Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5589 del 11/03/2014


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 5589 Anno 2014
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: FERNANDES GIULIO

ORDINANZA
sul ricorso 30792-2011 proposto da:
PALUMBO GIULIO (PLMGLI66D21H431V), elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA PANAMA 74, presso lo studio
dell’avvocato IACOBELLI GIANNI EMILIO, che lo rappresenta e
difende giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente contro
POSTE ITALIANE SP 97103880585)
, n persona del Presidente del
Consiglio di Amministrazione e legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, V.LE MAZZINI 134, presso lo
studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende
giusta procura a margine del controricorso;

– controticorrente

*833

Data pubblicazione: 11/03/2014

avverso la sentenza n. 9940/2010 della CORTE D’APPELLO di
ROMA dell’1/12/2010, depositata il 23/12/2010;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30/01/2014 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIO FERNANDES.

Ric. 2011 n. 30792 sez. ML – ud. 30-01-2014
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FATTO E DIRITTO
La causa è stata chiamata all’adunanza in camera di consiglio del 30
gennaio 2014, ai sensi dell’art. 375 c.p.c. sulla base della seguente relazione
redatta a norma dell’art. 380 bis c.p.c.:
“La Corte di appello di Roma, con sentenza del 23.12.2010, confermava

proposta da Palumbo Giulio intesa a sentir dichiarare la nullità del termine
apposto al contratto di lavoro intercorso tra esso ricorrente e Poste
Italiane s.p.a. per il periodo dal 1°6 1998 al 30.9.98 ed all’accertamento
della intercorrenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo
indeterminato con condanna della società a riammetterlo in servizio ed a
pagare in suo favore tutte le retribuzioni maturate “medio tempore” dalla
illegittima interruzione del rapporto alla riammissione, oltre rivalutazione
monetaria.
Il termine al contratto era stato apposto ” per la necessità di
espletamento del servizio in concomitanza con il periodo estivo”.
La Corte territoriale, per quello che ancora qui rileva, aveva ritenuto:
legittima l’apposizione del termine ai sensi dall’art. 8 del CCNL del
26.11.1994 con cui le parti sociali avevano previsto la possibilità di
utilizzare il lavoro a termine per necessita di espletamento del servizio in
concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno settembre senza che
fosse necessario indicare i nominativi dei lavoratori sostituiti essendo
rilevante solo il periodo in cui si verificava l’assunzione a temine. Inoltre,
riguardo alla inosservanza da parte della società della clausola di
contingentamento, dopo aver precisato che l’onere della prova del rispetto
delle percentuale dei lavoratori da assumere a tempo determinato
incombenva sulla sul datore di lavoro, rilevava che il Palumbo , pur
avendo dedotto il mancato rispetto di detta clausola, tuttavia, a fronte dei
dati numerici forniti da Poste Italiane non aveva sollevato alcuna

la decisione del Tribunale di Roma che aveva rigettato la domanda

contestazione e, peraltro, anche la prova per testi espletata in primo grado
aveva fornito riscontro all’assunto della società.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso il Palumbo affidato a due
motivi.
Resiste con controricorso Poste Italiane s.p.a..

degli artt. 1362 e ss. c.c., dell’art. 23 L. n. 56/87 in relazione all’art. 87
CCNL Poste del 1994…..dell’art. 113 c.p.c. in relazione agli artt. 8 e 87 del
CCNL Poste cit. e all’abrogato art. 2074 c.c. ( omesso rilievo della
inapplicabilità del principio dell’ultrattività di cui all’art. 2074 ai contratti
collettivi di diritto comune successivamente alla data di scadenza ivi
prevista); violazione degli artt. 2727 e ss c.c. ( espressa previsione
contrattuale di cessazione degli effetti alla sua naturale scadenza —
inapplicabilità delle disposizioni ai contratti a termine conclusi
successivamente al 31.12.97 — nullità dei contratti a termine conclusi
successivamente al 31.12.97) — inefficacia degli accordi successivi non
allegati agli del giudizio non applicabilità al caso di specie delle modifiche
apportate all’art. 14 co.4 del CCNL.”.
Si assume che il CCNL in questione era scaduto il 31.12.1997 come
espressamente statuito dall’art. 87, ed erroneamente la Corte di merito
aveva, invece, ritenuto la ultrattività dello stesso alla luce dell’Accordo del
27.4.1998 mai prodotto in giudizio.
Col secondo motivo viene denunciata “omessa, contraddittoria ed
insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il
giudizio — violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. —
violazione dell’art. 8 comma 3 0 del CCNL Poste 26.11.94 in relazione agli
artt. 2697 c.c., art.3 della legge n. 230/62 ed art. 23 legge n. 56/87 ….degli
artt. 112 e 277 c.p.c. ..”.

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Con il primo motivo di ricorso si deduce “violazione e falsa applicazione

Si deduce che Poste Italiane — su cui incombeva l’onere di provare
l’osservanza della clausola di contingentamento — nella memoria di
costituzione in primo grado aveva fornito solo dei numeri non supportati
da alcuna documentazione e, quindi, nessun onere di contestazione
specifica degli indicati dati numerici incombeva sul ricorrente,

anche la prova orale espletata nulla di utile aveva fornito alfine della
dimostrazione del rispetto da parte della società della percentuale di
lavoratori a termine ammessa dal contratto collettivo — prova questa che
doveva essere data documentalmente.
Il primo motivo è improcedibile.
Come è stato precisato dalle Sezioni Unite di questa Corte, “l’art. 369,
secondo comma, n. 4 c.p.c., nella parte in cui onera il ricorrente (principale
od incidentale), a pena di improcedibilità del ricorso, di depositare i
contratti od accordi collettivi di diritto privato sui quali il ricorso si fonda,
va interpretato nel senso che, ove si impugni, con ricorso immediato per
cassazione ai sensi dell’art. 420 bis, secondo comma, c.p.c., la sentenza che
abbia deciso in via pregiudiziale una questione concernente l’efficacia, la
validità o l’interpretazione delle clausole di un contratto od accordo
collettivo nazionale, ovvero denunci, con ricorso ordinario, la violazione o
falsa applicazione di norme dei contratti ed accordi collettivi nazionali di
lavoro ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. (nel testo sostituito
dall’art. 2 del d.lgs. n. 40 del 2006), il deposito suddetto deve avere ad
oggetto non solo l’estratto recante le singole disposizioni collettive
invocate nel ricorso, ma l’integrale testo del contratto od accordo
collettivo di livello nazionale contenente tali disposizioni, rispondendo tale
adempimento alla funzione nomofilattica assegnata alla Corte di
Cassazione nell’esercizio del sindacato di legittimità sull’interpretazione

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contrariamente a quanto affermato nella impugnata sentenza. Inoltre,

della contrattazione collettiva di livello nazionale.” (v. Cass. S.U. 23-9-2010
n.20075, v. anche da ultimo Cass. 15-10-2010 n. 21358).
Peraltro il detto onere è soddisfatto, “sulla base del principio di
strumentalità delle forme processuali, quanto agli atti e ai documenti
contenuti nel fascicolo di parte, anche mediante la produzione del

specifica indicazione dei dati necessari al reperimento degli stessi” (v.
Cass. S.U. 3-11-2011 n. 22726).
Orbene, nella fattispecie non risulta indicato in ricorso il deposito del
CCNL del 1994 e tanto meno risulta indicata la collocazione nei “fascicoli
dei pregressi gradi di giudizio”.
Il secondo motivo è in parte improcedibile ed in parte inammissibile.
E’ improcedibile, per le medesime ragioni sopra esposte, laddove
denuncia la violazione di norme contenute nel CCNL del 1994.
E’ inammissibile laddove finisce con il censurare la valutazione delle
risultanze istruttorie operata nella impugnata sentenza sollecitando questa
Corte ad un inammissibile nuova valutazione del merito della controversia
( Cass. n. 6288 del 18/03/2011; Cass. n. 10657/2010, Cass. n. 9908/2010,
Cass. n. 27162/2009, Cass. n. 13157/2009, Cass. n. 6694/2009, Cass. n.
18885/2008, Cass. n. 6064/2008).
Va qui precisato che nonostante il formale richiamo alla violazione di
norme di legge, contenuto nell’intestazione del motivo, tutte le censure
prospettate si risolvono nella denuncia di vizi di motivazione della
sentenza impugnata per errata valutazione del materiale probatorio
acquisito ai fini della ricostruzione dei fatti.
Orbene, le critiche sono infondate in base alla premessa, costantemente
affermata da questa Corte, che il controllo di legittimità sulla motivazione
delle sentenze riguarda unicamente (attraverso il filtro delle censure mosse
con il ricorso) il profilo della coerenza logico-formale delle argomentazioni

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fascicolo nel quale essi siano contenuti, ferma in ogni caso l’esigenza della

svolte, in base all’individuazione, che compete esclusivamente al giudice di
merito, delle fonti del proprio convincimento, raggiunto attraverso la
valutazione delle prove, il controllo della loro attendibilità e concludenza,
scegliendo tra di esse quelle ritenute idonee a sostenerlo all’interno di un
quadro valutativo complessivo privo di errori, di contraddizioni e di

vicenda (v. tra le molte, S.U. 5802/1998; Cass. 4770/2006 e Cass.
1754/2007). Nè appare sufficiente, sul piano considerato, a contrastare le
valutazioni del giudice di merito, il fatto che alcuni elementi emergenti nel
processo, e invocati dalla ricorrente, siano in contrasto con le valutazioni
del giudice o con la sua ricostruzione complessiva e finale. Il controllo, in
sede di legittimità, sul giudizio di fatto del giudice di merito non può infatti
spingersi fino alla rielaborazione dello stesso alla ricerca di una soluzione
alternativa rispetto a quella ragionevolmente raggiunta, da sovrapporre, in
una sorta di terzo grado di giudizio di merito, a quella operata nei due
gradi precedenti, perché ritenuta la migliore possibile, dovendosi viceversa
muovere esclusivamente nei limiti segnati dall’art. 360 c.p.c., n. 5 ( per
tutte: Cass. 6064/2008, Cass. 9477/2009).
Orbene, l’impugnata sentenza, seguendo un iter logico privo di
contraddizioni, ha rilevato che il ricorrente non aveva contestato i dati
numerici forniti da Poste Italiane s.p.a. nel costituirsi nel giudizio di primo
grado, circostanza che questa neppure nel motivo viene negata
assumendosi, però, che tale onere di contestazione non sussisteva non
avendo la società fornito la prova documentale dei dati indicati. L’assunto
non può essere condiviso in quanto a fronte di una specifica allegazione
della resistente era onere del ricorrente contestarla specificamente
sorgendo solo a seguito di siffatta contestazione l’onere di provare
specificamente la circostanza allegata. Peraltro, la Corte di merito ha anche

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evidenti fratture sul piano logico, nel suo intero tessuto ricostruttivo della

rilevato che i dati forniti da Poste Italiane avevano trovato riscontro nella
prova orale espletata e non oggetto di rilievi nell’appello.
Va, inoltre, evidenziato che la deposizione del teste Spera è stata riportata
solo per stralci nel ricorso, ciò in violazione del requisito
dell’autosufficienza del ricorso che impone che il ricorrente precisi -pure

che asserisce decisive o insufficientemente o erroneamente valutate, in
quanto per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione il
controllo deve essere consentito sulla base delle deduzioni contenute nel
medesimo, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini
integrative, non avendo la S.C. accesso agli atti del giudizio di merito ( ex
multis: Cass. n. 9245 del 18/04/2007; Cass. n. 12984 del 31/05/2006).
Per tutto quanto sopra considerato, si propone il rigetto del ricorso
con ordinanza ex art. 375 cod. proc. civ., n. 5.”
Sono seguite le rituali comunicazione e notifica della suddetta
relazione, unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in
Camera di consiglio.
Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c..
Orbene, osserva il Collegio che le osservazioni mosse alla relazione
finiscono con il riproporre sostanzialmente le argomentazioni già esposte
nel secondo motivo di ricorso e non sono tali da inficiare il ragionamento
esposto nella riportata relazione che, dunque, è condivisibile nel contenuto
e nelle conclusioni.
Il ricorso, pertanto, va rigettato.
Le spese del presente giudizio, per il principio della soccombenza, sono
poste a carico del ricorrente e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

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mediante integrale trascrizione delle medesime nel ricorso- le risultanze

La Corte rigetta il ricorso, condanna il ricorrente alle spese del presente
giudizio liquidate in euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre
accessori, ed euro 100,00 per esborsi.
Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2014

esidente

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