Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5581 del 06/03/2017

Cassazione civile, sez. VI, 06/03/2017, (ud. 05/12/2016, dep.06/03/2017),  n. 5581

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Presidente –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – rel. Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25324-2015 proposto da:

S.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato BRUNO

MURA giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

AMMINISTRAZIONE COMUNALE SAN GIOVANNI SUERGIU, in persona del

Commissario Straordinario, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

ANTONIO GRAMSCI 22, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO PICONE,

rappresentata e difesa dagli avvocati GIOVANNI BATTISTA GALLUS,

RAFFAELE GALLUS CARDIA, giusta procura speciale in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 498/2014 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI del

14/03/2014, depositata il 24/07/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

05/12/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ROSA MARIA DI VIRGILIO;

udito l’Avvocato Giovanni Battista Gallus difensore della

controricorrente che si riporta agli atti ed insiste

nell’inammissibilità del ricorso.

Fatto

IN FATTO ED IN DIRITTO

E’ stata depositata in Cancelleria e regolarmente comunicata la seguente relazione:

“Il Consigliere rel.,

Premesso:

La Corte d’appello di Cagliari, con la sentenza impugnata, in riforma della sentenza di primo grado, ha rigettato la domanda di S.G., intesa ad ottenere il compenso per l’attività di gestione e manutenzione dell’impianto di depurazione comunale negli anni dal febbraio 1990 al marzo 1995.

Per quanto ancora interessa, la Corte d’appello ha rilevato che, eccepito dall’Amministrazione che l’impianto di depurazione non fosse funzionante alla data del 23/5/1989, e che quindi fosse inadempiente lo S., titolare dell’impresa appaltatrice, questi, tenuto a provare di avere effettuato all’ente la comunicazione di cui all’art. 29 del disciplinare e che l’impianto era funzionante, non aveva offerto alcuna prova, nè alcuna presunzione di funzionamento dell’impianto dal 1989 poteva desumersi dalle prove effettuate nel maggio 1994, considerati i numerosi elementi specificamente indicati.

Secondo la Corte del merito, il Tribunale aveva dato una lettura parziale delle dichiarazioni rese dal Sindaco, la cui gravità induceva a ritenerne la piena attendibilità e l’ing. Sa., sentito come teste, aveva confermato la relazione in atti, che attestava una serie di carenze nella manutenzione dell’impianto, specificamente considerate dal CTU.

Ne conseguiva l’irrilevanza della richiesta all’Amministrazione da parte dello S. di prendere in consegna l’opera e di effettuare il collaudo.

Infine, la Corte del merito ha ritenuto precluso l’esame della domanda ex art. 2041 c.c., per la mancata riproposizione in secondo grado, ex art. 46 c.p.c., della domanda subordinata proposta in primo grado.

Ricorre lo S., con ricorso affidato a due motivi.

Si difende l’Amministrazione con controricorso.

Rileva quanto segue.

1.1.-Con il primo motivo di ricorso, l’Amministrazione denuncia la violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., art. 2697 c.c. e art. 253 c.p.c.; sostiene che la sentenza impugnata ha trascurato completamento l’esito della prova testimoniale dedotta dalla parte: ed infatti, i testi B., C., M. e Sg., dipendenti dello S., hanno confermato che questi ha fatto funzionare l’impianto nell’attesa della consegna al Comune, e ciò è stato confermato dalla delibera del Consiglio comunale, intesa a chiudere la controversia col pagamento della somma di Lire 231.937.224, ed è stato anche riconosciuto dalla stessa Corte d’appello sia pure sotto il profilo della domanda ex art. 2041 c.c.

1.2.- Col secondo, denuncia la violazione degli artt. 2041 e 2042 c.c.; sostiene di avere in secondo grado concluso per il rigetto dell’appello e che l’espressione “e la conferma dell’impugnata sentenza” non “è stata usata, per cui deve considerarsi come un refuso, introdotta per errore…”.

2.1.- Il ricorso è inammissibile per tardività.

La sentenza impugnata risulta depositata il 24/7/2014; il D.L. n. 132 del 2014, convertito con modificazioni nella L. n. 162 del 2014, all’art. 16, Modifiche alla L. 7 ottobre 1969, n. 742 e riduzione delle ferie dei magistrati e degli avvocati e procuratori dello Stato, al comma 1 ha stabilito che: “alla L. 7 ottobre 1969, n. 742, art. 1le parole “dal 1 agosto al 15 settembre di ciascun anno” sono sostituite dalle seguenti: “dal 1 al 31 agosto di ciascun anno”” e al comma 3 che ” Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2, acquistano efficacia a decorrere dall’anno 2015″.

Ne consegue che dall’anno 2015 deve considerarsi la sospensione feriale dei termini processuali in giorni 30; nel caso, quindi, il termine lungo andava a scadere 23 settembre 2014, da cui la tardività della notifica del ricorso, cote risulta richiesta, nonchè avvenuta, nello stesso giorno del 12 ottobre 2015.”

In esito all’odierna udienza camerale e letta la memoria del ricorrente, il Collegio dissente dalla ritenuta inammissibilità del ricorso per andava a scadere 9 ottobre 2015, considerato che la sentenza è stata depositata il 24 luglio 2014, che solo per il 2015 trova applicazione la riduzione dei termini feriali D.L. n. 132 del 2014, ex art. 16 e che come risulta dalla cedola UNEP apposta nell’ultima pagina del ricorso, è stata chiesta la notifica dell’atto nell’ultimo giorno utile.

Ciò posto, va ritenuta la sostanziale inammissibilità del primo motivo di ricorso.

Ed infatti, la parte lamenta la mancata considerazione delle deposizioni testimoniali, che avrebbero provato che lo S. aveva gestito e quindi fatto funzionare l’impianto nell’attesa della consegna al Comune; ritiene che detta circostanza sia stata confermata dalla deliberazione del Consiglio comunale, di corrispondere allo stesso la somma di Lire 231.937.224 per chiudere la controversia e sostiene che detta attività gestionale è stata considerata dalla stessa Corte del merito, ritenendone la compensabilità solo a titolo di indebito arricchimento.

Il motivo è inammissibile nella sua duplice prospettazione.

Ed infatti, anche a tacere, per il vizio motivazionale, dall’applicazione del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, come introdotto dal D.L. n. 83 del 2012, convertito nella L. n. 134 del 2012, da cui la non ammissibilità del vizio di motivazione, prospettato nella doglianza del non corretto esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali, mentre è denunciabile il vizio di motivazione solo quando l’anomalia motivazionale si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’ esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dalla sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali: così S.U. 8053/2014), il motivo è di fondo inammissibile, perchè i rilievi avanzati sono generici, e non conferenti rispetto alla sentenza impugnata.

La Corte del merito ha escluso la debenza della somma richiesta a titolo risarcitorio, ritenendo fondata l’eccezione di inadempimento sollevata dal Comune, considerando tutta una serie di elementi, indicati alle pagine 8-11 della sentenza, sulla base dei quali ha escluso che potesse ritenersi provata in via presuntiva la messa a disposizione al Comune da parte dello S. dal 1989, e sino alla data dell’effettiva consegna, dell’impianto ultimato e funzionante, nonchè dei documenti e dei certificati necessari per procedere alla presa in consegna dell’opera.

Di contro a detta articolata motivazione, del tutto genericamente il ricorrente ha opposto di avere provato di avere “gestito, vale a dire fatto funzionare” l’impianto in attesa della consegna, senza confrontarsi con gli specifici rilievi del Giudice del merito, sulla mancata prova da parte dello S. del fatto che l’impianto fosse funzionante e della messa a disposizione del Comune dei documenti e certificati necessari per la presa in consegna dell’opera.

La Corte del merito ha anche rilevato che, a ritenere inadempiente l’Amministrazione per il ritardo nel collaudo e nella presa in consegna, non sarebbe spettato il risarcimento del danno, non costituendo conseguenza diretta ed immediata dell’inadempimento, e contro detta autonoma ratio decidendi il ricorrente nulla ho rilevato.

Il secondo motivo è infondato.

La Corte del merito ha rilevato che, posto che era risultata provata la custodia e la manutenzione dell’impianto per 38 mesi, allo S. sarebbe spettato un compenso a titolo di ingiustificato arricchimento, ma che tale domanda subordinata non era stata riproposta in appello, ex art. 346 c.p.c. e doveva quindi ritenersi rinunciata.

Di contro a detto rilievo, il ricorrente sostiene che sarebbe “tuttora valida la richiesta di condanna del Comune a titolo di indebito arricchimento”, per avere concluso in appello per il rigetto e non anche per la conferma della sentenza di primo grado, come, in tesi, erroneamente indicato in sentenza.

Ora, come riconosce il ricorrente, lo stesso, vittorioso in primo grado sulla domanda principale, non aveva riproposto la domanda subordinata, di talchè l’avere chiesto o meno la conferma della pronuncia appellata è del tutto irrilevante, una volta che si ponga mente al principio, reiteratamente affermato, secondo cui l’appellato che ha visto accogliere nel giudizio di primo grado la sua domanda principale è tenuto, per non incorrere nella presunzione di rinuncia di cui all’art. 346 c.p.c., a riproporre espressamente, in qualsiasi forma indicativa della volontà di sottoporre la relativa questione al giudice d’appello, la domanda subordinata non esaminata dal primo giudice, non potendo quest’ultima rivivere per il solo fatto che la domanda principale sia stata respinta dal giudice dell’impugnazione (così tra le ultime, la pronuncia 7457/2015).

3.1.- Il ricorso va pertanto respinto; le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente alle spese, liquidate in Euro 6000,00, oltre Euro 100,00 per esborsi; oltre spese forfettarie ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 5 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 6 marzo 2017

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