Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5595 del 11/03/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 5595 Anno 2014
Presidente: BERRUTI GIUSEPPE MARIA
Relatore: CARLEO GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso 11385-2010 proposto da:
INARCASSA – CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA ED
ASSISTENZA PER GLI INGEGNERI ED ARCHITETTI LIBERI
PROFESSIONISTI 80122170584 rappresentata dalla
Dott.ssa ELEONORA CIOGLI, elettivamente domiciliata
in ROMA, VIA DI VILLA EMILIANI 24, presso lo studio
2013
2199

dell’avvocato DE ROSSI ENRICO, che la rappresenta e
difende giusta delega in atti;
– ricorrente contro

TATANGELO MAURIZIO TTNMRZ45C26H501Y, elettivamente

Data pubblicazione: 11/03/2014

domiciliato in ROMA, VIA D. CHELINI 9, presso lo
studio dell’avvocato MORACCI CARLO, che lo
rappresenta e difende giusta delega in atti;

avverso la sentenza n.

controricorrente

1335/2009 della CORTE

482/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 22/11/2013 dal Consigliere Dott. GIOVANNI
CARLEO;
udito l’Avvocato ENRICO DE ROSSI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARIO FRESA che ha concluso per il
rigetto del ricorso;

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D’APPELLO di ROMA, depositata il 29/04/2009, R.G.N.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione notificata in data 11.5.2006 la Cassa Nazionale
di Previdenza ed Assistenza per gli ingegneri ed architetti
liberi professionisti intimava all’arch. Maurizio Tatangelo
sfratto per finita locazione in relazione all’appartamento, ad

int.12, convenendolo contestualmente per la convalida. A
seguito dell’opposizione dell’intimato, il giudice adito non
emetteva l’ordinanza di convalida né emetteva l’ordinanza di
rilascio disponendo la trasformazione del rito. In esito al
giudizio il Tribunale di Roma dichiarava la cessazione del
contratto alla data del 30 settembre 2004 e ne ordinava il
rilascio fissando per l’esecuzione la data del 31 luglio 2007.
Avverso tale decisione il Tatangelo proponeva appello ed in
esito al giudizio, in cui si costituiva l’appellata, la Corte
di Appello di Roma con sentenza depositata in data 29
aprile 2009, in riforma dell’impugnata sentenza, rigettava
l’originaria domanda proposta dall’Inarcassa condannando
quest’ultima alla rifusione delle spese del doppio grado di
giudizio.
Avverso la detta sentenza la soccombente ha quindi proposto
ricorso per cassazione articolato in due motivi. Resiste il
Tatangelo con controricorso. Entrambe le parti hanno
depositato memorie illustrative a norma dell’art.378 c.p.c.
MOTIVI DELLA DECISIONE

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uso abitativo, sito in Roma alla via Pienza 230, palazzina 5,

Con la prima doglianza, deducendo la violazione e la falsa
applicazione degli artt.1362-1371 cc,

la ricorrente ha

censurato la sentenza impugnata per aver la Corte di Appello
fondato la propria decisione sul solo dato testuale,
ricavabile dall’art.1 del contratto di locazione, nella parte

successive al primo quadriennio, senza operare un processo
interpretativo che tenesse conto dell’effettiva volontà delle
parti alla luce di tutti gli elementi testuali ed
extratestuali – quali il significato delle altre clausole
contrattuali ed il comportamento complessivo delle parti sia
durante la formazione del contratto che successivo alla
stipula del contratto stesso – e

senza tener conto delle

incongruenze tra la lettera e lo spirito della convenzione.
Inoltre – ed il rilievo sostanzia la doglianza successiva,
svolta per violazione dell’art.111 Cost. e per mancata ed
erronea motivazione – la Corte di Appello sarebbe incorsa nel
vizio motivazionale indicato per aver dato rilievo al solo
dato letterale omettendo ogni motivazione sulle altre clausole
e sul comportamento complessivo delle parti, assumendo
inoltre, senza alcun elemento di prova, che il contratto era
stato unilateralmente predisposto dalla locatrice e che questa
era un ente pubblico.
I motivi in questione, che vanno esaminati congiuntamente in
quanto sia pure sotto diversi ed articolati profili,

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riguardante il rinnovo del contratto medesimo alle scadenze

prospettano ragioni di censura intimamente connesse tra loro,
sono infondati.
A riguardo, appare opportuno premettere che, secondo la
giurisprudenza costante di questa Corte, i canoni legali di
ermeneutica contrattuale sono governati da un principio di

forza del quale i canoni strettamente interpretativi
prevalgono su quelli interpretativi integrativi e ne
escludono la concreta operatività, quando l’applicazione degli
stessi canoni strettamente interpretativi risulti, da sola,
sufficiente per rendere palese la comune intenzione delle
parti stipulanti. Nell’ambito dei canoni strettamente
interpretativi, poi, risulta prioritario il canone fondato sul
significato letterale delle parole (di cui all’art. 1362,
c.c., comma l).
Tale orientamento è stato ribadito anche necentemente ed è
stato confermato che, nell’ambito dei canoni strettamente
interpretativi (artt. 1362 – 1365 c.c., cit.), risulta
certamente prioritario il canone fondato sul significato
letterale delle parole (di cui all’art. 1362, c.c., comma l),
con la conseguenza che, quando quest’ultimo canone risulti
sufficiente, l’operazione ermeneutica deve ritenersi
utilmente, quanto definitivamente, conclusa. E ciò, in quanto
il 2 ° comma dell’art.1362, che invita ad identificare il
significato dell’atto in base al comportamento complessivo
delle parti, va applicato in via sussidiaria, ove

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gerarchia – desumibile dal sistema delle stesse regole – in

l’interpretazione letterale e logica sia insufficiente. (cfr
Cass.n.8808/08).
La premessa torna utile perché, nel caso di specie, il dato
letterale è assolutamente chiaro avendo le parti previsto
espressamente: l) che il contratto si sarebbe tacitamente

locatore non avesse comunicato al conduttore disdetta motivata
ai sensi dell’art.11 co.2 legge 359/92 a mezzo raccomandata da
recapitarsi almeno sei mesi prima della scadenza; 2) che la
stessa disciplina si sarebbe applicata ad ogni successiva
scadenza.
Ora, considerato che la clausola contrattuale sopra riportata
presenta un tenore letterale, assolutamente chiaro, che non si
presta ad equivoci, deve ritenersi che, così come ha statuito
la Corte di merito, i contraenti avevano voluto pattiziamente
estendere ad ogni scadenza futura la disciplina prevista
normativamente solo per la prima scadenza circa la necessità
di una disdetta motivata di cui agli artt.29 e 59 della legge
n.392/78. La Corte di merito,peraltro, pur ritenendo
assolutamente chiaro ed univoco il dato letterale, al fine di
determinare con maggiore esattezza la comune intenzione delle
parti, ha ritenuto di non limitarsi al senso letterale delle
parole e di valutare altresì il comportamento delle parti, in
relazione alle ragioni che l’avevano indotto a contrarre ed
agli obbiettivi che intendevano perseguire, evidenziando
opportunamente che l’Inarcassa era un ente che perseguiva lo

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A

rinnovato per ulteriori quattro anni nell’ipotesi, in cui il

scopo di previdenza ed assistenza in favore degli ingegneri ed
architetti ed il Tatangelo era per l’appunto un architetto
libero professionista.
La considerazione delle finalità istituzionali del locatore,
in una a quella del ruolo professionale del conduttore,

contrattuale, giustificando ampiamente le ragioni di una
regolamentazione più favorevole al locatario di quanto
normativamente previsto in quanto diretta a porlo al riparo da
disdette

ad libitum.

Ed invero, tale regolamentazione,

escludendo la possibilità per il locatore di un recesso non
preceduto da una disdetta motivata anche per le scadenze
successive alla prima, favoriva indubbiamente il conduttore e
tale previsione appariva conforme alle finalità assistenziali
dell’ente. Inoltre, continuava a consentire a quest’ultimo di
recedere dal contratto di locazione nelle ipotesi in cui
intendesse adibire l’immobile all’esercizio di attività
tendenti al conseguimento delle sue finalità istituzionali
ovvero di precedere alla sua integrale ristrutturazione o
completo restauro, per cui doveva escludersi che il locatore
si fosse vincolato a tempo indeterminato.
Questa, in sintesi, la motivazione posta dalla Corte di merito
a base della decisione, motivazione che appare assolutamente
sufficiente, logica e rispettosa della normativa in esame.
Del resto, vale la pena di sottolineare che l’interpretazione
dei documenti prodotti in giudizio – e della volontà delle

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illuminava il comportamento tenuto dalle parti nel regolamento

parti in essi trasfusa – costituisce attività discrezionale
del giudice di merito la quale, risolvendosi in un tipico
accertamento di fatto, è censurabile in sede di legittimità
soltanto in caso di violazione dei criteri dell’ermeneutica
contrattuale oppure in presenza di vizi motivazionali,

luce di quanto evidenziato in precedenza. Né d’altra a questa
Corte è consentito di procedere alla diretta interpretazione
degli atti in quanto la valutazione degli elementi di prova
attiene al libero convincimento del giudice di merito e la
ricorrente non è riuscita ad individuare effettivi vizi logici
o giuridici nel percorso argomentativo dell’impugnata
decisione, limitandosi a contrapporre un’interpretazione
alternativa rispetto a quella adottata dal Giudice di appello.
Alla stregua di tutte le pregresse considerazioni, la
sentenza impugnata appare esente dalle censure dedotte, con la
conseguenza che il ricorso per cassazione in esame, siccome
infondato, deve essere rigettato. Al rigetto del ricorso segue
la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di
questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo,
alla stregua dei soli parametri di cui al D.M. n.140/2012
sopravvenuto a disciplinare i compensi professionali.
P.Q.M.

La Corte

rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al

pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida

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violazioni, nella specie, assolutamente insussistenti, alla

in complessivi C 3.200,00
oltre accessori di legge, ed

di cui C 3.000,00 per compensi,
200,00 per esborsi.

Così deciso in Roma in camera di Consiglio in ata 22.11.2013

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