Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5580 del 08/03/2018


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Civile Ord. Sez. 1 Num. 5580 Anno 2018
Presidente: CAMPANILE PIETRO
Relatore: TERRUSI FRANCESCO

sul ricorso 10303/2013 proposto da:
Spinzia Giulia, Cozzupoli Alessandro – nella qualita’ di erede di
Spinzia Giuseppa, elettivamente domiciliati in Roma, Via Ludovisi
n.36, presso lo studio dell’avvocato Polimeni Domenico, che li
rappresenta e difende unitamente all’avvocato Cotroneo Attilio,
giusta procura a margine del ricorso;
-ricorrenti contro

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Data pubblicazione: 08/03/2018

Azienda Territoriale per l’Edilizia Residenziale Pubblica della
Provincia di Catanzaro, ex Istituto Autonomo Case Popolari, in
persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in Roma, Via Ruggero Fiore n.3, presso lo studio

Talarico Mario, Zucco Filippo, giusta procura a margine del
controricorso;
-controricorrente contro
Comune di Guardavalle;
– intimato avverso la sentenza n. 203/2012 della CORTE D’APPELLO di
CATANZARO, depositata il 12/03/2012;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
20/12/2017 dal cons. FRANCESCO TERRUSI.

Rilevato che:
il tribunale di Catanzaro condannò l’Aterp (già Iacp) a risarcire ad
Angelo Iannò, nella qualità di procuratore speciale di Giulia e
Giuseppa Spinzia, i danni da illegittima occupazione di un terreno
finalizzato alla costruzione di alloggi di edilizia popolare, essendo
stato il terreno irreversibilmente trasformato ed essendo inutilmente
decorso il termine per l’emissione del decreto di esproprio;
nel giudizio fu chiamato in causa il comune di Guardavalle;
la sentenza veniva riformata dalla corte d’appello di Catanzaro, sul
rilievo che l’Aterp era stata delegata dal comune di Guardavalle per la
sola realizzazione dell’opera, che peraltro era stata ultimata prima
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dell’avvocato D’Alberto Pino, rappresentata e difesa dagli avvocati

della scadenza del termine di occupazione legittima; sicché l’Aterp
non poteva considerarsi responsabile per l’illecito conseguente al
mancato tempestivo esaurimento della procedura espropriativa;
la corte d’appello osservava che nessuna domanda era stata invece
proposta dagli attori, in primo grado, nei confronti del comune, unico

domanda per la prima volta avanzata in appello, al fine di ottenere la
condanna del comune medesimo in via solidale con l’Aterp, doveva
esser dichiarata inammissibile per novità;
per la cassazione della sentenza, depositata il 12-3-2012 e non
notificata, hanno proposto ricorso Giulia Spinzia e Alessandro
Cozzupoli, erede di Giuseppa Spinzia, deducendo tre motivi poi
illustrati da memoria;
l’Aterp ha replicato con controricorso;
non ha svolto difese il comune di Guardavalle.
Considerato che:
i primi due motivi sono da esaminare congiuntamente;
col primo i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione degli
artt. 2043 e 2055 cod. civ. e degli artt. 60 della I. n. 865 del 1971 e
40 e 41 cod. pen., per avere l’impugnata sentenza attribuito la
qualifica di ente espropriante al comune di Guardavalle, secondo
un’immedesimazione organica tra l’ente dotato del potere di emettere
il decreto di esproprio e l’ente di fatto espropriante;
in tal senso la corte d’appello si sarebbe posta in contrasto con
l’orientamento giurisprudenziale per cui, nell’ipotesi di occupazione
appropriativa, dell’illecito risponde sempre e comunque l’ente che ha
posto in essere le attività materiali di apprensione del bene e di
esecuzione dell’opera pubblica cui consegue il mutamento del regime
di appartenenza del bene, anche nell’ipotesi in cui detto ente abbia
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responsabile per l’occupazione appropriativa in esame, e che quindi la

curato la realizzazione di un’opera di pertinenza di altra
amministrazione; e in ogni caso non avrebbe considerato che nel
decreto del presidente della giunta regionale della Calabria n. 1985
del 1978 l’Iacp (poi Aterp) era stato indicato come delegato dal
comune di Guardavalle, giusta delibera n. 69 del 1973, quanto ai

col secondo motivo i ricorrenti denunziano la violazione dell’art. 115
cod. proc. civ., avendo la corte d’appello omesso di valutare il citato
documento allegato al fascicolo di primo grado;
i motivi sono in parte inammissibili, perché implicanti un sindacato di
fatto, e in parte infondati;
il giudice a quo si è uniformato all’insegnamento di questa Corte
secondo il quale “in tema di espropriazione finalizzata alla costruzione
di alloggi popolari, l’Iacp che, delegato dal comune (artt. 35 e 60
legge 22 ottobre 1971, n. 865) per la sola realizzazione dell’opera, la
ultimi quando è ancora pendente il termine di occupazione
temporanea legittima, non è responsabile, in caso di mancata
tempestiva emanazione del decreto di esproprio e, quindi, di
occupazione appropriativa, per la lesione patrimoniale subita dal
proprietario a seguito dell’ irreversibile trasformazione del fondo,
atteso che la fattispecie di danno viene in essere con lo spirare del
periodo di occupazione legittima e che non spetta al delegato
occuparsi del decreto di espropriazione, mentre il comportamento
omissivo dell’ente delegante, che ha trascurato di azionare o
sollecitare la procedura espropriativa, è da solo sufficiente a
determinare l’evento dannoso” (v. Cass. Sez. U n. 24885-08);
in tale situazione sono privi di pertinenza gli accenni di parte
ricorrente

all’istituto

dell’immedesimazione

organica,

mentre

l’ulteriore assunto, incentrato sulla esistenza di una traslazione dei
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poteri espropriativi di cui all’art. 60 della I. n. 865-71;

poteri espropriativi dal comune all’Iacp (poi Aterp), non trova
riscontro nell’accertamento di merito;
l’impugnata sentenza ha infatti enunciato in modo chiaro sulla base di
quali risultanze documentali dovevasi ritenere che all’Iacp fosse stata
delegata la sola esecuzione dell’opera pubblica; e l’accertamento che

legittima, supportato esplicitamente dal richiamo alla c.t.u., non
appare censurato sul piano della motivazione;
per converso la doglianza, nel suo complesso facente leva sulla
relazione corrente tra il documento richiamato (della giunta
regionale) e la deliberazione del comune di Guardavalle n. 69 del
1973, implica una revisione del giudizio di fatto, essendo assertoria la
tesi che la delega, ivi menzionata, fosse oggettivamente riferita
proprio all’area di cui è causa;
invero dalla sentenza risulta che l’occupazione dell’area suddetta era
avvenuta in forza di distinto decreto del presidente della giunta
regionale n. 2895 del 1980;
è invece fondato il terzo motivo, col quale i ricorrenti denunziano la
violazione e falsa applicazione degli artt. 106 e 269 cod. proc. civ. e
112 stesso codice, sostenendo che la domanda di condanna nei
confronti del comune era stata formulata nel corso del giudizio di
primo grado, e che non era necessaria un’estensione formale della
domanda anzidetta, stante il principio di estensione automatica al
terzo chiamato dal convenuto laddove non si verta in tema di
manleva;
dall’impugnata sentenza si apprende che la parte attrice aveva
proposto domanda di risarcimento dei danni nei confronti dell’Aterp e
che questa, dinanzi al tribunale, aveva eccepito “il proprio difetto di
legittimazione passiva”; cosicché l’Aterp aveva tempestivamente
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l’opera fosse stata ultimata in pendenza del termine di occupazione

chiamato in giudizio il comune “ritenendolo effettivo beneficiario
dell’espropriazione”;
secondo la corte distrettuale, l’attore, chiedendo per la prima volta in
appello la condanna solidale dell’Aterp e del comune di Guardavalle,
aveva introdotto in quella sede una domanda nuova, giacché l’Iacp

domanda di manleva; mentre Iannò, agendo nella qualità indicata
all’inizio, non aveva proposto alcuna domanda di danni verso il
comune medesimo dinanzi al giudice di primo grado;
sennonché l’affermazione della corte d’appello è errata nel
presupposto giuridico, perché contrasta con la pacifica circostanza
appena detta, di avere l’Aterp aveva eseguito la chiamata dopo aver
prospettato di esser carente di legittimazione rispetto all’azione di
danni, a fronte della legittimazione del comune;
la contestazione della legittimazione passiva da parte del convenuto
che abbia chiesto la chiamata in causa di un terzo ritenuto obbligato
in sua vece è logicamente e giuridicamente incompatibile con la
qualificata evocazione del terzo come chiamata in garanzia (o
manleva), la quale, per sua natura, non può che presupporre la non
contestazione della suddetta legittimazione passiva;
qualora il convenuto, nel dedurre il difetto della propria legittimazione
passiva, chiami un terzo indicandolo come il vero legittimato, si
verifica l’estensione automatica della domanda al terzo medesimo,
onde il giudice può (e deve) direttamente esaminare quella domanda,
al fine di verificare l’esistenza dei presupposti per emettere nei suoi
confronti una pronuncia di condanna, anche se l’attore non ne abbia
fatto esplicita richiesta (v. ex aliis Cass. n. 13374-07, Cass. n. 1313106, Cass. n. 254-06, e poi ancora Cass. n. 1693-09, Cass. n. 1231711, Cass. n. 20610-11);
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(poi Aterp) aveva chiamato in giudizio il comune proponendo una

l’impugnata sentenza va quindi in tal senso cassata e la causa
rinviata alla medesima corte d’appello, in diversa composizione, per
nuovo esame;
la corte d’appello provvederà anche sulle spese del giudizio svoltosi in
questa sede di legittimità.

La Corte rigetta i primi due motivi, accoglie il terzo, cassa
l’impugnata sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia, anche
per le spese del giudizio di cassazione, alla corte d’appello di
Catanzaro.
Deciso in Roma, nella camera di consiglio della prima sezione

p.q.m.

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