Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5590 del 08/03/2010

Cassazione civile sez. I, 08/03/2010, (ud. 26/11/2009, dep. 08/03/2010), n.5590

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. FITTIPALDI Onofrio – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

L.R.C., A.D.L., A.R.

A. e A.A., con domicilio eletto in Roma, via dei

Levii n. 29, presso l’AVV. Adriano Carmelo Franco, rappresentati e

difesi dalL’Avv. Fioresta Raffaele, come da procura in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso, per legge, dall’Avvocatura generale dello

Stato, e presso gli Uffici di questa domiciliato in Roma, Via dei

Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

per la cassazione del decreto della Corte d’appello di Salerno

depositato il 7 novembre 2006;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

giorno 26 novembre 2009 dal Consigliere relatore Dott. Vittorio

Zanichelli.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L.R.C., A.D.L., A.R. A. e A.A. ricorrono per cassazione nei confronti del decreto in epigrafe della Corte d’appello che ha respinto il loro ricorso con il quale è stata proposta domanda di riconoscimento dell’equa riparazione per violazione dei termini di ragionevole durata del processo.

Resiste l’Amministrazione con controricorso.

La causa è stata assegnata alla camera di consiglio in esito al deposito della relazione redatta dal Consigliere Dott. Vittorio Zanichelli con la quale sono stati ravvisati i presupposti di cui all’art. 375 c.p.c..

La ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

L’unico complesso motivo di ricorso con cui si censura l’impugnata decisione per violazione dell’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e della L. n. 89 del 2001, art. 2 è manifestamente fondato.

La Corte d’appello, ha motivato il disconoscimento del diritto all’equa riparazione del danno conseguente all’irragionevole durata del processo avanti al tribunale di Catanzaro nel quale i ricorrenti avevano assunto la veste di convenuti con la considerazione secondo cui, scomputati dai dodici anni circa della durata complessiva i tre anni giudicati normalmente necessari per la definizione di un giudizio di primo grado, altri tre anni e otto mesi circa erano da attribuirsi a rinvii richiesti dalle parti e quindi non addebitabili a disfunzioni dell’organizzazione giudiziaria e che anche il residuo spazio temporale durante il quale il giudizio era stato pendente non poteva ritenersi causa di patema d’animo e quindi di danno non patrimoniale in quanto la complessiva condotta dilatoria era indice di sostanziale disinteresse per la pendenza del giudizio.

L’errore in cui è incorsa la Corte è reso manifesto dal principio secondo cui “In tema di diritto alla equa riparazione ex legge n. 89 del 2001, con riguardo alla valutazione, ai fini della eventuale ascrivibilità, nell’area della irragionevole durata del processo, dei tempi corrispondenti a rinvii eccedenti il termine di cui all’art. 81 disp. att. c.p.c., la violazione della durata ragionevole non discende, come conseguenza automatica, dall’essere stati disposti rinvii della causa di durata eccedente i quindici giorni, ma dal superamento della durata ragionevole in termini complessivi, in rapporto ai parametri, di ordine generale, fissati dalla L. n. 89 del 2001, art. 2. Da tale durata sono detraibili i rinvii richiesti dalle parti solo nei limiti in cui siano imputabili ad intento dilatorio o a negligente inerzia delle stesse, e, in generale, all’abuso del diritto di difesa, e non anche per la parte ascrivibile ad obiettive disfunzioni ed insufficienze del sistema, e cioè a carenze dell’ufficio giudiziario, pur in difetto di specifiche sue manchevolezze o colpe (Cassazione civile, sez. 1, 15 novembre 2006, n. 24356).

Applicando tale principio al caso concreto ne consegue che è giustificato lo scomputo dei periodi dal 21.12.1993 al 20.9.1994 e da tale data al 13.6.1995, nonchè di quelli da 18.2.1997 al 21.10.1997 e da tale data al 7.7.1998 (anni due, mesi dieci e giorni dodici), trattandosi di rinvii richiesti dalle parti senza una ragione strettamente processuale e non venendo in considerazione la concessione di un termine superiore a quello previsto dall’art. 81 disp. att. c.p.c. dal momento che la reiterazione anche in udienze contigue della richiesta di dilazione indica chiaramente la volontà di godere di rinvii superiori a quelli previsti dalla citata norma, cui debbono essere aggiunti altri quarantacinque giorni per il tempo previsto per gli ulteriori rinvii isolatamente richiesti o determinati dalla loro condotta (art. 309 c.p.c.). Del tutto incongruo, per contro, inferire da tale condotta limitata nel tempo una generale volontà dilatoria tale da escludere dal computo del ritardo tutto l’ulteriore spazio temporale sia perchè il giudice ha comunque gli strumenti per reagire agli eccessi sia perchè una condotta processuale non particolarmente sollecita può indicare una limitata apprensione alle sorti del giudizio e quindi influire sulla quantificazione del danno ma non escludere del tutto il patema comunque insito nella pendenza del medesimo.

L’accoglimento del motivo comporta la cassazione dell’impugnata decisione e il rinvio della causa, anche per le spese, ad altra sezione della stessa Corte d’appello.

PQM

la Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e rinvia la causa, anche per le spese, alla Corte d’appello di Salerno in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 26 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2010

 

 

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