Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5579 del 06/03/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 06/03/2017, (ud. 12/10/2016, dep.06/03/2017),  n. 5579

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Presidente –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22308-2015 proposto da:

I.E., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MACHIAVELLI

25, presso lo studio dell’avvocato GABRIELLA TELESCA, rappresentata

e difesa dall’avvocato CONSUELO FEROCI giusta delega in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

PREEFETTURA – UFFICIO TERRITORIALE DEL GOVERNO DI ASCOLI PICENO;

– intimato –

avverso il decreto del GIUDICI. DI PACI di ASCOLI PICENO, emesso il

09/05/2015 e depositato il 11/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/10/2016 dal Consigliere Relatore Don. MARIA ACIERNO;

udito l’Avvocato Anna Maria Bisogni (delega Avvocato Consuelo Feroci)

che chiede che il procedimento venga rinviato a nuovo ruolo per

impedimento dell’Avvocato Feroci, depositando copia del certificato

medico; nel merito si riporta ai motivi del ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

In ordine al procedimento recante il numero di r.g. 22308 del 2015 è stata depositata la seguente relazione:

“il giudice di pace di Ascoli Piceno ha rigettato il ricorso proposto dalla cittadina albanese I.E. avverso il diniego di revoca del provvedimento di espulsione comunicato il 21/1/2015.

La cittadina straniera è stata espulsa il 4/2/2008 in quanto rinvenuta priva di permesso di soggiorno con contestuale ordine di abbandono del territorio nazionale;

la richiesta di revoca non è stata accolta perchè non sostenuta nè dalla speciale autorizzazione del Ministero dell’Interno nè da un parere favorevole della Questura;

pur essendo trascorso un periodo quinquennale dalla data dell’espulsione non vi è alcun riscontro oggettivo dell’effettivo abbandono del territorio nazionale;

nessuna prova al riguardo è stata fornita nè risulta che la ricorrente abbia inoltrato istanza di rientro all’Ambasciata Consolato albanese;

in mancanza dell’allontanamento non decorre il termine quinquennale di operatività del divieto.

Ne consegue la legittimità del diniego di revoca in quanto adottata alla stregua della normativa vigente.

Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per cassazione la cittadina straniera affidato ai seguenti cinque motivi:

nel primo motivo viene dedotta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, commi 14 e 15 per essere decorso il periodo quinquennale dell’operatività ex lege del divieto di reingresso con conseguente necessità di procedere alla revoca del provvedimento di espulsione, non potendo più spiegare effetto il provvedimento espulsivo pregresso ed il conseguente divieto di reingresso decennale essendone stato ridotta medio tempore la durata.

Inoltre in concreto la ricorrente ha fornito la prova presuntiva dell’allontanamento mediante il conferimento con procura predisposta da notaio albanese, del mandato alle liti per il presente giudizio.

Secondo un recente orientamento di questa Corte (Cass. 18254 del 2015) può essere revocata l’espulsione nell’ipotesi in cui il cittadino straniero abbia ottemperato al divieto di reingresso (originariamente di 10 anni ex lege ratione temporis applicabile) per cinque anni se il provvedimento espulsivo conserva la sua efficacia al momento della scadenza della Direttiva 2208/113/CE che ha introdotto il termine dimezzato e del D.L. n. 89 del 2011, art. 3 convertito nella L. n. 129 del 2011 che ne ha dato attuazione nel nostro ordinamento. Questo orientamento, tuttavia, nel caso di specie non può trovare applicazione perchè con accertamento di fatto insindacabile in sede di giudizio di legittimità, il giudice di pace ha accertato che la cittadina straniera non ha mai lasciato il territorio italiano. Ne consegue che la cessazione dell’efficacia del provvedimento espulsivo per decorso del termine di operatività del divieto di rientro non sussiste per difetto della condicio facti che ne costituisce il presupposto, ovvero l’avvenuto allontanamento. La censura è infine inammissibile nella parte in cui mira a sostituire l’accertamento di fatto svolto dal giudice del merito con il proprio valorizzando un elemento indiziario ritenuto insindacabilmente insufficiente.

Il secondo motivo è manifestamente inammissibile perchè rivolto a contestare la validità dell’originario provvedimento espulsivo per difetto di traduzione nella lingua albanese. Tale provvedimento è divenuto irrevocabile e l’odierno giudizio ha ad oggetto esclusivo il successivo diniego di revoca.

Il terzo motivo, fondato sull’omessa valutazione da parte del giudice di pace di profili quali l’eccesso di potere funzionale, la proporzionalità ed il principio del buon andamento è del tutto generico in considerazione del fatto che la richiesta di revoca ed il successivo diniego, confermato dal giudice di pace si sono fondati sulla norma relativa al divieto di reingresso e non su altre considerazioni incidenti sull’attualità della misura espulsiva.

In conclusione ove si condividano i predetti rilievi il ricorso deve essere respinto”.

Preliminarmente il Collegio osserva che la certificazione medica posta a base della richiesta di rinvio, avanzata dal legale della parte ricorrente è del tutto generica, non risultando neanche indicata la patologia dalla quale risulterebbe affetta l’avv. Feroci.

In ordine alla memoria depositata deve osservarsi che, come già ampiamente argomentato nella relazione depositato, nella specie non può applicarsi l’orientamento giurisprudenziale invocato perchè risulta insindacabilmente accertato che la ricorrente non ha lasciato il territorio italiano. Quanto al rilievo sine die della nullità dell’espulsione, se ne deve rilevare la radicale infondatezza, in quanto tale rilievo può essere fatto valere solo mediante gli ordinari strumenti impugnatori e nei termini indicati dalla legge.

In conclusione le censure sono manifestamente infondate e meritano reiezione. Non vi è luogo a statuizione sulle spese in mancanza della resistenza della controparte.

PQM

Rigetta il ricorso.

Non sussistono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 6 marzo 2017

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