Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5597 del 08/03/2010

Cassazione civile sez. I, 08/03/2010, (ud. 26/11/2009, dep. 08/03/2010), n.5597

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. FITTIPALDI Onofrio – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

G.B., con domicilio eletto in Roma, via Giulia di

Coliaredo n. 46, presso l’Avv. De Paola Gabriele che la rappresenta e

difende come da procura in atti;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, rappresentata e difesa, per

legge, dall’Avvocatura generale dello Stato, e presso gli Uffici di

questa domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

e contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE;

– intimato –

per la cassazione del decreto della Corte d’appello di Palermo

depositato il 12 dicembre 2006;

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

giorno 26 novembre 2009 dal Consigliere relatore Dott. Zanichelli

Vittorio.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

G.B. ricorre per Cassazione nei confronti del decreto in epigrafe della Corte d’appello che ha accolto parzialmente il suo ricorso con il quale è stata proposta domanda di riconoscimento dell’equa riparazione per violazione dei termini di ragionevole durata del processo dallo stesso iniziato avanti alla Corte dei Conti – Sezione giurisdizionale per la Regione Sicilia – con ricorso del 7 agosto 1998 e definito con sentenza di rigetto del 22 aprile 2005.

La presidenza dei Consiglio dei Ministri resiste con controricorso.

La causa è stata assegnata alla Camera di consiglio in esito al deposito della relazione redatta dal Consigliere Dott. Zanichelli Vittorio con la quale sono stati ravvisati i presupposti di cui all’art. 375 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Deve preliminarmente essere rilevata l’inammissibilità del ricorso proposto nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze in quanto solo a far tempo dall’entrata in vigore della L. 27 dicembre 2006, n. 286 la legittimazione passiva in ordine alla domanda che attiene ad un giudizio avanti la Corte dei conti compete a detta Amministrazione.

Il ricorso nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri è in parte manifestamente fondato.

Giova premettere che, nonostante difetti un’espressa enunciazione in tal senso, la Corte d’Appello ha evidentemente ritenuto che il periodo di irragionevole durata del processo debba essere quantificato, nella fattispecie, in anni due circa. Ciò si desume dalla circostanza che, dopo aver ricordato che il processo era durato sei anni e che la giurisprudenza della Corte Europea ha determinato, in via approssimativa e generale, in tre anni la durata ragionevole del giudizio di primo grado, ha altresì posto in luce la complessità del procedimento che aveva imposto “la rimeditazione di principi costituzionali invocati nella specie” nonchè l’elevatissimo numero dei ricorrenti (n. 1058)” giungendo poi a quantificare il danno in Euro 2.000,00 in dichiarata adesione alle liquidazioni “effettuate in casi simili dalla Corte di Strasburgo”. Poichè è noto come detto organo di giustizia abbia quantificato in una forbice compresa tra i 1.000,00 e i 1.500,00 Euro il danno normalmente riconoscibile e avendo la Corte evidenziato la condotta non particolarmente diligente della parte che ha omesso di attivare rimedi acceleratori (la c.d. “istanza di prelievo”) deve dunque ritenersi che il giudice del merito abbia valutato in circa quattro anni la ragionevole durata di un processo delle richiamata complessità e quindi in circa due anni il periodo cui commisurare il risarcimento del danno.

Tanto premesso si deve altresì evidenziare che le richiamate conclusioni cui è implicitamente ma chiaramente giunta la Corte d’Appello non sono state sottoposte a rituale censura dal momento che tutti i motivi sulla liquidazione del danno non patrimoniale vertano sulla misura del danno rapportata ad anno, come si desume dal tenore dei quesiti in diritto e dall’enunciazione del fatto controverso.

Ciò posto ed esaminando i primi tre motivi che per la loro stretta connessione possono essere valutati congiuntamente l’infondatezza della censura secondo cui il giudice avrebbe errato nello stabilire immotivatamente in Euro 1.000,00 all’anno l’ammontare del danno non patrimoniale pur trattandosi di causa in tema di diritti pensionistici emerge dal principio enunciato da questa Corte secondo cui “Secondo i parametri indicati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, ai quali il giudice nazionale è tenuto a conformarsi nell’applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 la durata ragionevole del processo (nella specie: dinanzi alla Corte dei conti in materia di pensione) è di tre anni in primo grado e di due anni in secondo grado; e l’equa riparazione deve essere liquidata in una somma variabile tra i mille/00 ed i millecinquecento/00 Euro per ciascun anno eccedente il termine ragionevole (Cassazione civile, sez. 1^, 3 gennaio 2008, n. 14). Poichè, si ribadisce, non è in contestazione il periodo considerato (di cui peraltro il giudice del merito ha dato contezza rilevando l’elevato di ricorrenti e la difficoltà delle questioni affrontate) appare pienamente conforme a tale principio la quantificazione del danno operata in Euro 2.000,00 per due anni di ritardo irragionevole, fermo restando che, essendo stata effettuata nell’ambito della forbice richiamata, la stessa non necessita di particolare motivazione, avendo evidentemente ritenuto il giudice a quo che la fattispecie non presentasse rilievo tale da comportare una valutazione peculiare.

Manifestamente fondati sono invece i motivi attinenti all’avvenuta integrale compensazione delle spese in quanto se la mancata opposizione da parte dell’Amministrazione che ha dato causa all’azione non può giustificare detta regolazione non è neppure sufficiente a supportare la pronuncia la mera riduzione della domanda, permanendo comunque una sostanziale soccombenza della controparte che deve essere adeguatamente riconosciuta anche sotto il profilo della suddivisione del carico delle spese.

L’impugnato decreto deve dunque essere cassato. Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto e ritenuto che il rilevante scarto tra l’importo richiesto e quello riconosciuto giustifichi la compensazione in ragione dei due terzi delle spese del giudizio, la Presidenza del Consiglio dei Ministri deve essere condannata al pagamento di un terzo delle spese del giudizio di merito.

L’accoglimento solo parziale del ricorso giustifica la compensazione per un mezzo delle spese di questa fase. Nulla nei rapporti tra ricorrente e Ministero che non ha svolto difese.

P.Q.M.

LA CORTE Dichiara inammissibile il ricorso nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze e accoglie quello nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri nei limiti di cui in motivazione, cassa in parte qua il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri alla rifusione di un terzo delle spese del giudizio di merito, che per l’intero liquida in complessivi Euro 856,00, di cui Euro 311,00 per diritti e Euro 445,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge, dichiarando compensato il residuo, nonchè della metà delle spese del giudizio di legittimità, che per l’intero liquida in complessivi Euro 900,00, di cui Euro 800,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge, dichiarando compensato il residuo.

Così deciso in Roma, il 26 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2010

 

 

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