Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5587 del 11/03/2014


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 5587 Anno 2014
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: FERNANDES GIULIO

ORDINANZA
sul ricorso 20531-2011 proposto da:
POSTE ITALIANE SPA 97103880585) – società con socio unico – in
(

persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione e legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,
VIALE MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato FIORILLO
LUIGI, che la rappresenta e difende giusta procura a margine del
ricorso;

– ricorrente contro
CASALI ANDREA;

– intimato avverso la sentenza n. 5985/2008 della CORTE D’APPELLO di
ROMA del 17/07/2008, depositata il 17/08/2!”;

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Data pubblicazione: 11/03/2014

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30/01/2014 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIO FERNANDES.

Ric. 2011 n. 20531 sez. ML – ud. 30-01-2014
-2-

FATTO E DIRITTO
La causa è stata chiamata all’adunanza in camera di consiglio del 30
gennaio 2014, ai sensi dell’art. 375 c.p.c. sulla base della seguente relazione
redatta a norma dell’art. 380 bis c.p.c.:
” La Corte di appello di Roma, con sentenza del 17 agosto 2010, in

termine apposto al contratto di lavoro intercorso tra Poste Italiane e
Casali Andrea per il periodo dal 13.4.1999 al 31.5.1999 ed accertata la
intercorrenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato
a decorrere dal 13.4.1999, condannava la società a riammettere in servizio
il Casali ed al risarcimento del danno quantificato nelle retribuzioni
spettanti dalla messa in mora (17.12.1999) sino alla scadenza del terzo
anno successivo alla cessazione del rapporto a termine ( 31.5.2002) oltre
interessi legali e rivalutazione monetaria.
Il termine al contratto era stato apposto ” per esigenze eccezionali
conseguenti alla fase di ristrutturazione e di rimodulazione degli assetti
occupazionali in corso, in ragione della graduale introduzione di nuovi
processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi e di attesa
dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle
risorse umane”.
La Corte territoriale rilevava che detto contratto era stato stipulato
dopo lo spirare del termine massimo di vigenza della contrattazione che
autorizzava le ipotesi “ulteriori” di legittima apposizione del termine ai
contratti di lavoro con la società Poste Italiane (e cioè dopo il 30/4/1998).
Per la cassazione della sentenza propone ricorso Poste Italiane s.p.a.
affidato a quattro motivi.
Il Casali è rimasto intimato.
Con il primo motivo del ricorso viene dedotta omessa motivazione su un
punto decisivo per la controversia non essendosi la Corte di merito

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riforma della decisione del Tribunale di Roma, dichiarata la nullità del

pronunciata sulla eccezione di risoluzione del contratto per mutuo
consenso.
Il motivo è inammissibile perché privo del requisito dell’autosufficienza
non essendo stata riportata la parte della memoria di costituzione in
appello in cui detta eccezione era stata reiterata ed i termini in cui la stessa

5344 del 04/03/2013; Cass. 15781 del 28/07/2005).
Col secondo motivo di ricorso si lamenta violazione e falsa
applicazione della L. 26 febbraio 1987, n. 56, art. 23, dell’art. 8 del CCNL
26.11.1994, nonché degli accordi sindacali del 25.9.1997, del 18.1.1998, del
27.4.1998, del 2.7.1998 e del 18.1.2001, in connessione con l’art. 1362 c.c.
e segg. – art. 360 c.p.c., n. 3. Si assume che, facendo corretta applicazione
dei criteri ermeneutici di cui all’art. 1362 c.c. e segg., e, in particolare,
ricercando la volontà comune delle parti nello stipulare l’integrazione
all’art. 8 CCNL 1994, doveva concludersi che gli accordi collettivi non
fissavano alcun limite temporale alla stipula dei contratti a termine.
Con il terzo motivo si deduce omessa ed insufficiente motivazione circa
un fatto controverso e decisivo per il giudizio assumendosi che la Corte
territoriale aveva esposto in modo inidoneo le ragioni circa il rapporto,
asseritamente sussistente, tra il contratto collettivo, l’Accordo sindacale del
25.9.1997 ed i successivi ed. accordi attuativi, in relazione alla esistenza del
supposto limite temporale.
I surriportati motivi, da trattare congiuntamente in quanto logicamente
connessi, sono infondati.
Ed infatti la costante giurisprudenza di questa Corte ritiene che la L. 28
febbraio 87, n. 56, art. 23, nel demandare alla contrattazione collettiva la
possibilità di individuare – oltre le fattispecie tassativamente previste dalla
L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1 nonché dal D.L. 29 gennaio 1983, n. 17,
art. 8 bis conv. dalla L. 15 marzo 1983, n. 79 – nuove ipotesi di

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era stata formulata nel giudizio di primo grado ( cfr. da ultimo Cass. n.

apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una
vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non
sono vincolati all’individuazione di figure di contratto a termine comunque
omologhe a quelle previste per legge (v. S.u. 2.3.06 n. 4588).
Dato che in forza di tale delega le parti sindacali hanno individuato, quale

del 25.9.97, la giurisprudenza considera corretta l’interpretazione dei
giudici di merito che, con riferimento agli accordi attuativi sottoscritti lo
stesso 25.9.97 e il 16.1.98, ha ritenuto che con tali accordi le parti abbiano
convenuto di riconoscere la sussistenza dapprima fino al 31.1.98 e poi (in
base al secondo accordo) fino al 30.4.98 della situazione di fatto integrante
delle esigente eccezionali menzionate dal detto accordo integrativo. Per far
fronte a tali esigenze l’impresa poteva dunque procedere ad assunzione di
personale con contratto tempo determinato solo fino al 30.4.98, di modo
che debbono ritenersi privi di presupposto normativo i contratti a termine
stipulati successivamente. Le parti collettive, dunque, avevano raggiunto
un’intesa senza limite temporale ed avevano poi stipulato accordi attuativi
che tale limite avevano posto, fissandolo prima al 31.1.98 e dopo al
30.4.98, per cui l’indicazione di quella causale nel contratto a termine
avrebbe legittimato l’assunzione solo se il contratto fosse scaduto dopo il
30.4.98 (v., ex pluritnis, Cass. 23.8.06 n. 18378).
La giurisprudenza ha, altresì, ritenuto irrilevante l’accordo 18.01.01
perché stipulato dopo oltre due anni dall’ultima proroga, e cioè quando si
era già perfezionato il diritto all’accertamento della nullità. Anche se con
quell’accordo le parti avessero voluto interpretare autenticamente gli
accordi precedenti, con effetti di sanatoria delle assunzioni a termine
effettuate senza la copertura dell’accordo 25.09.97 (ormai scaduto),
comunque sarebbe stato violato il principio dell’indisponibilità del diritto
dei lavoratori, dovendosi escludere che le parti stipulanti potessero, con

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nuova ipotesi di contratto a termine, quella di cui all’accordo integrativo

detto strumento, autorizzare ex posi contratti a termine non più legittimi
perché adottati in violazione della durata in precedenza stabilita (vedi, per
tutte, Cass. 12.03.04 n. 5141).
L’esistenza delle esigente eccezionali è dunque negozialmente
riconosciuta fino al 30.04.98, di modo che la legittimità dei contratti a

derivante direttamente dal sistema normativo nato dall’attuazione dell’art.
23. Essendo stato il contratto del Casali stipulato per il periodo 3.4.1999 31.5.1999 i motivi sono infondati.
Col quarto motivo viene denunciata violazione degli artt. 1206, 1207,
1217, 1219, 2094, 2099 e 2697 c.c., quanto alle conseguenze economiche
della conversione del contratto a tempo indeterminato tra le parti,
invocando l’applicazione dello ius superveniens, rappresentato dalla L. 4
novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7 in vigore dal 24 novembre
2010,
Il motivo è fondato sotto il profilo dell’applicazione della L. n. 183 del
2010, art. 32. Come affermato da questa Corte (Cass., n. 3056 del 2012 e
da numerose altre successive), lo “ius superveniens” costituito dalla L. n.
183 del 2010, ex art. 32, commi 5, 6 e 7, (applicabile nel giudizio pendente
in grado di legittimità qualora pertinente alle questioni dedotte nel ricorso
per cassazione) configura, alla luce dell’interpretazione adeguatrice offerta
dalla Corte costituzionale con sentenza n. 303 del 2011, una sorta di
penale “ex lege” a carico del datore di lavoro che ha apposto il termine
nullo; pertanto, l’importo dell’indennità è liquidato dal giudice, nei limiti e
con i criteri fissati dalla novella, a prescindere dall’intervenuta costituzione
in mora del datore di lavoro e dalla prova di un danno effettivamente
subito dal lavoratore (senza riguardo, quindi, per l’eventuale “aliunde
perceptum”), trattandosi di indennità “forfetizzata” e “onnicomprensiva”
per i danni causati dalla nullità

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termine stipulati entro tale data è basata su una ricognizione di fatto

del termine nel periodo cosiddetto “intermedio” (dalla scadenza del
termine alla sentenza di conversione).
Per tutto quanto sopra considerato, si propone, ex art. 375 cod.
proc. civ., n. 5, l’accoglimento del ricorso nei termini di cui sopra con
cassazione della impugnata sentenza e rinvio alla Corte di Appello la quale

art. 32, comma 7.”
Sono seguite le rituali comunicazione e notifica della suddetta relazione,
unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in Camera di
consiglio.
Il Collegio ritiene il contenuto e le conclusioni della riportata relazione
condivisibili e, dunque, accoglie il ricorso limitatamente al quarto motivo e
cassa in relazione al motivo accolto l’impugnata sentenza e rinvia alla
Corte di appello di Roma in diversa composizione anche per le spese.

P.Q.M.
La Corte accoglie solo il motivo di ricorso relativo all’art. 32 L. n.
183/2010, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di
Roma in diversa composizione anche per le spese.
Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2014
sidente

provvederà nella specie anche ai sensi di quanto disposto in rito dal citato

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