Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5581 del 11/03/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 5581 Anno 2014
Presidente: MIANI CANEVARI FABRIZIO
Relatore: BANDINI GIANFRANCO

SENTENZA

sul ricorso 294-2013 proposto da:
FABBRICA ITALIA POMIGLIANO S.P.A. C.F. 07857410018, in
i t
3)75.-tempore,
an e pro
persona
elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, 19,
presso lo studio dell’avvocato DE LUCA TAMAJO RAFFAELE,
che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati
2014
492

OLIVIERI

GIUSEPPE, DIRUTIGLIANO DIEGO, MASTROIANNI

ROBERTO, giusta delega in atti;
– ricorrente contro

FIOM – CGIL NAZIONALE C.F. 80184210583, in persona del

ao

Data pubblicazione: 11/03/2014

Segretario Generale pro tempore Sig. Landini Maurizio,
che agisce in nome e per conto dei lavoratori signori:
BIROTTI STEFANO, CANONICO VINCENZO, CICCARELLI
PASQUALE, D’ALESSIO CIRO, DELL’ISOLA VINCENZO, DI
COSTANZO MARIO, DI LUCA ANTONIO, D’ONOFRIO SEBASTIANO,

FRANCESCO, MANZO RAFFAELE MARIA, MELLONE GIOVANNI,
NIGLIO ANIELLO, PETILLO ANIELLO, PULCRANO ANGELO, REA
MAURIZIO, RUGGIERO FRANCESCO, SANGIOVANNI MICHELE,
nonche’ ai sensi del comma 2 articolo 5 cit., per le
persone non individuabili in modo diretto ed immediato,
lese dalla discriminazione, elettivamente domiciliata
in ROMA, VIA GERMANICO 172, presso lo studio
dell’avvocato PANICI PIER LUIGI, che la rappresenta e
difende unitamente agli avvocati COSSU BRUNO, MARTINO
VINCENZO, FOCARETA FRANCO, RECCHI EMILIA, ALLEVA
PIERGIOVANNI, PICCININI ALBERTO, FERRARA RAFFAELE, POLI
ELENA, giusta delega in atti;
– contrari corrente nonchè contro

GRAZIANO PASQUALE, DAMIANI FRANCESCO, DELLA MAGNA CIRO;
– intimati –

avverso l’ordinanza senza numero della CORTE D’APPELLO
di ROMA, depositata il 19/10/2012 r.g.n. 5080/2012 + l;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 11/02/2014 dal Consigliere Dott. GIANFRANCO

FIORILLO ALESSANDRO, MAIONE ANTONIO, MANGANIELLO

BANDINI;
uditi gli Avvocati DE LUCA TAMAJO RAFFAELE, OLIVIER’
GIUSEPPE, MASTROIANNI ROBERTO;
uditi gli Avvocati PANICI PIER LUIGI, COSSU BRUNO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore

rigetto del ricorso.

Generale Dott. MARCELLO MATERA, che ha concluso per il

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

FIOM – CGIL Nazionale (qui di seguito, per brevità, indicata anche
come FIOM), dichiarando di agire in nome e per conto dei lavoratori
Birotti Stefano, Canonico Vincenzo, Ciccarelli Pasquale, D’Alessio
Ciro, Dell’Isola Vincenzo, Di Costanzo Mario, Di Luca Antonio,
D’Onofrio Sebastiano, Fiorillo Alessandro, Maione Antonio,
Manganiello Francesco, Manzo Raffaele Maria, Mellone Giovanna,
Niglio Aniello, Petillo Aniello, Pulcrano Angelo, Rea Maurizio,
Ruggiero Francesco e Sangiovanni Michele, nonché in nome delle
altre persone, non individuabili in modo diretto ed immediato, lese
dalla dedotta discriminazione, chiese al Tribunale di Roma, in
funzione di Giudice del lavoro: di accertare che l’esclusione
dall’assunzione dei lavoratori suoi iscritti da parte di Fabbrica Italia
Pomigliano spa (qui di seguito, per brevità, indicata anche come FIP)
configurava una discriminazione collettiva ai sensi del dl.vo n.
213/03, nonché degli artt. 3 e della 4 Costituzione e dell’art. 15
Statuto del Lavoratori; di ordinare la cessazione del comportamento
discriminatorio e, al fine della rimozione dei suoi effetti, nonché di
impedirne la ripetizione, di ordinare alla FIP di assumere i 19
lavoratori nominativamente indicati, nonché tutti i lavoratori in atto
iscritti alla FIOM, quantomeno in numero tale da ristabilire, e
mantenere, tra essi e il totale degli assunti, il rapporto proporzionale

3

Con ricorso ai sensi degli articoli 28 dl.vo n. 150/11 e 702 bis cpc, la

preesistente tra gli iscritti alla FIOM e i lavoratori in forza alla Fiat

come FGA) nello stabilimento di Pomigliano; di adottare ogni altro
opportuno provvedimento idoneo a rimuovere gli effetti della
denunciata discriminazione e ad impedirne la ripetizione.
Radicatosi il contraddittorio e sulla resistenza della FIP, il Giudice
adito:

dichiarò la natura di discriminazione collettiva dell’esclusione

dalle assunzioni dei lavoratori dello stabilimento di Pomigliano iscritti
alla FIOM ed ordinò alla FIP di cessare dal comportamento
discriminatorio e di rimuoverne gli effetti;

ordinò a tal fine alla FIP di assumere 145 lavoratori iscritti alla

FIOM e di mantenere nel prosieguo delle operazioni di
riassorbimento del personale dello stabilimento di Pomigliano la
percentuale dell’8,75% di tutti gli assunti in favore della FIOM;

condannò la FIP al risarcimento del danno non patrimoniale,

liquidato in complessivi euro 3.000,00 per ciascuno, in favore dei 19
lavoratori nominativamente rappresentati dalla FIOM, oltre agli
accessori di legge dall’attualità al saldo.
Con ordinanza del 9-19.10.2012, la Corte d’Appello di Roma,
pronunciando sugli appelli principali, di identico contenuto, proposti
dalla parte datoriale e sull’appello incidentale della Fiom, con
l’intervento dei lavoratori (già addetti allo stabilimento di Pomigliano
4

Group Automobiles spa (qui di seguito, per brevità, indicata anche

e non iscritti alla FIOM) Graziano Pasquale, Damiani Francesco e

dichiarò la natura di discriminazione collettiva dell’esclusione

dalle assunzioni dei lavoratori dello stabilimento di Pomigliano iscritti
alla FIOM;

ordinò alla FIP di cessare dal comportamento discriminatorio e di

rimuoverne gli effetti;

ordinò alla FIP di predisporre e attuare nel termine di 180 giorni

dalla comunicazione dell’ordinanza un piano di assunzione di 126
lavoratori da selezionare, secondo i criteri già utilizzati per
l’assunzione dei lavoratori presso lo stabilimento di Pomigliano,
nell’ambito dell’elenco nominativo degli affiliati alla FIOM risultante al
momento della presentazione del ricorso di primo grado, che
avrebbe dovuto essere fornito dall’associazione sindacale entro il
termine di 30 giorni dalla data di comunicazione dell’ordinanza
stessa, elenco aggiornato in relazione alle eventuali disdette
intervenute medio tempore;

dichiarò la natura di discriminazione individuale dell’esclusione

dalle assunzioni presso lo stabilimento di Pomigliano dei lavoratori
nominativamente indicati nel ricorso introduttivo;

ordinò alla FIP di cessare dal comportamento discriminatorio e di

assumere nel termine di 40 giorni dalla comunicazione dell’ordinanza
i suddetti lavoratori;
5

Della Magna Giro, così provvide:

rigettò le domande proposte dagli intervenuti;

pur non specificandolo nel dispositivo, in accoglimento

dell’appello principale, riformò, escludendola, la condanna al
risarcimento del danno non patrimoniale disposta dal primo Giudice
in favore dei 19 lavoratori nominativamente rappresentati dalla
FIOM.
A sostegno del decisum la Corte territoriale ritenne che:

avuto riguardo all’oggetto della tutela azionata doveva ritenersi

l’ammissibilità del ricorso nelle forme di cui all’art. 28 dl.vo n. 150/11;

doveva ritenersi che la direttiva 2000/78/CE, tutelando le

convinzioni personali avverso le discriminazioni, aveva dato ingresso
nell’ordinamento comunitario al formale riconoscimento, seppure nel
solo ambito della regolamentazione dei rapporti di lavoro, della
cosiddetta libertà ideologica, il cui ampio contenuto poteva essere
stabilito anche facendo riferimento all’art. 6 del Trattato dell’Unione
Europea e, quindi, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo;
se il legislatore comunitario avesse voluto comprendere nelle
convinzioni personali solo quelle assimilabili al carattere religioso,
come sostenuto dall’appellante principale, non avrebbe avuto
bisogno di differenziare le ipotesi di discriminazioni per motivi
religiosi da quelle per convinzioni per motivi diversi; doveva pertanto
ritenersi che l’ampia nozione di “convinzioni personali” racchiudeva
una serie di categorie di ciò che poteva essere definito il “dover
6

f

essere” dell’individuo, dall’etica alla filosofia, dalla politica in senso

“convinzioni personali”, richiamato dall’art. 4 dl.vo n. 216/03, non
poteva essere perciò interpretato che nel contesto del sistema
normativo speciale in cui era inserito, restando irrilevante che in altri
testi normativi la medesima espressione potesse essere stata
utilizzata come alternativa al concetto di opinioni politiche o
sindacali; l’affiliazione sindacale rappresentava la professione
pragmatica di un’ideologia di natura diversa da quella religiosa,
connotata da specifici motivi di appartenenza ad un organismo
socialmente e politicamente qualificato a rappresentare opinioni,
idee, credenze suscettibili di tutela, in quanto oggetto di possibili atti
discriminatori vietati; pertanto, nell’ambito della categoria generale
delle convinzioni personali caratterizzata dall’eterogeneità delle
ipotesi di discriminazione ideologica, poteva essere ricompresa
anche la discriminazione per motivi sindacali, con il conseguente
divieto di atti o comportamenti idonei a realizzare una diversità di
trattamento o un pregiudizio in ragione dell’affiliazione o della
partecipazione del lavoratore ad attività sindacali;
– sussistevano nella fattispecie i presupposti dell’azione collettiva
per discriminazione diretta ai sensi dell’art. 5, comma 2, dl.vo n.
216/03, da non confondersi con l’azione svolta in rappresentanza dei

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lato alla sfera dei rapporti sociali; il contenuto dell’espressione

lavoratori nominativamente indicati, per la quale la legittimazione ad

– la questione dell’assunzione o meno di un obbligo diretto a
contrarre da parte della FIP era del tutto irrilevante, in quanto tale
Società aveva proceduto alle assunzioni dei lavoratori attingendo al
bacino di provenienza della FGA, di fatto onorando l’impegno
assunto per suo conto da quest’ultima, cosicché tale attività avrebbe
dovuto essere svolta nel pieno rispetto di tutte le disposizioni di
legge, ivi comprese quelle relative al divieto di discriminazioni;
– alla stregua del disposto dell’art. 28 dl.vo n. 150/11, in linea con
quanto imposto dalle direttive n. 2000/43/CE e n. 2000/78/CE, sul
bilanciamento dell’onere probatorio, il ricorrente vittima di una
discriminazione poteva limitarsi a fornire in giudizio gli elementi di
fatto dai quali poteva desumersi prima facie l’esistenza della
discriminazione, spettando quindi alla parte convenuta l’onere di
provare l’insussistenza della discriminazione; nell’ottica volta a
favorire il soggetto danneggiato, che avrebbe potuto trovarsi in una
situazione di difficoltà a dimostrare l’esistenza degli atti
discriminatori, doveva essere letto anche il richiamo alla possibilità di
fornire elementi di fatto desunti anche da dati di carattere statistico, i
quali, peraltro, non dovevano necessariamente avere caratteristiche
di scientificità tali da poter assurgere ad autonoma fonte di prova; nel
caso all’esame la parte originariamente ricorrente aveva allegato
8

agire era disciplinata dal comma 1 del medesimo articolo di legge;

quali elementi di fatto la consistenza dell’organico nello stabilimento

numero degli assunti dalla FIP provenienti dal bacino di Pomigliano
al giugno 2012 (1.893), il numero degli iscritti alla FIOM al gennaio
2011 (382), la circostanza che nessun lavoratore iscritto alla FIOM
risultava essere stato assunto dalla FIP al momento della
presentazione del ricorso; la simulazione statistica dimessa dalla
FIOM in primo grado appariva assolutamente corretta sul piano
metodologico, avendo preso come riferimento grandezze omogenee
e l’esito di tale simulazione aveva dimostrato che, in una selezione
casuale, le probabilità che nessuno degli iscritti alla FIOM fosse stato
selezionato per l’assunzione ammontava ad una su dieci milioni, il
che faceva risaltare maggiormente la percentuale pari a zero di
iscritti alla FIOM assunti dalla FIP nel giugno 2012; sarebbe spettato
quindi alla FIP dimostrare l’erroneità dei dati probabilistici,
documentando che la specifica area di occupazione dei 382
lavoratori iscritti alla FIOM era estranea alle lavorazioni rispetto alle
quali erano state fatte le assunzioni; a fronte della precisazione
dell’appellante principale che il reparto stampaggio era rimato in
capo alla FGA e del fatto, dedotto ma non dimostrato, che i lavoratori
iscritti alla FIOM risultavano addetti a tale reparto, la FIOM, nella
memoria di costituzione, aveva fatto risultare che uno dei lavoratori
facenti parte di quelli che avevano disdettato l’affiliazione alla stessa
9

di Pomigliano al gennaio/luglio del 2011 (4.367 dipendenti), il

FIOM nel corso del 2001 era stato assunto nonostante fosse addetto

a tale reparto;
l’accertamento operato dal primo Giudice aveva dimostrato che i

dati fattuali dedotti ed inerenti ad un campione significativo relativo al
raggiungimento della verifica concordata al primo anno costituivano
una valida rappresentazione del modus operandi della Società;

la FIP, a fronte dei dati forniti dall’originaria ricorrente, non aveva

in alcun modo dimostrato che i lavoratori assunti possedessero,
rispetto agli operai iscritti alla FIOM, una professionalità tale da
integrare i requisiti richiesti, nel mentre, al fine di dimostrare la
legittimità del suo comportamento, avrebbe dovuto provare in
concreto l’adozione dei criteri secondo cui sarebbero state effettuate
le assunzioni del personale operaio,

“ad esempio attraverso

l’individuazione di una griglia di lavoratori in possesso dei requisiti
necessari per essere assunti, predisposta secondo caratteristiche di
precisione e determinatezza tali da consentire l’individuazione
oggettiva dei lavoratori”; tale incombente probatorio non era stato

assolto neppure nei confronti dei lavoratori nominativamente indicati;
– doveva escludersi che, nella fattispecie, come sostenuto
dall’appellante principale, ricorressero i presupposti della deroga
prevista dall’art. 3, comma 3, dl.vo n. 216/03, dovendo peraltro
rilevarsi che configurava un’intrinseca contraddizione l’avere
sostenuto, da un lato, che le assunzioni erano state regolate dalla
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,

FIP sulla base di criteri oggettivi e non soggettivi e, dall’altro, che

determinante ai fini dello svolgimento dell’attività lavorativa e che,
come tale, poteva essere preso a giustificazione della mancata
assunzione e della ricorrenza della suddetta deroga;
– in relazione al principio di libertà dell’iniziativa economica, la
tutela in forma specifica, nella misura in cui imponeva coattivamente
l’adempimento, condizionava l’interesse della parte datoriale a
ricevere la prestazione, non essendo compito del giudice sindacare
le scelte discrezionali della datrice di lavoro, ma non potendo
l’autonomia privata essere richiamata per giustificare scelte illecite e,
in concreto, discriminatorie e lesive del diritto al lavoro; nel caso di
specie l’esercizio del potere discrezionale da parte della FIP aveva
dato luogo ad un’ipotesi illecita di discriminazione diretta ai danni dei
lavoratori affiliati alla FIOM nei confronti dei quali era sorto il diritto
all’eliminazione della disparità di trattamento subita e solo in tali
termini era concepibile la garanzia di effettività della tutela accordata
dall’art. 28 dl.vo n. 150/01; peraltro l’obbligo di assunzione imposto
dal Tribunale conservava in capo alla FIP la possibilità di scelta,
nell’ambito dei criteri già utilizzati in precedenza per gli altri
lavoratori, garantendo la selezione sia pure in una cerchia più
ristretta di candidati;

l’affiliazione alla FIOM costituiva un requisito essenziale e

- il mancato assolvimento dell’onere probatorio gravante sulla

parte datoriale aveva consolidato in capo ai lavoratori
nominativamente indicati il diritto all’assunzione, in quanto la scelta
della parte datoriale doveva ritenersi non più necessaria, stante
l’assenza di specifiche indicazioni in merito al difetto dei requisiti
professionali per l’assunzione, onde l’ordinanza del primo Giudice
doveva essere parzialmente riformata in tal senso;

nel caso specifico, coinvolgente l’interesse di un numero

considerevole di lavoratori, l’effettività e concretezza della tutela,
anche in un’ottica preventiva delle future assunzioni, poteva essere
maggiormente garantita attraverso l’adozione di un piano
particolareggiato di rimozione degli effetti della condotta
discriminatoria, piuttosto che con la previsione della disposta quota
di riserva in favore degli iscritti alla FIOM;

la doglianza dell’appellante principale relativa al disposto

risarcimento dei danni non patrimoniali era fondata, in quanto le
allegazioni fornite circa il concreto pregiudizio subito erano
estremamente vaghe e, come tali, inidonee a suffragare la domanda;

l’avvenuto intervento in causa non era fondato, dovendo

considerarsi, oltre alle ragioni di rigetto delle analoghe censure svolte
dall’appellante principale, che non poteva ritenersi che la tutela
accordata in ipotesi di discriminazione vietata potesse essa stessa

12

r

7\

costituire una condotta illecita o discriminatoria e, come tale,

Avverso l’anzidetta ordinanza della Corte territoriale, la Fabbrica
Italia Pomigliano spa ha proposto ricorso per cassazione fondato su
dodici motivi e illustrato con memoria.
La FIOM – CGIL Nazionale, in nome e per conto dei lavoratori già
nominativamente indicati, nonché in nome delle altre persone, non
individuabili in modo diretto ed immediato, lese dalla dedotta
discriminazione, ha resistito con controricorso; ha depositato
memoria illustrativa, eccependo l’inammissibilità del ricorso per
sopravvenuta carenza dell’interesse ad agire, stante l’avvenuta
cessione, a far data dal 1°.3.2013, da parte della HP ed a favore
della FGA, del complesso aziendale sito in Pomigliano d’Arco.
Gli intimati Graziano Pasquale, Damiani Francesco e Della Magna
Ciro non hanno svolto attività difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la ricorrente deduce che il provvedimento
d’appello avverso l’ordinanza conclusiva del procedimento sommario
di cognizione deve assumere, oltre alla sostanza, anche la forma
della sentenza, essendo regolato dalla disciplina generale, ed insta,
assumendo trattarsi di questione di particolare importanza, per
l’enunciazione del principio di diritto ai sensi dell’art. 384, comma 1,
cpc.
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suscettibile di essere rimossa.

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la nullità del

ritenuto ammissibile il rito di cui all’art. 28 dl.vo n. 150/11, anziché
quello di cui all’art. 28 Statuto dei Lavoratori.
Con il terzo motivo, denunciando violazione dell’art. 5, comma 2,
dl.vo n. 210/03, la ricorrente deduce che presupposto della
legittimazione del sindacato a tutelare i propri iscritti contro episodi di
discriminazione è che i soggetti discriminati non siano individuabili,
laddove, nel caso di specie, erano individuabili (e addirittura
identificati sulla base della documentazione prodotta ex adverso) i
lavoratori affiliati alla FIOM al gennaio 2011.
Con il quarto motivo la ricorrente sostiene che la normativa italiana
di cui al decreto legislativo n. 216/03, di attuazione della direttiva
2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione e
di condizioni di lavoro, laddove fa riferimento alle “convinzioni
personali”, deve essere letta alla luce delle previsioni della predetta
direttiva; nell’art. 1 di quest’ultima, il riferimento alle “convinzioni
personali”, strettamente collegato alla “religione”, comporta che la
prima locuzione si riferisce non a qualsiasi convinzione di natura
ideologica, bensì a quel credo individuale assimilabile, per la sua
particolare cogenza e pervasività, ad una fede religiosa; dal che
discende che le “convinzioni personali” non possono essere ritenute
diverse da quelle basate su determinate credenze religiose o ad
14

provvedimento impugnato, dolendosi che la Corte territoriale abbia

esse assimilabili e non si riferiscono quindi alle opinioni personali di

Con il quinto motivo la ricorrente denuncia violazione degli artt. 6 del
TUE e 16 della Carta europea dei diritti fondamentali con riferimento
ai provvedimenti adottati nella ordinanza impugnata in relazione ai
disposti obblighi di assunzione, assumendone la contrarietà con il
diritto dell’impresa di dimensionarsi in ragione delle proprie esigenze
produttive.
Rispetto al quarto e al quinto motivo la ricorrente avanza inoltre
richiesta subordinata di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia
dell’Unione Europea.
Con il sesto motivo, denunciando violazione di plurime norme di
diritto, la ricorrente si duole che la Corte territoriale abbia fondato la
propria decisione su un modello statistico erroneamente condiviso,
benché basato su dati certamente errati e parziali, negando al
contempo l’ammissibilità e rilevanza delle prove liberatorie offerte da
essa ricorrente.
Con il settimo motivo la ricorrente deduce che la Corte territoriale,
con le statuizioni relative ai disposti obblighi di assunzione, ha violato
il diritto dell’imprenditore, desumibile dall’art. 41 della Costituzione, di
dimensionare secondo valutazioni discrezionali il proprio organico.
Con l’ottavo motivo, denunciando vizio di motivazione, la ricorrente si
duole che la Corte territoriale abbia ritenuto la sussistenza di obblighi
15

natura politica o di altro genere.

legali o contrattuali in capo ad essa ricorrente di assumere i

controversia.
Con il nono motivo la ricorrente denuncia la nullità del provvedimento
impugnato per non avere riconosciuto l’inammissibilità dell’appello
incidentale della FIOM, stante il difetto di motivi specifici di gravame.
Con il decimo motivo la ricorrente, denunciando violazione degli artt.
3 e 41 della Costituzione, deduce che l’appello incidentale della
FIOM, oltre che inammissibile, avrebbe dovuto essere dichiarato
infondato, perché l’ordine di assunzione dei lavoratori
nominativamente indicati ha violato il diritto dell’imprenditore di
dimensionare secondo valutazioni discrezionali il proprio organico e
di individuare fra gli aventi diritto quelli muniti delle capacità tecnico professionali richieste nell’organizzazione produttiva.
Con l’undicesimo motivo la ricorrente denuncia violazione di plurime
norme di diritto, nonché vizio di motivazione, in ordine alla disposta
condanna all’assunzione dei lavoratori nominativamente indicati,
non essendo stata fornita la dimostrazione del perché tali lavoratori
fossero non solo iscritti alla FIOM, ma dovessero rientrare nella
quota di lavoratori di tale sindacato destinata all’assunzione.
Con il dodicesimo motivo, denunciando violazione dell’art. 2697,
commi 1 e 2, cc, la ricorrente deduce che l’errata ricostruzione dei
fatti integranti la fattispecie costitutiva del diritto fatto valere con
16

lavoratori di Pomigliano, con le relative conseguenze sul merito della

l’appello incidentale della FIOM ha, simultaneamente, comportato la

rubricata.
2. É logicamente preliminare la disamina dell’eccezione di
inammissibilità del ricorso, per sopravvenuta carenza dell’interesse
ad agire, svolta dalla controricorrente nella memoria illustrativa.
2.1 Al riguardo, in base alla documentazione prodotta dalle parti
(ammissibile siccome pertinente alla valutazione dell’ammissibilità
del ricorso, giusta la previsione dell’art. 372 cpc), risulta che, con atto
del 26.2.2013 (successivo alla notifica del ricorso) e con efficacia dal
1°.3.2013, la Fabbrica Italia Pomigliano spa ha ceduto alla Fiat
Group Automobiles spa il “complesso aziendale operante nel sito
industriale di Pomigliano d’Arco (NA), via ex Aeroporto senza
numero civico, e destinato alle attività di produzione e assemblaggio
dell’autovettura modello Fiat Panda”

e quindi, fra l’altro, lo

stabilimento interessato alle assunzioni per cui è causa; nel
medesimo atto di cessione è previsto, per quanto qui specificamente
rileva, che, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2112 cc, i rapporti di
lavoro con i dipendenti (elencati in apposito allegato) sarebbero
continuati con la Società cessionaria.
Risulta inoltre che uno dei difensori della FIP ha comunicato ai
difensori della FIOM che la medesima FIP non avrebbe dato “corso
alle ulteriori assunzioni di cui al provvedimento emesso dalla Corte di
17

violazione della regola di giudizio contenuta nella normativa

Appello di Roma in data 19.10.2012, avendo cessato ogni attività

lavoratori assumendi sono già dipendenti”.
2.2 La giurisprudenza di questa Corte è costante nell’affermare che
l’interesse all’impugnazione, il quale costituisce manifestazione del
generale principio dell’interesse ad agire, sancito, quanto alla
proposizione della domanda ed alla contraddizione alla stessa,
dall’art. 100 cpc, va apprezzato in relazione all’utilità concreta
derivabile alla parte dall’eventuale accoglimento del gravame, ossia
alla sussistenza di un interesse identificabile nella possibilità di
conseguire una concreta utilità o un risultato giuridicamente
apprezzabile, attraverso la rimozione della statuizione censurata, e
non già di un mero interesse astratto a una più corretta soluzione di
una questione giuridica (cfr,

ex plurimis,

Cass., 3472/1999;

13091/2003; 15623/2005; 9877/2006; 1755/2006; 11844/2006); al
contempo è stato altresì condivisibilmente affermato che l’interesse
ad agire (e, quindi, anche ad impugnare), deve sussistere non solo
nel momento in cui è proposta l’azione o l’impugnazione, ma anche
nel momento della decisione in relazione alla quale, ed in
considerazione della domanda originariamente formulata, va valutata
la sussistenza di tale interesse (cfr, ex plurimis, Cass., SU, n.
25278/2006).

produttiva” per avere ceduto la stabilimento alla FGA, “società di cui i

2.3 Nel caso di specie, avuto riguardo al contenuto della domanda e

rilevarsi che:
– l’azione svolta non è di mero accertamento, bensì diretta ad
ottenere l’effetto concreto, in relazione alle assunzioni presso la
stabilimento di Pomigliano, derivante dalla cessazione della
denunciata discriminazione ai danni degli affiliati alla FIOM;
– le disposizioni rese nell’ordinanza impugnata, quali diffusamente
già esposte, sono espressamente dirette ad imporre alla FIP le
indicate assunzioni presso lo stabilimento di Pomigliano, facente
parte del complesso aziendale oggetto della ricordata cessione;
– stante il contenuto specifico di tali statuizioni, non rileva pertanto,
ai fini della valutazione della permanenza dell’interesse
all’impugnazione, che la FIP, com’è pacifico, continui ad esistere,
anche dopo la cessione del complesso aziendale, quale soggetto
dotato di autonoma personalità giuridica.
Deve allora convenirsi che la FIP, non essendo più proprietaria dello
stabilimento presso il quale avrebbero dovuto essere effettuate le
ulteriori assunzioni di affiliati alla FIOM ovvero presso il quale già
siano state effettuate le assunzioni dei lavoratori nominativamente
indicati, non ha più alcun concreto ed attuale interesse alla rimozione
delle statuizioni rese nell’ordinanza impugnata, posto che:

19

delle conseguenti statuizioni rese nell’ordinanza impugnata deve

-

in alcun modo potrà conseguire un pregiudizio dal mantenimento

prima dell’assunzione, dipendenti della FGA e che tali sono tornati
ad essere a seguito della cessione);

non potrà procedere ad ulteriori assunzioni presso il medesimo

stabilimento di altri dipendenti della FGA affiliati alla FIOM;
non potrà conseguentemente essere ulteriormente destinataria
dell’ordine di cessare dal ritenuto comportamento discriminatorio e di
rimuoverne gli effetti.
Né, in senso contrario, potrebbe ritenersi un perdurante interesse
alla caducazione della ritenuta discriminazione sotto il profilo del
possibile conseguente assoggettamento ad una domanda di
risarcimento degli ulteriori danni che, in forza di tale discriminazione,
potrebbero essere derivati, posto che tale domanda è stata respinta
con la pronuncia impugnata e che tale statuizione di rigetto, in difetto
di impugnazione, è ormai coperta dal giudicato.
Del tutto generiche risultano poi le osservazioni svolte nella
discussione orale circa la possibile rilevanza della ritenuta
discriminazione in relazione ad altre iniziative giudiziarie (di cui,
come si assume, una sarebbe già in corso), non essendo stato
precisato, e tanto meno comprovato, il contenuto di dette iniziative,
come tali insuscettibili di valutazione in ordine alla loro pertinente
concretezza.
20

presso il suddetto stabilimento dei lavoratori assunti (che erano,

Va pertanto riconosciuta la fondatezza dell’eccezione all’esame, con

3. In relazione al primo motivo di ricorso il Collegio non ravvisa la
particolare importanza della questione ivi sollevata, onde non è
luogo all’enunciazione del relativo principio di diritto.
4. Attese le ragioni del decidere, fondate su circostanze fattuali
sopravvenute alla proposizione del ricorso, ed avuto altresì riguardo
alla complessità delle questioni ivi svolte, le spese vanno
compensate fra le parti costituite, non essendo invece luogo a
provvedere al riguardo, in carenza di attività difensiva, quanto alle
parti rimaste intimate.
P. Q. M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; compensa le spese fra le
parti costituite; nulla sulle spese quanto alle parti rimaste intimate.
Così deciso in Roma 1’11 febbraio 2014.

conseguente declaratoria dell’inammissibilità del ricorso.

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