Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5581 del 28/02/2020

Cassazione civile sez. I, 28/02/2020, (ud. 11/10/2019, dep. 28/02/2020), n.5581

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. CAIAZZO Luigi Pietro – Consigliere –

Dott. ARIOLLI Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 24754-2018 proposto da:

R.V.F., elettivamente domiciliato presso lo studio

dell’Avv. Marco Nicolai del foro di Roma e difeso dall’avv. Raffaele

Tecce del foro di Avellino che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, ((OMISSIS)), in persona del Ministro

pro-tempore, elettivamente domiciliato in Roma, via dei Portoghesi,

n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta

e difende ope legis;

– resistente –

avverso il decreto n. 2109/2018 del Tribunale di Bologna (c.c.

7/6/2018, dep. 9/7/2018);

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

dell’11/10/2019 dal consigliere relatore Dott. Giovanni Ariolli non

partecipata.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. R.V.F., cittadino della (OMISSIS), ha proposto opposizione avverso il provvedimento della Commissione territoriale di Bologna, che ha respinto la sua richiesta di protezione internazionale e di protezione umanitaria.

2. Con decreto depositato il 9/7/2018, il Tribunale di Bologna ha rigettato l’opposizione.

3. R.V.F. ricorre per cassazione avverso il suddetto provvedimento; svolgendo tre motivi ne chiede l’annullamento.

4. Con controricorso ritualmente notificato, si è costituito in giudizio il Ministero dell’Interno, chiedendo la declaratoria di inammissibilità e/o il rigetto del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

5. Con il primo motivo il ricorrente deduce: “violazione di legge ex art. 111 Cost., comma 7, e/o violazione e falsa applicazione di norme di diritto con riferimento al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5”.

La doglianza attiene alla valutazione delle dichiarazioni rese dal ricorrente a sostegno della sua domanda di riconoscimento dello status di rifugiato o di protezione internazionale, con particolare riguardo ai profili relativi alla natura circonstanziata dell’istanza, alle informazioni generali ed al metus.

Il motivo è manifestamente infondato. Al riguardo, questa Corte (Sez. 1, n. 11103/2019) ha puntualizzato che la cooperazione istruttoria non incide sul piano dell’allegazione, bensì su quello della prova, con la conseguenza che rimane integro, ed anzi deve essere adempiuto in maniera specifica, l’onere di allegazione da parte del richiedente dei fatti costitutivi del diritto, siccome desumibile dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 1 e 2. Pertanto, i fatti costitutivi del diritto alla protezione devono necessariamente essere indicati dal richiedente, su cui grava un dovere di cooperazione imposto dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 consistente nell’allegare, produrre e dedurre tutti gli elementi ed i documenti necessari a motivare la domanda, circa l’individualizzazione del rischio rispetto alla situazione del Paese di provenienza, non potendo il giudicante “supplire attraverso l’esercizio dei suoi poteri ufficiosi alle decisione probatorie del ricorrente” (così, in parte motiva, Sez. 1, n. 3016/2019, Rv. 652422-01; Sez. 6-1, n. 27336/2018, Rv. 651146-01). Ai sensi dell’art. 4 (2) della direttiva 2011/95/UE, il ricorrente – l’unico ad essere in possesso delle informazioni relative alla sua storia personale – deve indicare gli elementi relativi all’età, all’estrazione, ai rapporti familiari, ai luoghi in cui ha soggiornato in precedenza, giustizia UE 14157/2016, 10177/2011, alle domande di asilo eventualmente già presentata (v. Corte di 5 giugno 2014, C-146/14). Più in generale, Sez. 6-1, n. cit., in continuità con le precedenti pronunce (Sez. 1, n. Rv. 618255-01; Sez. 1, n. 18353/2006, cit.; Sez. 1, n. 26278/2005, Rv. 585003-01), pone il relativo onere probatorio sull’istante, il quale può dimostrare, anche in via indiziaria, la “credibilità” dei fatti allegati, ma questi devono avere carattere di precisione, gravità e concordanza.

Tanto premesso, dalla lettura del provvedimento impugnato risulta che il giudice del merito si sia attenuto ai principi sopra indicati avendo ritenuto non attendibili le dichiarazioni sulla scorta di contraddizioni relative ad aspetti essenziali del racconto, peraltro attinenti anche a fatti che avrebbero dovuto avere risonanza mediatica nel territorio di provenienza del ricorrente (trattasi dell’uccisione di un ragazzo di nome A. nel febbraio 2015 ad opera di vigilantes ad (OMISSIS)) e di cui invece non ne è stata riportata alcuna notizia da parte degli organi di informazione. Tutto ciò peraltro nell’ambito di un dichiarato ove nessuna formale accusa risulta essere stata elevata a carico del ricorrente, tanto che la stessa Polizia – la quale si sarebbe recata più volte presso il ricorrente per cercare il fucile utilizzato dai vigilanti per uccidere il presunto ladro – risulta essersene andata, senza adottare alcun provvedimento nei suoi confronti; pertanto, il timore di subire un’ingiusta persecuzione giudiziaria dovuta ad una falsa e strumentale denunzia di un politico interessato all’acquisto del terreno che il ricorrente, quale comproprietario, non intendeva alienare (e che attualmente risulterebbe ancora in possesso della madre che lo coltiverebbe), si rivela, oltre che illogicamente infondata, anche priva della necessaria serietà. Inoltre, la doglianza, avendo riguardo alle argomentazioni poste dal Tribunale a fondamento del giudizio di inattendibilità, finisce per sollecitare una rilettura delle risultanze processuali diversa da quella operata dal giudice di merito, traducendosi semmai in un vizio di motivazione, non consentito in questa sede (S.U., n. 19881 del 22/9/2014).

6. Con il secondo motivo il ricorrente deduce: “violazione di legge ex art. 111 Cost., comma 7, e/o violazione e falsa applicazione di norme di diritto con riferimento al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 5 e 8 in relazione alle persecuzioni subite”.

La censura è manifestamente infondata, in quanto il Tribunale ha adeguatamente escluso, sulla scorta dell’inattendibilità del narrato, che il ricorrente si trovi nelle condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato, con particolare riguardo all’ipotesi della persecuzione “psichica” ad opera di un personaggio politico. L’inattendibilità delle dichiarazioni rese alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 ha correttamente esonerato il Tribunale dal procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la situazione persecutoria nel Paese di origine prospettata dal richiedente (Sez. 6 – 1, ord. n. 16295 del 27/6/2018, Rv. 649697; Sez. 6 – 1, n. 21142 del 7/8/2019, Rv. 654674; Sez. 6 – 1, n. 26921 del 14/11/2017, Rv. 647023; Sez. 6 – 1, n. 7333 del 10/4/2015, Rv. 634949; Sez. 1, n. 25896 del 17/9/0291, n. m.). A fronte di tali motivate argomentazioni, le censure in esame – inammissibilmente dedotte sotto il profilo della violazione di legge – si traducono, in concreto, in una richiesta di rivisitazione del merito della vicenda, improponibile in questa sede (Sez. 6, ord. n. 8758 del 4/4/2017, Rv. 643690).

7. Con il terzo motivo il ricorrente deduce: “violazione di legge ex art. 111 Cost., comma 7, e/o violazione e falsa applicazione di norme di diritto con riferimento al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2 e 14”.

La doglianza – che attiene ai presupposti per la concessione della protezione sussidiaria e, in particolare, alla motivazione che ha condotto il Tribunale a negare tale forma alternativa di tutela escludendo che nella regione di provenienza del ricorrente ((OMISSIS) – (OMISSIS)) vi sia una situazione di violenza generalizzata – è manifestamente infondata. L’accertamento circa la sussistenza, in concreto, di siffatto tipo di conflitto implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il cui risultato può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti di cui al novellato art. 360 c.p.c., n. 5, che non è stato dedotto. Peraltro, il Tribunale risulta avere esaminato – in aggiunta alla precitata considerazione sull’inaffidabilità del racconto del richiedente – proprio la situazione interna della zona di provenienza, e ha escluso l’esistenza della paventata condizione di pericolo diffuso determinato da violenza generalizzata, all’uopo indicando le attuali fonti di conoscenza integrata che concludono nel senso indicato dal giudice del merito; donde il ricorso per tale aspetto si rivela inteso a sovvertire l’esito della valutazione istituzionalmente riservata al giudice del merito, prospettando alla Corte di legittimità una differente valutazione dei fatti.

Quanto alla dedotta questione del transito in Libia, va ricordato come la giurisprudenza di questa Corte abbia già chiarito che, nella domanda di protezione internazionale, l’allegazione da parte del richiedente che in un Paese di transito (nella specie la Libia) si consumi un’ampia violazione dei diritti umani, senza evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda, costituisce circostanza irrilevante ai fini della decisione, perchè l’indagine del rischio persecutorio o del danno grave in caso di rimpatrio va effettuata con riferimento al Paese di origine o alla dimora abituale ove si tratti di un apolide. Il paese di transito potrà tuttavia rilevare (dir. UE n. 115 del 2008, art. 3) nel caso di accordi comunitari o bilaterali di riammissione, o altra intesa, che prevedano il ritorno del richiedente in tale Paese (Cass. Sez. 1, n. 24418 del 9/9/2019; Sez. 1, Ordinanza n. 31676 del 06/12/2018; Sez. 6, Ordinanza n. 29875 del 20/11/2018; Sez. 6, Ordinanza n. 2861 del 06/02/2018). Situazione quest’ultima neanche prospettata da parte del ricorrente. Inoltre, del tutto generiche oltre chè indimostrate sono risultate le situazioni fattuali che deporrebbero per la prosecuzione di vincoli con gli asseriti sfruttatori libici, tali da concretizzare un pericolo anche in caso di ritorno nel Paese di origine.

8. In conclusione va, pertanto, dichiarata l’inammissibilità del ricorso, condannandosi il ricorrente, stante la soccombenza, a rifondere le spese all’Amministrazione controricorrente, liquidate come in dispositivo.

9. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a pagare al controricorrente le spese di lite, liquidate in Euro 2.100,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 11 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2020

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