Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5588 del 08/03/2010

Cassazione civile sez. trib., 08/03/2010, (ud. 25/01/2010, dep. 08/03/2010), n.5588

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – rel. Consigliere –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore, domiciliata in Roma,

via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura generale dello Stato, che

la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Commerciale Campana Abbigliamento s.r.l. in liquidazione;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio

n. 499/40/07 del 22/10/07.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Considerato che il Consigliere relatore, nominato ai sensi dell’art. 377 c.p.c., ha depositato la relazione scritta prevista dall’art. 380- bis c.p.c., nei termini che di seguito si trascrivono:

“L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione contro la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio che ha rigettato l’appello dell’Ufficio contro la sentenza di primo grado, che aveva accolto il ricorso della società avverso un avviso di accertamento.

La società intimata non si è costituita.

Il ricorso contiene quattro motivi. Può essere trattato in camera di consiglio (art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5) ed accolto, per manifesta fondatezza del primo motivo, rigettato il secondo ed il terzo e dichiarato inammissibile il quarto, alla stregua delle considerazioni che seguono:

Con il primo motivo l’Agenzia lamenta il vizio di motivazione, lamentando il fatto che la decisione sia fondata esclusivamente sulla illegittimità della acquisizione di documentazione extra-contabile, senza tenere in alcun conto il risultato degli accertamenti bancari eseguiti nei confronti della società e dei soci.

Il primo motivo è manifestamente fondato, non rinvenendosi nel percorso motivazionale del giudice tributario alcun riferimento agli ulteriori elementi indiziari su cui l’accertamento era fondato.

Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la contraddittorietà della motivazione, a suo avviso desumibile dal fatto che, da un lato, il giudice tributario, valutando nel merito gli elementi offerti dall’ufficio, ritiene non esservi prova adeguata della appartenenza alla società dei locali ove è stata rinvenuta la documentazione extra-contabile e, dall’altro, afferma essersi formato un giudicato esterno favorevole alla società quanto alla illegittimità della acquisizione probatoria.

Il secondo motivo è manifestamente infondato, essendo palese che nella specie si tratta di due concorrenti rationes decidendi e non certo di un vizio logico della motivazione.

Con il terzo motivo l’Agenzia deduce, sotto il profilo della violazione di legge, l’erroneità della decisione quanto alla ritenuta inutilizzabilità nel processo tributario della documentazione pur illegittimamente acquisita.

Il terzo motivo è manifestamente infondato, alla stregua del principio secondo cui, in tema di imposte dirette (come di IVA) ed in ipotesi di accesso domiciliare, la illegittimità (ed a maggior ragione la mancanza) del provvedimento di autorizzazione del procuratore della Repubblica ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 33 e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 52 importa la inutilizzabilità, a sostegno dell’accertamento tributario, delle prove reperite nel corso della perquisizione illegale atteso che: a) detta inutilizzabilità non abbisogna di un’espressa disposizione sanzionatoria, derivando dalla regola generale secondo cui l’assenza del presupposto di un procedimento amministrativo infirma tutti gli atti nei quali si articola; b) il compito del giudice di vagliare le prove offerte in causa è circoscritto a quelle di cui abbia preventivamente riscontrato la rituale assunzione; c) l’acquisizione di un documento con violazione di legge non può rifluire a vantaggio del detentore, che sia l’autore di tale violazione, o ne sia comunque direttamente o indirettamente responsabile. Peraltro, a prescindere dalla verifica dell’esistenza o meno, nell’ordinamento tributario, di un principio generale di inutilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite analogo a quello fissato per il processo penale dall’art. 191 vigente cod. proc. pen., l’inutilizzabilità in questione discende dal valore stesso dell’inviolabilità del domicilio solennemente consacrato nell’art. 14 Cost. (Cass. 19689/04).

Con il quarto motivo la ricorrente denuncia l’erronea applicazione nella fattispecie del principio del giudicato esterno in materia tributaria, desumibile dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 13916/06.

Il quarto motivo è inammissibile, atteso che la sentenza – come già rilevato – si fonda su due distinte rationes decidendi, ciascuna delle quali è idonea a sorreggere la decisione, cosicchè è irrilevante l’eventuale erroneità di una sola di esse”;

che le parti non hanno presentato memorie;

che il collegio non condivide la proposta del relatore quanto al terzo motivo;

che infatti, secondo la giurisprudenza prevalente di questa Corte, la mancanza della autorizzazione dell’ispettore compartimentale (o, per la guardia di finanza, del comandante di zona) prevista dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51, comma 2, n. 7, ai fini della richiesta di acquisizione, dagli istituti di credito, di copia dei conti bancari intrattenuti con il contribuente, non preclude l’utilizzabilità dei dati acquisiti, atteso che la detta autorizzazione attiene ai rapporti interni e che in materia tributaria non vige il principio (presente nel codice di procedura penale) della inutilizzabilità della prova irritualmente acquisita, salvi i limiti derivanti da eventuali preclusioni di carattere specifico (Cass. 4987/03) e d’altro canto l’utilizzazione della documentazione acquisita nel corso delle attività di polizia tributaria non è subordinato all’autorizzazione dell’autorità giudiziaria, richiesta dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 63 in quanto tale atto è posto esclusivamente a tutela del segreto istruttorio;

inoltre, la violazione delle regole dell’accertamento tributario non comporta come conseguenza necessaria l’inutilizzabilità degli elementi acquisiti, in mancanza di una specifica previsione normativa in tal senso (Cass. 14058/06, 2450/07, 7279/09);

che pertanto, accolti il primo ed il terzo motivo di ricorso, la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio, anche per le spese del presente giudizio, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale del Lazio.

PQM

la Corte accoglie il primo ed il terzo motivo di ricorso, rigetta il secondo e dichiara inammissibile il quarto, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale del Lazio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione tributaria, il 25 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2010

 

 

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