Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5578 del 28/02/2020

Cassazione civile sez. I, 28/02/2020, (ud. 11/10/2019, dep. 28/02/2020), n.5578

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. CAIAZZO Luigi Pietro – rel. Consigliere –

Dott. ARIOLLI Giovanni – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 22028/2018 proposto da:

A.K., elettivamente domiciliato presso l’avv. Rosaria Tassinari

che lo rappres. e difende, con procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro p.t., elett.te domic.

in Roma, presso l’Avvocatura dello Stato che lo rappres. e difende;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di Bologna, depositato il

12/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

dell’11/10/2019 dal Cons., Dott. CAIAZZO ROSARIO.

Fatto

RILEVATO

CHE:

Con decreto del 12.6.18, il Tribunale di Bologna rigettò il ricorso proposto da A.K., cittadino del (OMISSIS), avverso il provvedimento emesso dalla Commissione territoriale di rigetto della domanda di protezione internazionale e umanitaria, osservando che: pur dovendosi condividere il rilievo della Commissione, secondo cui le dichiarazioni rese dal ricorrente erano precise e coerenti, non ricorreva alcuna ipotesi di fondato timore di subire, in caso di rimpatrio, atti di persecuzione rilevanti ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato, non essendo stata fornita alcuna indicazione di atti persecutori riconducibile alle fattispecie di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 8; non era stato allegato il pericolo di subire un danno grave riconducibile alle ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), come desumibile dalle stesse dichiarazioni del ricorrente; dall’esame delle COI più recenti ed accreditate non si desumeva la sussistenza in (OMISSIS) di una situazione di violenza generalizzata derivante da conflitto armato; non ricorrevano i presupposti della protezione umanitaria in mancanza di particolari fattori di vulnerabilità, essendo irrilevante a tale fine il percorso d’integrazione intrapreso dal ricorrente al momento del suo arrivo in Italia.

Resiste il Ministero con controricorso.

Diritto

RITENUTO

CHE:

Con il primo motivo è denunziata violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e art. 5 per non aver il Tribunale esercitato i poteri istruttori d’ufficio in ordine ai fatti narrati dal ricorrente, e per non aver valutato la sua credibilità, nonchè difetto di motivazione, travisamento e omesso esame dei fatti.

Con il secondo motivo è denunziata la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c, per non aver il Tribunale ritenuto la sussistenza di una minaccia grave alla sua vita derivante da una situazione di violenza indiscriminata, non avendo considerato quanto emerge dal report di Amnesty International.

Con il terzo motivo è denunziata la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1988, art. 5, comma 6, per non aver il Tribunale esaminato compiutamente i requisiti per la protezione umanitaria, avendo omesso la verifica della situazione di vulnerabilità, mediante una valutazione comparativa tra la condizione d’integrazione raggiunta in Italia e quella che vi sarebbe in caso di rientro (con riferimento a Cass., n. 4455/18).

Il primo motivo è inammissibile. Invero, come si evince dal decreto impugnato, lo stesso ricorrente ha dichiarato innanzi al Tribunale di aver lasciato il suo Paese e di non volervi tornare perchè il suo lavoro non era accettato e con altri lavori non potrebbe mantenere la sua famiglia, e di aver dunque fatto ingresso in Italia al solo scopo di cercare un lavoro. Pertanto, come correttamente argomentato dal Tribunale, le situazioni allegate in ricorso non sono neppure astrattamente riconducibili alle fattispecie in tema di protezione internazionale.

Da quanto esposto consegue che la doglianza relativa alla valutazione di non credibilità del ricorrente è inammissibile perchè non coglie la ratio decidendi che non è stata fondata sull’inattendibilità del racconto reso dal ricorrente, bensì sulla mancata allegazione di situazioni riconducibili alle fattispecie della protezione internazionale.

La censura della motivazione è altresì inammissibile perchè diretta al riesame delle valutazioni effettuate dal Tribunali in ordine alla qualificazione dei fatti allegati, ritenuti non inseribili nel novero di quelli che per legge legittimano il riconoscimento dello status di rifugiato.

Il secondo motivo è inammissibile, in quanto il Tribunale ha esaminato vari recenti report (US Department of State; Human Rights Watch; Amnesty International) dai quali si evince che in (OMISSIS) non sussisteva una situazione di violenza generalizzata con pericolo per i civili. Ne consegue che il motivo tende in sostanza al riesame dei fatti valutati dal Tribunale attraverso una prospettata diversa interpretazione del contenuto delle COI esaminate.

Il terzo motivo è parimenti inammissibile, non avendo il ricorrente allegato specifiche situazioni individuali integranti i presupposti della protezione umanitaria, avendo il ricorrente genericamente lamentato un’omessa verifica, da parte del Tribunale, della situazione personale di vulnerabilità. D’altra parte, come rilevato, il Tribunale ha evidenziato che il ricorrente stesso ha dichiarato di aver fatto ingresso in Italia per motivi puramente economici.

Giova altresì osservare che, questa Corte ha affermato che la protezione umanitaria, nel regime vigente ratione temporis, tutela situazioni di vulnerabilità – anche con riferimento a motivi di salute da riferirsi ai presupposti di legge ed in conformità ad idonee allegazioni da parte del richiedente. Ne deriva che non è ipotizzabile nè un obbligo dello Stato italiano di garantire allo straniero “parametri di benessere”, nè quello di impedire, in caso di ritorno in patria, il sorgere di situazioni di “estrema difficoltà economica e sociale”, in assenza di qualsivoglia effettiva condizione di vulnerabilità che prescinda dal risvolto prettamente economico” (Cass., n. 3681/19; n. 27336/18). Le spese seguono la soccombenza.

Va osservato che l’istanza di liquidazione a spese dello Stato presentata dal difensore del ricorrente è inammissibile in sede di legittimità, poichè deve essere depositata presso il giudice del merito.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del Ministero controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida nella somma di Euro 2100,00 oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 11 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2020

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