Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5581 del 02/03/2021

Cassazione civile sez. trib., 02/03/2021, (ud. 28/10/2020, dep. 02/03/2021), n.5581

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. SUCCIO Roberto – rel. Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. MELE Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 823/2016 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato;

– ricorrente –

contro

TERRANOVA 1986 SOC. COOP., in persona del legale rappresentante pro

tempore rappresentata e difesa giusta delega in atti dall’avv.

Salvatore Ciaramella (PEC (OMISSIS)) e con domicilio eletto in Roma

via Sesto Fiorentino n. 41 presso l’avv. Carmelo Fabrizio Ferrara;

– controricorrente –

Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Sicilia n. 2214/21/15 depositata il 28/05/2015, non notificata;

Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del

28/10/2020 dal Consigliere Roberto Succio;

Lette le conclusioni del Pubblico Ministero in persona del Sostituto

Procuratore Generale Mucci Roberto, che ha chiesto il rigetto del

ricorso;

sentito l’avvocato dello Stato Maria Francesca Severi che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con nota del 22 marzo 2011 l’Agenzia delle Entrate di Caltanissetta comunicava che il rimborso IVA relativo all’anno 1988, richiesto dalla soc.c.oop. Terranova ‘86, risultava sospeso e completamente archiviato per prescrizione.

L’odierna controricorrente avverso tale atto presentava ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Caltanissetta; il ricorso era dichiarato inammissibile per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19.

Appellava la contribuente società di fronte alle CTR e il giudice dell’appello premetteva come la soc.c.oop. Terranova 1986, con propria comunicazione del 7.03.2011 aveva chiesto la compensazione delle somme costituenti il credito IVA chiesto a rimborso; precedentemente il Banco di Sicilia, cessionario del credito e perciò surrogatario dei diritti del creditore cedente, con le note del 2.03.1998, del 7.03.2003 e dell’11.02.2004 aveva reiteratamente sollecitato il rimborso medesimo, ricevendone in risposta le altrettante note dell’Agenzia delle Entrate e del Ministero delle Finanze che rinviavano tale richiesta di rimborso ma che tutte, sostanzialmente, facevano ammissione del credito.

Ritenuta quindi provata l’interruzione della prescrizione decennale, e non estinto quindi il diritto al rimborso, la CTR ha accolto l’appello della società ritenendo che la comunicazione impugnata (nota 7.03.2011) costituisse manifestazione della pretesa tributaria, sotto forma di diniego di rimborso.

Avverso la sentenza della CTR della Sicilia, sez. staccata di Caltanissetta, propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate con atto affidato a due motivi; la contribuente resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il primo motivo di ricorso censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in riferimento al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53 e all’art. 342 c.p.c. tutti in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 per avere il secondo giudice omesso di pronunciarsi sulla preliminare eccezione di inammissibilità dell’appello avversario in quanto primo di motivi specifici.

Il motivo è inammissibile, non potendo neppure porsi il profilo di omessa pronuncia su una questione processuale.

Invero, questa Corte ha da tempo chiarito come (Cass. Sez. 6 – 2, Sentenza n. 321 del 12/01/2016) il mancato esame da parte del giudice di una questione puramente processuale non è suscettibile di dar luogo al vizio di omissione di pronuncia, il quale si configura esclusivamente nel caso di mancato esame di domande od eccezioni di merito, ma può configurare un vizio della decisione per violazione di norme diverse dall’art. 112 c.p.c. se, ed in quanto, si riveli erronea e censurabile, oltre che utilmente censurata, la soluzione implicitamente data dal giudice alla problematica prospettata dalla parte.

In ogni caso poi, dalla lettura della sentenza gravata si evince con chiarezza come il giudice dell’appello abbia approfonditamente esaminato le questioni di fatto e di diritto sottopostegli, con ciò dimostrandosi ampiamente l’effetto devolutivo raggiunto dall’impugnazione che può solo esser stato conseguito in presenza di motivi di appello dotati di sufficiente specificità.

L’Erario ricorre poi per mezzo di un secondo motivo di ricorso con il quale denuncia violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19 nonchè degli artt. 2934 e 2944 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per avere la CTR, anzichè limitarsi a rilevare l’estinzione del credito per prescrizione decennale non essendo intercorsi dal 18 (rectius 14) marzo 1994 (data della comunicazione da parte dell’Ufficio della sospensione del rimborso) al 16 marzo 2011 (data di comunicazione da parte dell’Ufficio dellmarchiviazione del rimborso per prescrizione”) atti interruttivi, ritenuto atto impugnabile proprio la ridetta comunicazione del 16 marzo 2011, qualificandola atto di diniego del chiesto rimborso e pertanto atto suscettibile di impugnazione di fronte alla CTP.

Quanto alla ritenuta non impugnabilità del diniego, che secondo parte ricorrente costituirebbe mera comunicazione, la censura svolta nel motivo è inammissibile.

Va in primis osservato come la CTR abbia sul punto debitamente accertato in fatto “che la soc.c.oop. Terranova 1986, con propria nota del 7.03.2011 ha chiesto quanto in premessa indicato e che il Banco di Sicilia, cessionario del credito e perciò surrogatario dei diritti del creditore cedente, con le note del 2.03.1998, del 7.03.2003 e dell’11.02.2004 aveva reiteratamente sollecitato il rimborso medesimo, ricevendone in risposta le altrettante note sopra riportate dell’Agenzia delle Entrate e del Ministero delle Finanze che rinviavano tale richiesta di rimborso ma che tutte, sostanzialmente facevano ammissione del credito”.

Osserva la Corte inoltre, sempre quanto alla ricostruzione del fatto, che la nota del 27 febbraio 2004 non rileva in quanto non comunicata alla società contribuente ma al cessionario del credito.

Orbene, alla luce di quanto sopra, deve darsi per acquisito in atti e non più suscettibile di contestazione in questa sede di Legittimità che l’Ufficio ha ammesso l’esistenza del credito, salvo rinviarne l’erogazione in attesa della definitiva sua esigibilità all’esito del giudizio relativo alla validità degli avvisi di accertamento notificati alla contribuente società per gli anni 1987/88/89 e 1991.

Va ricordato incidentalmente, quanto ai profili inerenti la legittimazione attiva, che appartiene invero alla giurisdizione del giudice tributario la domanda proposta nei confronti dell’Amministrazione finanziaria per la restituzione di somme indebitamente versate a titolo d’imposta sul valore aggiunto, una volta che ne sia stato rifiutato il rimborso; e ciò anche restando irrilevante che il ricorso sia stato proposto dal cessionario del bene, invece che dal soggetto passivo del rapporto tributario, atteso che la cessione importa il subingresso del terzo nella posizione del contribuente e che la controversia ha comunque l’attitudine a porre questioni inerenti al rapporto tributario, da definirsi con autorità di giudicato anche in contraddittorio con il contribuente (cfr. Cass., Sez. Un., 28 novembre 2018, n. 30751; Cass., Sez. Un., 17 aprile 2009, n. 9142).

Inoltre, venendo alla fattispecie in esame, si è chiarito come (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 11468 del 25/05/2011) quanto all’individuazione del soggetto legittimato a contraddire con l’Erario in caso di cessione del credito IVA l’avviso di rettifica con cui l’Amministrazione finanziaria disconosce il diritto del contribuente al rimborso dell’imposta non deve essere notificato al cessionario del credito IVA, in quanto si riferisce al rapporto tributario scindibile intercorrente tra cedente ed Amministrazione; il cessionario è infatti titolare di un autonomo diritto, derivante da quello del cedente e da far valere direttamente contro l’Amministrazione ceduta, anche attraverso un intervento adesivo autonomo nel processo, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14. Ciò posto, rileva la Corte come la cessione del credito IVA sia ammessa dalla normativa applicabile al caso in esame, al pari della cessione di qualsiasi altro credito, ed è disciplinata dal D.L. n. 70 del 1988, art. 5, comma 4-ter, convertito con modificazioni nella L. 13 maggio 1988, n. 154, nella formulazione pro tempore vigente, il quale espressamente fa salvo il diritto dell’Amministrazione di ripetere anche dal cessionario le somme rimborsate, nonchè di operare il controllo delle dichiarazioni rese dal cedente (cfr. Cass. 12 ottobre 2001, n. 12455); deve ritenersi quindi che sia il cedente, sia il cessionario, salvi i rapporti tra loro intercorrenti, posseggano legittimazione ad agire per la restituzione delle somme oggetto del credito chiesto a rimborso nel rispetto del generale principio di favor creditoris atto a impedire l’insorgenza di eccessiva difficoltà da parte dei creditori ad ottenere il soddisfacimento del credito.

Tornando ora alla disamina del primo profilo del motivo, lo stesso si rivela privo di fondamento.

In via generale, con riguardo all’effetto che va attribuito alle comunicazioni intercorse tra l’Ufficio e il contribuente anteriormente all’impugnazione dell’ultima di esse questa Corte ritiene che l’adozione da parte dell’amministrazione finanziaria, ad esempio, di provvedimenti del fermo amministrativo sui credili d’imposta soggetti a rimborso, qualificata come causa temporaneamente impeditiva del rimborso, abbia anche l’effetto di provocare l’interruzione della prescrizione. Meglio ancora, detta iniziativa va qualificata come fattispecie non di “interruzione” della prescrizione artt. 2943 e ss. c.c., ma di “decorrenza della prescrizione” stessa art. 2935 c.c.: da ciò discendono le osservazioni che seguono.

Da tempo (vedasi Cass. sez. I, n. 391 del 19 gennaio 1979) si è ritenuto che una volta accertata l’assenza di ragioni di controcredito da parte dell’Ufficio, si verifica un venir meno della compressione del diritto che in forza di tali ragioni era stato degradato a interesse. Il diritto in parola, quindi, riacquista l’originaria qualificazione: rispetto ad esso diritto, del quale il provvedimento di fermo aveva comportato l’affievolimento sino a renderlo temporaneamente interesse, si è pertanto verificata la riespansione (o il ritorno alla dimensione originaria) a seguito dell’annullamento del provvedimento di fermo. Infatti, la lite sul fermo attiene alla stessa proponibilità dell’azione davanti all’autorità giudiziaria, e il provvedimento (considerato che per l’art. 69 detto “la sospensione del pagamento” conseguente al provvedimento di fermo “deve essere” sempre “eseguita in attesa del provvedimento definitivo” dall’amministrazione debitrice) comunque produce l’effetto sospensivo dell’erogazione della somma chiesta a rimborso in via provvisoria, cioè finchè non sia giuridicamente eliminato o (anche in via di autotutela) dalla stessa amministrazione o dal giudice adito dal creditore titolare del credito imperativamente “fermato”.

Pertanto, il fermo è disposto in via cautelare e fino alla pronunzia di un successivo provvedimento con cui lo si revochi ovvero si disponga che la somma dovuta dallo Stato al creditore venga ritenuta, nei limiti in cui opera la compensazione legale, a soddisfazione del credito erariale.

Va precisato che nel caso che ci occupa, la “ragione di credito” per la quale è stato disposto (come irreversibilmente accertato in fatto dal giudice del merito con statuizione non più censurabile in questa sede di Legittimità) il “fermo amministrativo” del credito IVA relativo agli anni in contestazione, vantato dalla contribuente, risulta esser stato manifestato a seguito di provvedimento espresso (“con nota del 27.02.2004 l’Agenzia delle Entrate di Gela, comunicava al Banco di Sicilia di (OMISSIS), cui la coop. Agricola Terranova ‘86 aveva ceduto il credito de quo agitur ammontante a L. 121.798.000, il rigetto della richiesta di rimborso, in quanto la suddetta Cooperativa aveva nei confronti dell’Erario un debito superiore al credito dalla stessa vantato”) per cui il rimborso era in concreto all’epoca non dovuto.

Nondimeno, tal provvedimento espresso non risulta esser stato notificato alla società controricorrente; conseguentemente esso è inoppugnabile da parte del cessionario del credito, Banco di Sicilia, ma è partimenti completamente irrilevante e del tutto improduttivo di effetti sia sostanziali sia processuali quanto alla Cooperativa controricorrente. Ad essa infatti risulta notificata la sola comunicazione del 16 marzo 2011 che è infatti oggetto di questo giudizio, ed è questo atto contenente sempre in forza di accertamento di fatto operato dalla CTR e non più sindacabile in questa sede di Legittimità – il solo vero e proprio diniego del rimborso rilevante per la contribuente (in cui si comunica che il rimborso “risultava sospeso e completamente archiviato per prescrizione”) che circoscrive anche thema decidendum e thema probandum, a seguito di sua impugnazione di fronte alla CTP, delimitandolo nella sola avvenuta estinzione per prescrizione del credito chiesto a rimborso.

Significativamente, questa Corte ha per vero già stabilito, con analoga logica, che nel caso in cui (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 412 del 10/01/2013) la ragione di credito che l’Amministrazione ha inteso garantire con un provvedimento di fermo amministrativo R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, ex art. 69 sia stata disconosciuta con sentenza definitiva, la prescrizione del diritto del contribuente all’erogazione del credito “fermato” inizia a decorrere dal passaggio in giudicato della suddetta decisione.

E ciò in quanto vige in realtà, sulla base di una ricostruzione comparativa tra l’atto materiale sul rimborso anche quando conclusivo del procedimento di liquidazione delle imposte derivante dalla dichiarazione reddituale D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis, ed ogni altra comunicazione dell’Ufficio, anche riproduttiva della stessa determinazione di rimborso esclusa in tutto o in parte, un principio interpretativo che ricostruisce l’atto alla stregua di una valorizzazione innanzitutto dei suoi effetti in concreto. Effetti in concreto che vanno posti al centro della ricostruzione della fattispecie come dell’interpretazione delle disposizioni che la riguardano specie se, come nel caso, siano mancati in esso (e comunque non v’è traccia di allegazione in tal senso nè in questa sede nè nei gradi del merito) diverse contestazioni sul merito della fondatezza dell’istanza di rimborso – vale a dire sulla certezza, liquidità ed esigibilità del credito – da parte dell’Amministrazione Finanziaria.

L’atto impugnato può quindi correttamente ascriversi al novero di quelli meramente ricognitivi, come la CTR ha accertato quanto alle comunicazioni intercorse, avendo l’Ufficio esplicitato la sua volontà quanto a pretesa impositiva con il più recente dei provvedimenti intercorsi (quello notificato alla Cooperativa in data 16 marzo 2011) e dunque assoggettabile a impugnazione.

E infatti, con indirizzo che va ribadito in difetto di argomenti nuovi che ne sollecitino la rimeditazione, questa Corte ha stabilito in situazione parallela che qualora a fronte di una istanza di rimborso d’imposta l’amministrazione finanziaria si limiti puramente e semplicemente ad emettere un provvedimento di rimborso parziale, senza evidenziare alcuna riserva o indicazione nel senso di una sua eventuale natura interlocutoria, il provvedimento medesimo si configura, per la parte relativa all’importo non rimborsato, come atto di rigetto – sia pure implicito – della richiesta di rimborso originariamente presentata dal contribuente. Ne consegue che detto provvedimento costituisce atto impugnabile quale rifiuto espresso, nel termine di sessanta giorni dalla notificazione, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 19 e 21, e che deve, invece, ritenersi improponibile una seconda istanza di rimborso (per il mancato accoglimento integrale della prima), con conseguente inidoneità della stessa alla formazione di un silenzio-rifiuto impugnabile) (Cass. 12336/2005, 14846/2008).

Ed ancora (Cass. 27438/2008 e 10783/2007) si è puntualizzato che poichè l’istanza del contribuente è volta ad ottenere la materiale restituzione della somma che asserisce di aver indebitamente versato, il mancato pagamento di tale somma da parte dell’Amministrazione integra comunque un sostanziale rigetto dell’istanza ed è pertanto impugnabile indipendentemente dalla legittimità del rifiuto, in particolare dall’inesigibilità del credito, la quale attiene non già alla natura dell’atto ma al merito della pretesa, con la conseguenza che il contribuente è legittimato a sottoporre al giudice tributario le ragioni del suo disaccordo sulla risposta ricevuta ogni qualvolta la sua richiesta di rimborso non abbia ottenuto concreta ed effettiva soddisfazione da parte dell’Amministrazione finanziaria.

Pertanto, accertato che l’effettiva manifestazione del diniego di rimborso è avvenuta con la comunicazione impugnata del 16 marzo 2011, costituente diniego implicito, erroneamente la CTP ha ritenuto non proponibile avverso tale atto il ricorso al giudice tributario e correttamente la CTR ha deciso in modo opposto; invero, per costante giurisprudenza questa Corte ritiene (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 16520 del 05/07/2017; Sez. 5, Sentenza n. 21356 del 30/11/2012) che il ricorso del contribuente per ottenere il rimborso di somme che assuma indebitamente versate può essere proposto soltanto nei confronti di un provvedimento di diniego del rimborso, esplicito o implicito, la cui inesistenza, dovuta al non ancora avvenuto decorso del termine di novanta giorni dalla presentazione della domanda di restituzione (previsto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 2), comporta l’inammissibilità del ricorso per difetto dell’atto impugnabile, quale presupposto processuale, rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio; mentre, una volta formatosi il silenzio-rifiuto, il ricorso è sempre proponibile fino a quando il diritto alla restituzione non sia prescritto.

E’ quindi stato accertato in fatto da parte della CTR come vi sia stato riconoscimento del credito, e ne sia stata disposta dapprima solo la sua sospensione provvisoria a fronte dei controcrediti vantati genericamente e provvisoriamente dall’Ufficio. In seguito, solo nel 2011 è intervenuto il provvedimento di rigetto del rimborso notificato alla società controricorrente: pertanto solo in quest’ultimo momento si è manifestato il diniego suscettibile di impugnazione da parte del contribuente.

La CTR pertanto ha correttamente ritenuto impugnabile il diniego reso con comunicazione del 16 marzo 2011.

Il ricorso è quindi, in conclusione, integralmente rigettato; le spese seguono la soccombenza.

PQM

rigetta il ricorso; liquida le spese in Euro 5.600 oltre al 15% per spese generali, CPA ed IVA di legge che pone a carico di parte soccombente.

Così deciso in Roma, il 28 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 marzo 2021

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA