Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5583 del 21/02/2022

Cassazione civile sez. VI, 21/02/2022, (ud. 14/01/2022, dep. 21/02/2022), n.5583

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17283-2021 proposto da:

C.A., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la

CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso da se

stesso;

– ricorrente –

contro

P.I., quale procuratrice della sig.ra VASSALLO ANNA,

domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE

di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato ROMEO PALAMARA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 220/2021 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 13/05/2021;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 14/01/2022 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE

GRASSO.

 

Fatto

CONSIDERATO

che:

il Collegio condivide i rilievi enunciati dal Relatore in seno alla formulata proposta nei termini seguenti:

“ritenuto che la vicenda, per quel che ancora qui residua d’utilità, può riassumersi nei termini seguenti:

– V.A., proprietaria di due piccoli appezzamenti di terreno, convenne in giudizio C.A. e M.F., chiedendo regolarsi i confini e apporsi i termini con la proprietà dei convenuti; costituitosi il solo C. deduceva che non erano mai esistiti confini e che le particelle, di cui l’attrice si era detta titolare, si appartenevano ai convenuti, “o perché pertinenze o perché usucapiti”;

– il Tribunale, disposta ctu, regolò i confini e condanno la parte convenuta ad apporre i termini;

– C.A. propose appello lamentando nullità della sentenza di primo grado per vizio motivazionale, nonché dolendosi per non essere stata accolta l’eccezione d’usucapione;

– la Corte d’appello di Messina, evidenziò che la sentenza di primo grado aveva condiviso la relazione del ctu, che era rimasta incontestata, essendosi il convenuto limitato a dedurre “una relazione di complementarietà funzionale”, senza neppure articolare mezzi istruttori e che l’eccezione d’usucapione era priva di fondamento, stante che nell’atto di provenienza dell’appellante non erano incluse le particelle oggetto di causa, delle quali, inoltre, non era stata fornita prova del possesso utile all’usucapione e ciò posto rigettò l’impugnazione;

– C.A. ricorre avverso la sentenza d’appello sulla base di un articolato complesso censuratorio (ulteriormente illustrato da memoria) e V.A., rappresentata dalla sua procuratrice P.I., resiste con controricorso, con le conclusioni del quale chiede che il ricorrente venga condannato, “ai sensi dell’art. 96 c.p.c., al pagamento della somma equitativamente determinata per aver proposto il ricorso con colpa grave”.

Diritto

OSSERVA

Il ricorrente lamenta, in forma inestricabilmente confusa e lontana dallo schema tipico di cui all’art. 360 c.p.c., che:

– la Corte d’appello aveva, con motivazione inesistente, omesso di esaminare i titoli di provenienza e un non meglio specificato atto monitorio del (OMISSIS), dai quali vi era modo di accertare che la particella di cui si discute erano state fraterne nel (OMISSIS) a G.F.; nonché il contratto del (OMISSIS);

– mancato esame di eccezione di pertinenza ha determinato la violazione dell’art. 112 c.c., nonché dell’art. 132 c.p.c., per la omessa trascrizione o meglio per la parziale trascrizione delle conclusioni adottate dal concludente”;

– la Corte aveva “travisato le conclusioni del ricorrente, avendo affermato che lo stesso avrebbe solo eccepito la usucapione delle predette particelle; di contro il ricorrente ha sostenuto che le particelle 541 e 542 erano delle pertinenze del cottage e che in ogni caso le stesse erano state possedute dal Guarirlo per oltre in ventennio, ossia alla data di acquisto del cottage, stipulato nel (OMISSIS)”.

Deve rilevarsi che questa Corte ha già avuto modo di precisare che il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, delimitato e circoscritto dai motivi di ricorso, che assumono una funzione identificativa condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito; ne consegue che il motivo (o i motivi, il che è lo stesso) del ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche previste dall’art. 360 c.p.c., (ex multis, Sez. 5, Cass. n. 19959, 22 settembre 2014); il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi; pertanto, pur non essendo decisivo il testuale e corretto riferimento a una delle cinque previsioni di legge, è tuttavia indispensabile che il motivo individui con chiarezza il vizio prospettato nel rispetto della tassativa griglia normativa (ndr., da ultimo Sez. 2, Cass. n. 17470 del 2018).

Da quanto sopra deriva che il ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche previste dall’art. 360 c.p.c., sicché è inammissibile la critica generica della sentenza impugnata, formulata con un unico motivo sotto una molteplicità di profili tra loro confusi e inestricabilmente combinati, non collegabili ad alcuna delle fattispecie di vizio enucleate dal codice di rito (Sez. 6, Cass. n. 11603 del 14 maggio 2018, Rv. 648533).

Nel caso in esame il ricorso presenta una struttura atipica, promiscua, confusa e oscura, diretta, piuttosto che enucleare specifici motivi di doglianza in relazione alle tassative ipotesi di cui all’art. 360 c.p.c., un complessivo riesame della sentenza d’appello, in altri termini, una sorta d’improprio terzo grado.

Al contrario degli apodittici asserti impugnatori, la Corte di merito ha esaminato i titoli e tratto l’insindacabile convincimento che le particelle di cui qui si discute non fossero di proprietà della parte convenuta; ha chiarito che i confini erano stati determinati sulla base della non contestata relazione del c.t.u.; che, i convenuti non avevano neppure allegato istanza istruttoria; che, infine, quest’ultimi non avevano dimostrato la sussistenza dei presupposti dell’usucapione.

L’eiposta motivazione non viene affatto attinta dal ricorso, con il quale il ricorrente, nella sostanza, insite nell’affermare di avere ragione, impropriamente richiamando, specificamente e sommariamente, i documenti di causa, invocando un inammissibile riesame in questa sede.

Di conseguenza, siccome affermato dalle S.U. (sent. Cass. n. 7155 del 21 marzo 2017, Rv. 643549), lo scrutinio ex art. 360-bis c.p.c., n. 1, da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità, che può rilevare ai fini dell’art. 334 c.p.c., comma 2, sebbene sia fondata, alla stregua dell’art. 348-bis c.p.c., e dell’art. 606 c.p.p., su ragioni di merito, atteso che la funzione di filtro della diposizione consiste nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi “inconsistenti””.

Non sussistono i presupposti per sciogliere pronuncia di condanna per responsabilità aggravata, ai sensi dell’art. 96 c.p.c., commi 1 e 2.

A differenza della previsione di cui all’articolo in discorso, comma 3, la fattispecie evocata impone che la parte richiedente alleghi il danno, cioè lo specifichi, individuando in cosa sia consistito il pregiudizio causato dall’azione improvvida della controparte (si veda, in senso conforme, ex multis, Sez. 3, Cass. n. 21798 del 27 ottobre 2015; ma già S.U. Cass. n. 7583 del 2004). L’onere di una tale allegazione, peraltro, non si pone in contrasto con la eventuale necessità di una stima equitativa di esso danno (cfr., da ultimo, sulla valutazione equitativa, Sez. 2, Cass. n. 22588 del 2020).

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Il ricorrente va condannato a rimborsare le spese in favore della controricorrente, tenuto conto del valore, della qualità della causa e delle attività svolte.

PQM

Dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore della controricorrente, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 14 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2022

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