Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 558 del 12/01/2017

Cassazione civile, sez. trib., 12/01/2017, (ud. 13/06/2016, dep.12/01/2017),  n. 558

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. IZZO Fausto – rel. Consigliere –

Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere –

Dott. CATENA Rossella – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19162/2010 proposto da:

P.P.M., elettivamente domiciliato in ROMA VIA ANTONIO

SOGLIANO 70, presso lo studio dell’avvocato EMILIO BATTISTA BERETTA,

rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCESCO LA MALFA, giusta

delega in calce;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO LOCALE DI MILANO (OMISSIS), in persona

del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 58/2009 della COMM. TRIB. REG. di MILANO,

depositata il 25/05/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/06/2016 dal Consigliere Dott. FAUSTO IZZO;

udito per il controricorrente l’Avvocato PUCCIARIELLO che si riporta

agli atti;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico, che ha concluso per l’inammissibilità e in

subordine il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. P.P.M. impugnava due avvisi di accertamento (nr. (OMISSIS)) notificatogli il 20/3/2006 dall’Agenzia delle Entrate di Milano con i quali, a seguito dell’utilizzo degli studi di settore, era stato riscontrato un maggior reddito da lavoro autonomo prodotto dalla sua attività di Architetto per l’anno 2002 pari ad Euro 38.242,00 (invece di Euro 15.745) e per l’anno 2003 pari ad Euro 31.972,00 (invece di Euro 10.946), con conseguente liquidazione di maggior imposta IRPEF ed IVA.

2. Con sentenza del 28/5/2007 la CTP di Milano accoglieva il ricorso.

3. Con sentenza del 21/5/2009 la CTR di Milano accoglieva l’appello dell’Ufficio. Ha osservato il giudice di appello che l’accertamento non era stato basato solo sulle presunzioni degli studi di settore, ma anche dal rinvenimento nella contabilità del contribuente dell’attestazione di pagamenti, per prestazioni occasionali, a favore di tale L.B., per l’anno 2002 di Euro 25.000,00 e per l’anno 2003 di Euro 10.000,00, somme incompatibili con i redditi dichiarati come provento della sua attività. Nè era stato provato, come affermato dal contribuente che si trattava di compensi relativi ad una pluralità di anni.

4. Avverso tale pronuncia proponeva ricorso il contribuente, il quale, dopo avere rievocato l’iter della sua vicenda ed il contraddittorio avuto con l’Ufficio, lamentava:

4.1. La inammissibilità dell’originario appello avendo introdotto motivi nuovi riguardati la mancata statuizione sull’IRAP;

4.2. la illegittimità costituzionale delle norme disciplinanti l’istituto degli studi di settore, affidando ad una mera presunzione il presupposto per procedere alla rettifica della dichiarazione;

4.3. la illegittimità del metodo accertativo, per assenza dei presupposti della sua utilizzazione. In particolare difettava il requisito del “grave scostamento” tra quanto dichiarato e gli studi applicati; l’assenza di riscontri probatori alle presunzioni; l’assenza di analiticità dello studio, non basato sull’analisi delle scritture contabili; la carenza di motivazione dell’accertamento, le cui conclusioni non si ricollegavano ad elementi fattuali; l’applicazione delle sanzioni era ingiustificata tenuto conto della correttezza contabile del contribuente; il “cluster” di riferimento utilizzato non era rispondente alla attività del ricorrente, tenuto conto della marginalità della attività di lavoratore autonomo, rispetto a quella di lavoro dipendente quale insegnante. Chiedeva, pertanto che venisse cassata la sentenza impugnata.

5. Nel suo controricorso l’Agenzia eccepiva la inammissibilità dell’impugnazione non correlandosi e confrontandosi i motivi svolti con il ragionamento svolto dalla CTR nella sentenza di riforma della pronuncia di primo grado. La Commissione di secondo grado aveva fatto buon governo delle norme in materia rilevano la correttezza del contraddittorio attivato con il contribuente ed inoltre come le presunzioni dello studio di settore erano state asseverate da dati documentali. Chiedeva, pertanto, la declaratoria di inammissibilità del ricorso ed, in subordine, il suo rigetto.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso è inammissibile.

2. Va premesso che i parametri o studi di settore previsti dalla L. 28 dicembre 1995, n. 549, art. 3, commi da 181 a 187, rappresentando la risultante dell’estrapolazione statistica di una pluralità di dati settoriali acquisiti su campioni di contribuenti e dalle relative dichiarazioni, rivelano valori che, quando eccedono il dichiarato, integrano il presupposto per il legittimo esercizio da parte dell’Ufficio dell’accertamento analitico-induttivo, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ex art. 39, comma 1, lett. d, che deve essere necessariamente svolto in contraddittorio con il contribuente, sul quale, nella fase amministrativa e, soprattutto, in quella contenziosa, incombe l’onere di allegare e provare, senza limitazioni di mezzi e di contenuto, la sussistenza di circostanze di fatto tali da allontanare la sua attività dal modello normale al quale i parametri fanno riferimento, sì da giustificare un reddito inferiore a quello che sarebbe stato normale secondo la procedura di accertamento tributario standardizzato, mentre all’ente impositore fa carico la dimostrazione dell’applicabilità dello “standard” prescelto al caso concreto oggetto di accertamento (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 3415 del 20/02/2015, rv. 634928).

3. Quanto alla legittimità costituzionale di tale strumento, il giudice delle leggi ha più volte ribadito che le presunzioni per poter essere coerenti con il principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost., debbono essere confortate da elementi positivi di riscontro che le giustifichino razionalmente (cfr. Corte Cost. n. 283 del 1987), orientamento questo condiviso da questa Corte in plurime pronunce (ex plurimis, Sez. 5, 15 dicebre 2003, n. 19163).

Nel caso in esame, la CTR nel motivare la sentenza, ha fatto esplicito richiamo degli elementi di supporto degli studi di settore, in tal modo applicando le norme in materia in maniera costituzionalmente orientata.

4. Per quanto attiene alla censura relativa all’IRAP, dagli atti richiamati dal ricorrente e dalla stessa intestazione della sentenza, emerge che la pronuncia attiene esclusivamente alle imposte IRPEF ed IVA. Pertanto nessuna rilevanza ha il richiamo dell’Ufficio alla omessa pronuncia sull’IRAP, considerato che detta imposta non era oggetto degli accertamenti impugnati.

5. Ciò premesso la inammissibilità del ricorso si palesa sotto due profili.

In primo luogo il ricorrente, ratione temporis, ai sensi del previgente art. 366 bis c.p.c. (introdotto dal D.L. n. 40 del 2006), aveva l’onere di formulare espliciti quesiti di diritto, formulazione della quale non vi è invece traccia in ricorso.

6. In secondo luogo il ricorrente, a fronte di una sentenza di appello che motiva in modo specifico la ragione dell’applicazione degli studi di settore, richiamando gli elementi documentali di riscontro all’attendibilità delle risultanza di detti studi, evidenziando altresì il fallimento dell’onere della prova da parte del contribuente, ha articolato motivi connotati da assoluta genericità e non in grado di scalfire il tessuto argomentativo della sentenza impugnata.

Per quanto detto, si impone la declaratoria di inammissibilità del ricorso. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 5.000,00 oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 13 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2017

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