Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5590 del 28/02/2020

Cassazione civile sez. un., 28/02/2020, (ud. 17/12/2019, dep. 28/02/2020), n.5590

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Primo Presidente –

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente di sez. –

Dott. MANNA Antonio – Presidente di sez. –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20221-2018 proposto da:

A.G., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA DEL POPOLO 3,

presso lo STUDIO LEGALE SANASI D’ARPE – LEXIA AVVOCATI,

rappresentata e difesa dall’avvocato ALESSANDRO DAGNINO;

– ricorrente –

contro

PROCURATORE GENERALE RAPPRESENTANTE IL PUBBLICO MINISTERO,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BAIAMONTI 25;

– controricorrente –

e contro

PROCURA GENERALE PRESSO LA SEZIONE GIURISDIZIONALE D’APPELLO DELLA

CORTE DEI CONTI PER LA REGIONE SICILIANA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 199/2017 della CORTE DEI CONTI – SEZIONE

GIURISDIZIONALE D’APPELLO PER LA REGIONE SICILIANA PALERMO,

depositata il 29/12/2017;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/12/2019 dal Consigliere Dott. INCENTI;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Dott.

SALZANO FRANCESCO, che ha concluso per l’inammissibilità, in

subordine rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato Alessandro Dagnino.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – La Procura Regionale presso la Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione siciliana convenne in giudizio l’on. A.G., nella sua qualità di Presidente del Gruppo parlamentare “(OMISSIS)” verso il Partito della Nazione” dell’Assemblea Regionale Siciliana (ARS), chiedendone la condanna al pagamento della complessiva somma di Euro 244.097,64, a titolo di danno erariale, patito dall’ARS, per le somme erogate a detto Gruppo nel periodo compreso tra il 3 novembre 2010 e il 24 agosto 2012 e utilizzate per finalità non istituzionali.

1.1. – Nel contraddittorio con la convenuta – che, tra l’altro, eccepì preliminarmente il difetto di giurisdizione del giudice contabile – l’adita Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione siciliana rigettò le eccezioni preliminari e condannò l’on. A. al pagamento della complessiva somma di Euro 157.011,06.

2. – Avverso tale decisione proponevano gravame sia A.G., in via principale, che il Procuratore generale della Corte di conti per la Regione siciliana, in via incidentale: la Sezione giurisdizionale di appello per la Regione siciliana, con sentenza resa pubblica in data 29 dicembre 2017, rigettava l’appello principale (con cui era stata reiterata anche l’eccezione di difetto di giurisdizione della Corte dei conti) e accoglieva in parte quello proposto dal Procuratore generale, condannando l’on. A. al pagamento della somma di Euro 181.763,56.

2.1. – Il giudice contabile, per quanto rileva in questa sede, osservava che: a) la giurisdizione della Corte dei conti nei giudizi risarcitori per la gestione dei contributi erogati dall’Assemblea sussisteva in forza del “rapporto di servizio” determinato dalla “natura pubblicistica delle risorse utilizzate dai Gruppi parlamentari” e dalla “contestuale predeterminazione dello scopo attraverso di esse perseguito”; b) gli stessi Gruppi avevano natura pubblicistica e i contributi pubblici erano ad essi attribuiti secondo specifici vincoli impressi dalla legge e predefiniti con esplicito asservimento a finalità istituzionali del Consiglio regionale, non potendo invocarsi la guarentigia dell’art. 122 Cost., comma 4, la cui prevista immunità non si estendeva alla gestione dei contributi erogati ai gruppi consiliari; c) sussisteva il potere del giudice contabile ad una puntuale verifica, “con riferimento al quadro normativo di riferimento e ai principi generali dell’ordinamento”, sulla legittimità delle voci di spesa rendicontate, “in funzione di criteri oggettivi di compatibilità e di collegamento teleologico con le finalità di preminente interesse pubblico assegnate dalla legge a ciascun Gruppo parlamentare, beneficiario dei contributi per il perseguimento delle attività istituzionali intestate al medesimo in seno all’Assemblea regionale”; d) al Presidente del Gruppo parlamentare, in ragione della sua “collocazione istituzionale” e del “peculiare ruolo attribuito”, competeva “la corrispondente responsabilità, compresa quella amministrativa, secondo principi generali di contabilità e norme che disciplinano l’erogazione di finanziamenti provenienti dal pubblico erario”; e) ai fini dell’imputazione a titolo di danno erariale delle spese non pertinenti rispetto alle finalità istituzionali veniva in rilievo la normativa regolamentare adottata dall’ARS (decreti del Presidente dell’Assemblea: D.P.A.) “per disciplinare l’erogazione delle varie tipologie di contributi” in favore dei Gruppi; f) nella specie, era da escludersi una violazione del principio della c.d. “discriminante politica”, giacchè l’azione promossa dalla Procura contabile (e la successiva verifica in sede giurisdizionale) era “limitata esclusivamente alla verifica di congruità delle spese rispetto agli scopi istituzionali ed ai fini di rilievo pubblicistico assegnati al Gruppo parlamentare”.

3. – Per la cassazione di tale sentenza ricorre A.G., affidando le sorti dell’impugnazione a due motivi, illustrati da memoria.

Resiste con controricorso il Procuratore generale rappresentante il Pubblico Ministero presso la Corte dei conti.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 362 c.p.c., comma 1, violazione e falsa applicazione degli artt. 4 e 6 dello Statuto della Regione siciliana, nonchè del R.D. n. 1214 del 1934, art. 52,L. n. 20 del 1994, art. 1, comma 4, e art. 103 Cost., comma 2.

La Corte dei conti avrebbe erroneamente affermato la propria giurisdizione nella materia dei contributi erogati dall’ARS ai Gruppi parlamentari costituiti in senso alla stessa nella XV legislatura, violando il principio di insindacabilità delle attività poste in essere dai deputati regionali nell’esercizio delle loro funzioni, previsto dall’art. 6 dello Statuto di autonomia, il cui omologo è da rinvenirsi non nell’art. 122 Cost., bensì nell’art. 68 Cost., là dove, inoltre, l’esercizio di dette funzioni è sottoposto, ai sensi dell’art. 4 del medesimo Statuto, “alla riserva di regolamento interno dell’Assemblea regionale”, al pari di quanto contemplato dall’art. 64 Cost., comma 1 per il Parlamento nazionale.

Il giudice contabile, a fronte della distinzione – messa in luce dalla sentenza n. 337 del 2009 della Corte costituzionale – tra le attività tipiche dei Gruppi parlamentari dell’ARS, comprensive di quelle inerenti all’autorganizzazione, coperte dall’insindacabilità e le “altre attività di natura amministrativa diverse da quelle di auto-organizzazione interna”, estranee come tali all’art. 4 dello Statuto, avrebbe adottato una motivazione “carente e apodittica”, mancando di effettuare “alcun accertamento… sulla riconducibilità o meno dell’attività contestata dalla Procura al Presidente del Gruppo parlamentare a quelle funzioni di auto-organizzazione interna del Gruppo”, coperte dalla guarentigia dell’art. 6 dello Statuto di autonomia.

La Corte dei conti, nella specie, sarebbe invece pervenuta all’affermazione della propria giurisdizione solo “a seguito del ritenuto sviamento delle risorse dagli scopi cui erano destinate e, dunque, secundum eventum litis”, mentre avrebbe dovuto arrestarsi nel giudicare una volta ritenuto che il contributo, in base alla normativa esaminata in sentenza, veniva erogato ai Gruppi “per l’esercizio delle proprie funzioni” e in quanto tale era, per definizione, “strettamente e specificamente strumentale ad assicurare lo svolgimento dei compiti istituzionali dell’Organo consiliare”.

2. – Con il secondo mezzo è dedotta, ai sensi dell’art. 362 c.p.c., comma 1, violazione e falsa applicazione dell’art. 4 dello Statuto della Regione siciliana, nonchè degli artt. 23-25 del regolamento interno dell’ARS (nel testo vigente ratione temporis), del R.D. n. 1214 del 1934, art. 52,L. n. 20 del 1994, art. 1, comma 4, e art. 103 Cost., comma 2.

La Corte dei conti non avrebbe considerato la specificità della normativa della Regione siciliana, la quale, al tempo dei fatti, non prevedeva “alcun specifico vincolo normativo di destinazione dei contributi in favore dei gruppi”, essendo il regolamento interno dell’ARS, in base alla riserva di cui all’art. 4 dello Statuto, “rimasto silente sull’argomento fino alla novella introdotta nel 2014” (e, dunque, successivamente ai fatti di causa), con cui, sulla falsariga della normativa statale, veniva istituita una specifica disciplina delle modalità di gestione e di rendicontazione dei fondi assegnati ai gruppi.

Nè avrebbe potuto il giudice contabile, in presenza di detta riserva regolamentare, rinvenire “un vero e proprio vincolo legale” nei numerosi DD.P.A. citati in sentenza, da ritenersi espressione solo di “soft law” o di “atti interni di auto-regolamentazione”, tali, dunque, da palesarsi inidonei a fondare la giurisdizione in materia, essendo insindacabile, in mancanza di previsione regolamentare, l’operato dei deputati dell’ARS anche in sede contabile.

Nè, ancora, potevano utilmente invocarsi quei precedenti giurisprudenziali (segnatamente: Cass., S.U., n. 23257/2014 e Cass., S.U., n. 8622/2015) che riguardavano fattispecie differenti, in cui (come nel caso del Friuli Venezia-Giulia) esisteva un vincolo di destinazione delle risorse assegnate ai gruppi assembleari derivante dalla legge, là dove, peraltro, “il Parlamento siciliano, a differenza degli altri consigli regionali delle regioni a statuto ordinario, è assimilabile al Parlamento nazionale”.

Ne conseguiva, quindi, che “la logica sottesa alla disciplina dei contributi erogati ai Gruppi fosse quella di un finanziamento pubblico al gruppo, al pari di quanto avveniva con il finanziamento pubblico ai partiti o con i rimborsi delle spese elettorali”, rispetto ai quali la giurisdizione della Corte dei conti è stata esclusa (Cass., S.U., n. 10094/2015), dovendo, pertanto, essere negata anche nel caso di specie, poichè “l’unico soggetto legittimato a far valere un’eventuale illegittima utilizzazione delle risorse, peraltro solamente dinanzi al giudice ordinario, è il Gruppo medesimo”.

3. – Il ricorso, in tutta la sua articolazione (essendo i due motivi scrutinabili congiuntamente per la loro stretta connessione), è inammissibile.

3.1. – Questa Corte ha più volte affermato (Cass., S.U., 31 ottobre 2014, n. 23257; Cass., S.U., 21 aprile 2015, n. 8077; Cass., S.U., 28 aprile 2015, n. 8570; Cass., S.U., 29 aprile 2015, n. 8622; Cass., S.U., 8 aprile 2016, n. 6895; Cass., S.U., 7 settembre 2018, n. 21927) – e da ultimo, in continuità con gli arresti precedenti, in fattispecie sovrapponibile a quella oggetto del presente giudizio (ossia, di responsabilità a titolo di danno erariale di un presidente di un gruppo parlamentare dell’ARS per spese, poste a carico di contributi erogati al gruppo medesimo, non inerenti a finalità istituzionali: Cass., S.U., 17 dicembre 2018, n. 32618 e Cass., S.U., 16 gennaio 2019, n. 1035; i principi affermati da quest’ultima pronuncia sono stati, quindi, ribaditi da Cass., S.U., 30 aprile 2019, n. 11504 e dalla coeva Cass., S.U., n. 11505/2019, che ha riguardato proprio la posizione della ricorrente in riferimento al periodo di presidenza del Gruppo parlamentare (OMISSIS) dell’ARS nel periodo dal 3 novembre 2009 al 26 ottobre 2010) che la gestione dei fondi pubblici erogati ai gruppi partitici dei consigli regionali è soggetta alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di responsabilità erariale, sia perchè a tali gruppi (pur in presenza di elementi di natura privatistica connessi alla loro matrice partitica) va riconosciuta natura essenzialmente pubblicistica in relazione alla funzione strumentale al funzionamento dell’organo assembleare da essi svolta, sia in ragione dell’origine pubblica delle risorse e della definizione legale del loro scopo, e senza che rilevi il principio dell’insindacabilità di opinioni e voti ex art. 122 Cost., comma 4, non estensibile alla gestione dei contributi, attesa la natura derogatoria delle norme di immunità.

3.2. – L’accertamento rimesso in tale ambito alla Corte dei conti, affinchè non debordi dai limiti esterni imposti alla sua giurisdizione, non può investire l’attività politica del presidente del gruppo consiliare o le scelte di “merito” dal medesimo effettuate nell’esercizio del mandato, ma deve mantenersi nell’alveo di un giudizio di conformità alla legge dell’azione amministrativa (L. n. 20 del 1994, art. 1).

Pertanto (come precisato dalle citate Cass., S.U., n. 32618/2018, Cass., S.U., n. 1035/2019, Cass., S.U., n. 11504/2019 e Cass., S.U., n. 11505/2019), in siffatto alveo – e, dunque, nei limiti interni della giurisdizione contabile – rimane la verifica di difformità, compiuta dalla Corte dei conti, delle attività di gestione del contributo erogato al gruppo consiliare rispetto alle finalità, di preminente interesse pubblico, che allo stesso imprime la normativa vigente, così da potersi svolgere in termini di congruità delle singole voci di spesa ammesse al rimborso con riferimento a criteri oggettivi di conformità e di collegamento teleologico con i predetti fini, secondo quanto imposto dal quadro normativo di riferimento.

3.3. – Una tale verifica è quella che ha compiuto il giudice contabile con la sentenza impugnata in questa sede (pp. 43/49 e 51/53), siccome imperniata su un giudizio di congruità tra il concreto utilizzo dei contributi percepiti dal gruppo assembleare “(OMISSIS)-verso il Partito della Nazione” nel periodo di presidenza dell’on. A. (novembre 2010/agosto 2012) e i fini per i quali i contributi stessi erano stati erogati, secondo le formali indicazioni recate dai vari decreti del Presidente dell’ARS succedutesi nel tempo (sino al 2012), che tali contributi avevano previsto, regolato e destinato per l’esercizio delle funzioni proprie degli stessi gruppi presenti all’interno dell’Assemblea (cfr. sentenza impugnata pp. 39/41 e sintesi al p. 2.1. dei “Fatti di causa”).

Sicchè, anche un eventuale errore commesso dal giudice contabile nel concreto svolgersi dell’anzidetta verifica non consente di ritenere superati i limiti esterni della giurisdizione spettante al medesimo giudice, giacchè ascrivibile a violazioni di legge, sostanziale o processuale, concernenti soltanto il modo d’esercizio della giurisdizione speciale e non inerenti all’essenza di essa o allo sconfinamento dai relativi limiti esterni (tra le molte, Cass., S.U., 19 luglio 2013, n. 17660, Cass., S.U., 18 maggio 2017, n. 12497).

4. – Le argomentazioni difensive di parte ricorrente (sviluppate anche con la memoria) non scalfiscono i rilievi che precedono, alla luce di quanto già precisato dalla citata Cass., S.U., n. 1035/2019 (nonchè dalle conformi Cass., S.U., n. 11504/2019 e Cass., S.U., n. 11505/2019).

4.1. – E’, infatti, consolidato l’orientamento della Corte costituzionale in ordine alla diversità di posizione dei Consigli regionali e delle Camere, secondo cui il livello di autonomia assicurato alle funzioni consiliari dall’art. 122 Cost. (e dalle disposizioni corrispondenti per le Regioni ad autonomia particolare; nella specie, l’art. 6 dello Statuto siciliano, il quale recita: “I Deputati non sono sindacabili per i voti dati nell’Assemblea regionale e per le opinioni espresse nell’esercizio della loro funzione”) è altro e minore rispetto alle prerogative che contraddistinguono il potere di indirizzo politico generale spettante al Parlamento (Corte Cost.: sentenze n. 6 del 1970, n. 110 del 1970, n. 35 del 1981, n. 129 del 1981, n. 171 del 1989, n. 245 del 1995, n. 292 del 2001, n. 39 del 2014 e con specifico riferimento all’ARS: sentenze n. 209 del 1994, n. 337 del 2009; ciò che trova conferma anche nella più recente sentenza n. 43 del 2019, evocata anche dalla ricorrente con la memoria).

L’analogia tra le attribuzioni delle assemblee regionali e di quelle parlamentari non si pone in rapporto di identità, con la conseguenza che le deroghe alla giurisdizione – sempre di stretta interpretazione – sono ammissibili soltanto nei confronti di organi immediatamente partecipi del potere sovrano dello Stato e perciò situate ai vertici dell’ordinamento, in posizione apicale di assoluta indipendenza e di reciproca parità.

L’art. 122 Cost., comma 4, (e il corrispondente art. 6 dello Statuto di autonomia della Regione siciliana) configura un’immunità limitata ad atti tipici, posti in essere in occasione di dichiarazioni e votazioni strumentali all’esercizio dell’attività legislativa e politica, in nessun modo estensibile alla responsabilità civile, penale ed amministrativa dipendente da uso illegittimo di denaro pubblico.

4.2. – Non è in discussione il fatto che la funzione di autorganizzazione interna dei Consigli regionali partecipi delle guarentigie apprestate dall’art. 122 Cost., comma 4, a tutela dell’esercizio delle funzioni primarie (legislativa, di indirizzo politico e di controllo) delle quali l’organo di rappresentanza è investito, al fine di preservarle dall’interferenza di altri poteri (in tal senso anche Cass., S.U., 30 aprile 2019, n. 11502); e che di tale funzione costituiscano espressione gli atti che riguardano direttamente l’organizzazione degli uffici e dei servizi (sia per quanto concerne l’articolazione delle strutture e della fornitura dei mezzi necessari, sia per quanto concerne il personale) e le modalità di svolgimento dell’attività dell’Assemblea.

Tuttavia, l’anzidetta prerogativa dell’insindacabilità non riguarda affatto “l’attività materiale di gestione delle risorse finanziarie, che resta assoggettata alla ordinaria giurisdizione di responsabilità civile, penale e contabile” (Corte Cost., sent. n. 235 del 2015 e sent. n. 43 del 2019); sicchè, proprio in ambito di responsabilità per maneggio di denaro pubblico, l’esenzione dalla giurisdizione (spettante in via tendenziale alla Corte dei conti: tra le altre, Corte Cost., sent. n. 241 del 1984), rappresenterebbe un’eccezione non consentita, in quanto priva di fondamento in norme costituzionali o di attuazione statutaria, anche alla luce della ricordata non assimilabilità delle assemblee elettive regionali alle assemblee parlamentari (Corte Cost., sent. n. 292 del 2001).

4.3. – Nè, del resto, alcuna fonte regionale (anche se di autonomia differenziata, come, nella specie, l’art. 4 dello Statuto siciliano, il quale dispone: “L’Assemblea regionale elegge nel suo seno il Presidente, due Vice Presidenti, i Segretari dell’Assemblea e le Commissioni permanenti, secondo le norme del suo regolamento interno, che contiene altresì le disposizioni circa l’esercizio delle funzioni spettanti all’Assemblea regionale”) potrebbe introdurre “nuove cause di esenzione dalla responsabilità penale, civile o amministrativa, trattandosi di materia riservata alla competenza esclusiva del legislatore statale, ai sensi dell’art. 117 Cost., comma 2, lett. I)” (Corte Cost., sentenze n. 200 del 2008, n. 337 del 2009, n. 19 del 2014), con ciò venendosi, peraltro, a ribadire che il regolamento interno dell’Assemblea Regionale è fonte dotata di “minor rilievo normativo e di minor grado di autonomia rispetto ai regolamenti delle Camere” (Corte Cost., sentenze n. 287 del 1987 e n. 337 del 2009).

4.4. – Nè, sotto altro profilo, può valere l’argomento che fa leva sulla introduzione solo dal febbraio 2014 (e quindi in epoca posteriore ai fatti di causa), in forza di apposite norme del regolamento dell’ARS (artt. da 25-bis a 25-quater) emanate per adeguare l’ordinamento regionale alle disposizioni del D.L. n. 174 del 2012, art. 1, commi da 9 a 12, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 213 del 2012, della disciplina in materia di gestione dei contributi erogati ai gruppi consiliari e del rendiconto ad essi relativo.

Difatti, tale innovativa (a partire, per la Regione siciliana, dalla predetta data) attribuzione del potere di verifica contabile alle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti – con correlata qualificazione soggettiva dei presidenti degli anzidetti gruppi in termini di agenti contabili, in precedenza esclusa – prescinde dalla responsabilità amministrativa e contabile dei medesimi presidenti “in caso di illecita utilizzazione dei fondi destinati ai gruppi”, il cui accertamento – come già evidenziato – è rimesso alla giurisdizione della Corte dei conti alla stregua della già esistente disciplina ordinaria della materia (Corte Cost., sent. n. 107 del 2015).

Pertanto, il quadro normativo di riferimento in base al quale compiere la verifica di conformità tra i fini per i quali i contributi venivano erogati e il loro concreto utilizzo ben poteva, anche prima della modifica regolamentare del febbraio 2014, essere integrato dalle delibere dell’Ufficio di Presidenza dell’Assemblea regionale che, nel tempo (a partire dal marzo 1988, come specificatamente indicato nella sentenza impugnata in questa sede), hanno previsto e regolato l’assegnazione del contributo ai gruppi assembleari, delineandone i fini e prevedendo compiti di vigilanza del presidente del gruppo sulla “corretta utilizzazione dei contributi stessi”, essendo dette delibere pur sempre espressione della potestà spettante all’Ufficio di Presidenza in base al regolamento interno dell’ARS (segnatamente, art. 11), autorizzato dallo statuto della Regione siciliana (art. 4) e, dunque, costituendo disciplina cogente secondo il disegno ordinamentale, in linea con l’autonomia differenziata garantita alla Regione siciliana.

Ciò che i rilievi della memoria di parte ricorrente non sono in grado di scalfire, neppure là dove sostengono che la materia sarebbe disciplinata, non da dette “delibere”, ma dai decreti del Presidente dell’ARS (i c.d. D.P.A.), che, in quanto non contemplati dal citato art. 11 del regolamento interno dell’ARS, dovrebbero reputarsi, dunque, “mere circolari interne”.

Invero, i D.P.A. (cfr. D.P.A. n. 82/2006, depositato dalla ricorrente) ineriscono direttamente alle presupposte delibere ex art. 11 dell’Ufficio di Presidenza (che, nell’occasione, assume la denominazione di “Consiglio di Presidenza”), le quali provvedono a dettare la disciplina della materia che il D.P.A. stesso recepisce in un testo coordinato, richiamando, peraltro, l’art. 23 del regolamento interno dell’ARS (fonte, come detto, autorizzata dall’art. 4 dello statuto di autonomia), in quanto vertente su ambito concernente i Gruppi Parlamentari.

5. – Il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile, ma non vi è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di legittimità in ragione della qualità di parte solo in senso formale del Procuratore generale presso la Corte dei conti (tra le tante, Cass., S.U., 8 maggio 2017, n. 11139; Cass., S.U., 27 dicembre 2016, n. 26995).

PQM

dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezioni Unite Civili della Corte suprema di Cassazione, il 17 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2020

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