Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5591 del 11/03/2014


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 5591 Anno 2014
Presidente: MAMMONE GIOVANNI
Relatore: GARRI FABRIZIA

ORDINANZA
sul ricorso 17730-2011 proposto da:
CARACCI SIMONA (CRCSMN 63H45H501S) elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA RENO 21, presso lo studio dell’avvocato
RIZZO ROBERTO, che la rappresenta e difende giusta procura
speciale a margine del ricorso;

– ricorrente contro
POSTE ITALIANE SPA 97103880585, – società con socio unico – in
persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione e legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,
V.LE MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato FIORILLO
LUIGI, che la rappresenta e difende giusta procura speciale a margine
del controricorso;

– controricorrente –

Data pubblicazione: 11/03/2014

avverso la sentenza n. 9727/2010 della CORTE D’APPELLO di
ROMA del 25/11/2010, depositata 1’08/01/2011;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
03/02/2014 dal Consigliere Relatore Dott. FABRIZIA GARRI;
udito l’Avvocato Rizzo Roberto difensore della ricorrente che si

Fatto e diritto
Con ricorso al giudice del lavoro di Roma Simona Caracci chiedeva
che fosse dichiarata la nullità del termine apposto al contratto di
assunzione alle dipendenze di Poste Italiane s.p.a. per
il periodo 6.12.2001-31.1.2002 stipulato per far fronte ad “esigenze
tecniche-organizzative e produttive della struttura operativa ove viene
assegnata connesse anche al maggior traffico postale del prpssimo
periodo delle festività natalizie” ex art. 25 del c.c.n.l. per i dipendenti
postali 11.1.2001 (e non, come erroneamente riportato sia nella
sentenza di appello che nella relazione redatta ex art. 380 bis c.p.c. ”
esigenze di carattere straordinario conseguenti a processi di
riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più funzionale
riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da
innovazioni tecnologiche, ovvero conseguenti all’introduzione e/o
sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi”).
Ravvisata dal Tribunale la risoluzione del contratto per mutuo
consenso e proposto appello dalla Caracci o la Corte d’appello di Roma
con sentenza 8.1.2011 rigettava l’appello.
La Corte riteneva giustificata l’apposizione del termine, atteso che con
l’art. 25 del c.c.n.l. 2001, grazie alla delega conferita dalla L. n. 56 del
1987, art. 23, le parti sociali stipulanti avevano fissato fattispecie di
apposizione del termine diverse da quelle previste dalla L. n. 230 del

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riporta agli scritti.

1962, in ragione delle esigenze di riorganizzazione aziendale riscontrate
in sede di confronto sindacale.
La norma, quindi, prescindeva dalla necessità di individuare il nesso tra
l’assunzione a termine e specifiche esigenze aziendali, o di ravvisare
condizioni di lavoro oggettive dei singoli uffici o soggettive dei singoli

Ha proposto ricorso per cassazione la Caracci, cui Poste Italiane ha
resistito con controricorso.

Tanto premesso si osserva che la Corte territoriale ha con precedenza
esaminato la questione della legittimità del termine apposto al
contratto, che non era stata esaminata dal Tribunale che aveva ritenuto
risolto comunque per mutuo consenso il rapporto e che le era stata
riproposta con l’appello.
Nel far ciò il giudice d’appello si è attenuto alla giurisprudenza
consolidata d
tt. questa Corte

, nell’ipotesi come quella in esame di

k

contratto a termine retto, ai sensi della disciplina transitoria di cui
all’art. 11, secondo comma del D. Lgs. n. 368/01, dall’art. 25 del
C.C.N.L. 11 gennaio 2001 applicato al rapporto, stipulato – in epoca
antecedente all’entrata in vigore del decreto legislativo medesimo nell’esercizio del potere di individuare nuove ipotesi di legittima
apposizione di un termine finale al contratto di lavoro subordinato,
assegnato ai contraenti collettivi dalla legge n. 56 del 1987.
Va infatti premesso che, secondo la consolidata giurisprudenza di
questa Corte (Efr Cass. S.U. n. 4588/06 e le successive conformi della
sezione lavoro, tra le quali, ad es., Cass. n. 6913/09), l’art. 23 della
legge 28 febbraio 1987 n. 56 ha operato una sorta di “delega in bianco”
alla contrattazione collettiva ( ivi considerata, quanto alla individuazione
di ipotesi ulteriori di legittima apposizione di un termine al rapporto di
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lavoratori.

lavoro subordinato, sottratte pertanto a vincoli di conformazione
derivanti dalla legge n. 230 del 1962 e soggette, di per sé, unicamente
agli eventuali limiti e condizionamenti stabiliti dalla legge che ne
prevede l’individuazione o dalla medesima contrattazione collettiva.
Siffatta individuazione di ipotesi aggiuntive può essere operata anche

di determinate situazioni di fatto e la valutazione delle stesse come
idonea causale del contratto a termine

gr. , ad es., Cass. 20 aprile 2006

n. 9245 e 4 agosto 2008 n. 21063), senza necessità, contrariamente a
quanto sostenuto col ricorso, di un accertamento a posteriori in ordine
alla effettività delle stesse. Per tale aspetto la censura oggetto del
secondo motivo di ricorso è infondata.
Quanto al rispetto della c.d. clausola di contingentamento, vale a dire
della percentuale massima di contratti a termine rispetto al numero dei
rapporti a tempo indeterminato stabilita a livello collettivo, in
adempimento di quanto imposto dall’art. 23 della legge n. 56/87, se è
errata l’affermazione della Corte territoriale che ha gravato la
lavoratrice dell’onere probatorio che invece incombe sulla società
datrice (cfr. tra le tante Cass. n. 839/2010 e 21100/2012), tuttavia la
stessa Corte dà atto dell’esistenza al riguardo di prova documentale
tempestivamente depositata dalla società e che non risulta essere stata
oggetto di puntuale contestatazione da parte della lavoratrice.
Con le esposte precisazioni, quindi, la sentenza va sul punto
confermata.
Quanto alla dedotta violazione dell’art. 112 c.p.c. per avere la Corte del
tutto omesso di pronunciare sulle censure formulata dalla lavoratrice
riguardo alla intervenuta risoluzione per mutuo consenso del rapporto
è appena il caso di osservare che si tratta di questione assorbita per

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direttamente, attraverso l’accertamento da parte dei contraenti collettivi

effetto dell’avvenuto accertamento della legittima apposizione del
termine al contratto di lavoro.
Alla luce delle esposte considerazioni e con le precisazioni sopra
riportate in merito all’esatta causale posta a fondamento del contratto,
il ricorso deve essere respinto e le spese, liquidate in dispositivo, vanno

Pqm
La Corte
Respinge il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese
del giudizio liquidate in e 2500,00 per compensi professionali ed in €
100,00 per esborsi. Oltre accessori dovuti per legge.
Così deciso in Roma il 3 febbraio 2014
Il Presidente

poste a carico della ricorrente risultata soccombente.

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