fissato l’adunanza in camera di consiglio.

7. La ricorrente ha depositato memoria.

8. Con l’unico motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e degli artt. 112,115 e 116 c.p.c..

Deduce che la corte di merito non ha tenuto conto che l’offerta di pagamento in suo favore formulata da “R.D.S.” successivamente alla notifica del precetto era stata parziale, siccome non comprensiva delle spese di precetto, cosicché legittimamente, a norma dell’art. 1181 c.c., aveva provveduto a rifiutarla.

Deduce che il pagamento dell’importo precettato, unitamente alle spese di intervento, è avvenuto unicamente nel corso della procedura esecutiva.

9. Il collegio appieno condivide la proposta del relatore, che ben può essere reiterata in questa sede.

Il motivo ricorso è dunque destituito di fondamento e da rigettare.

10. Si puntualizza previamente quanto segue.

L’indennizzo per irragionevole durata del processo, stante il carattere non tassativo dell’elenco di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2-quinquies, può essere negato a chi abbia agito o resistito temerariamente nel giudizio “presupposto”, anche in assenza di una condanna, all’esito dello stesso, per responsabilità aggravata (ex art. 96 c.p.c.), potendo il giudice del procedimento di equa riparazione, già prima della novella apportata dalla L. n. 208 del 2015, autonomamente valutare tale temerarietà, così come si evince dallo stesso citato art. 2, comma 2-quinquies, lett. f), che attribuisce carattere ostativo ad ogni altra ipotesi di abuso dei poteri processuali (cfr. Cass. (ord.) 13.10.2017, n. 24190; Cass. 5.5.2016, n. 9100; Cass. 20.8.2010, n. 18780, secondo cui, in tema di violazione del termine di durata ragionevole del processo, il diritto all’equa riparazione di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2, spetta indipendentemente dall’esito del processo “presupposto”, ad eccezione del caso in cui il soccombente abbia proposto una lite temeraria).

L’anzidetta valutazione si risolve in un giudizio “di fatto”, sicché, per effetto dei limiti introdotti dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, è soggetta al sindacato di legittimità unicamente “per omesso esame circa fatto decisivo (…)”; altresì, ove svolta d’ufficio, la valutazione anzidetta non è censurabile in cassazione per pretesa violazione dell’art. 112 c.p.c. (violazione dell’art. 112 c.p.c. che T.G. pur ha denunciato in questa sede), essendo, al contrario, doverosa, in quanto relativa ad un requisito negativo dell’esistenza del diritto (cfr. Cass. (ord.) 13.10.2017, n. 24190).

11. Su tale scorta si puntualizza ulteriormente che l’esperito mezzo di impugnazione si qualifica essenzialmente, recte esclusivamente, in relazione alla previsione del (novello) art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sicché l’asserita illegittimità della motivazione (cfr. ricorso, pag. 3) non può che esser vagliata nel solco dell’insegnamento n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte.

12. Ebbene nel solco dell’insegnamento teste’ citato si reputa quanto segue.

E’ da escludere che taluna delle figure di “anomalia motivazionale” destinate ad acquisire significato alla stregua della menzionata pronuncia delle sezioni unite – tra le quali non è annoverabile il mero difetto di “sufficienza” della motivazione – possa scorgersi in relazione alle motivazioni cui la Corte di Roma ha ancorato il suo dictum.

Più esattamente, con riferimento al paradigma della motivazione “apparente” – che ricorre allorquando il giudice di merito non procede ad una approfondita disamina logico/giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito (cfr. Cass. 21.7.2006, n. 16672) – la corte distrettuale ha – siccome si è premesso – compiutamente ed intellegibilmente esplicitato il proprio iter argomentativo.

Ulteriormente, la Corte di Roma ha specificato che il Tribunale di Roma, con la sentenza n. 1721/2010, aveva dichiarato la cessazione della materia del contendere, siccome il pagamento integrale delle somme precettate era avvenuto nel corso della procedura esecutiva, prima della riassunzione del giudizio dinanzi a sé – si badi, prima della riassunzione, ai fini della trattazione del merito, dell’opposizione all’esecuzione (recte, all’intervento della Tralicci) dinanzi al medesimo Tribunale di Roma – sicché non residuava alcun interesse delle parti in causa (cfr. decreto impugnato, pag. 4).

13. In ogni caso l’iter motivazionale che sorregge il dictum della corte territoriale risulta in toto ineccepibile sul piano della correttezza giuridica.

Vero è senza dubbio che la circostanza per cui la causa di merito sia configurabile come lite temeraria, deve essere provata dall’Amministrazione resistente, anche con presunzioni, in modo che possa ritenersi accertata la assoluta consapevolezza dell’infondatezza della pretesa (cfr. Cass. (ord.) 9.4.2010, n. 8513).

E tuttavia l’Amministrazione non è tenuta a dedurre formalmente le predette circostanze, non trattandosi di eccezione in senso stretto, per la quale la legge richiede espressamente che sia soltanto la parte a rilevare i fatti impeditivi; conseguentemente, se gli elementi rilevanti ai fini della prova di tali circostanze sono stati comunque ritualmente acquisiti al processo o attengono al notorio, gli stessi entrano a far parte del materiale probatorio che il giudice può liberamente valutare (cfr. Cass. (ord.) 9.4.2010, n. 8513).

14. In pari tempo – ed in fondo – la ricorrente censura l’asserita distorta ed erronea valutazione delle risultanze di causa (“la decisione, infatti, è frutto di un’errata interpretazione della domanda posta a fondamento dei giudizi supposti (…) in uno all’omessa valutazione di più di una circostanza determinante”: così ricorso, pag. 3, così memoria, pag. 1; “dall’ordinanza in parola emerge come l’offerta del pagamento (…)”: così ricorso, pag. 4, così memoria, pag. 2; “il pagamento dell’importo precettato, accettato dal creditore, è intervenuto, invece, SOLO nel corso della procedura esecutiva RGE. 39434/2008 e quindi dopo il deposito dell’intervento”: così ricorso, pag. 3, così memoria, pag. 2; “allo stato nessuna responsabilità può essere ascritta alla concludente per aver coltivato il giudizio in parola”: così memoria, pag. 5).

E tuttavia il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, né in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4, – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892; Cass. (ord.) 26.9.2018, n. 23153).

15. Da ultimo, si impongono (in rapporto agli ulteriori “errores” denunciati nella rubrica dell’esperito mezzo) i rilievi che seguono.

16. In materia di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 115 c.p.c. può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente (il che non è nel caso di specie) di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato (il che non è nel caso di specie) sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892; Cass. sez, lav. (ord.) 27.12.2016, n. 27000; Cass. (ord.) 17.1.2019, n. 1229; Cass. sez. un. 20.9.2020, n. 20867 (Rv. 659037-01)).

In tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 116 c.p.c., norma che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale, è idonea ad integrare il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4, solo quando il giudice di merito disattenda (il che non è nel caso di specie) tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892; Cass. sez. lav. (ord.) 27.12.2016, n. 27000; Cass. (ord.) 17.1.2019, n. 1229; Cass. sez. un. 20.9.2020, n. 20867 (Rv. 659037-02)).

17. In dipendenza del rigetto del ricorso T.G. va condannata a rimborsare al Ministero della Giustizia le spese del presente giudizio.

La liquidazione segue come da dispositivo.

18. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 10, non è soggetto a contributo unificato il giudizio di equa riparazione ex lege L. n. 89 del 2001. Il che rende inapplicabile il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente, T.G., a rimborsare al Ministero della Giustizia le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 1.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2022

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