Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5578 del 01/03/2021

Cassazione civile sez. VI, 01/03/2021, (ud. 27/01/2021, dep. 01/03/2021), n.5578

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCIOTTI Lucio – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30502-2019 proposto da:

B.G., BO.GI., B.D., tutti in proprio

e nella qualità di ex soci della “V.D.B. SAS DI B. D. &

C.”, nonchè nella loro qualità di eredi di P.D.,

B.V., anch’egli nella propria qualità di erede di

P.D., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CICERONE, 28, presso lo

studio dell’avvocato ANTONIO BUONFIGLIO, rappresentati e difesi

dagli avvocati MARIO MARTELLI, GIOVANNI CALICETI;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2129/3/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE dell’EMILIA ROMAGNA, depositata l’11/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 27/01/2021 dal Consigliere Relatore Dott. DELLI

PRISCOLI LORENZO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

la parte contribuente proponeva ricorso avverso un avviso di accertamento relativo al periodo di imposta 2005;

la Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso della parte contribuente;

la Commissione Tributaria Regionale accoglieva l’appello dell’Agenzia delle entrate affermando che: correttamente è stato applicato il raddoppio dei termini D.P.R. n. 600 del 1973 ex art. 43, in quanto tale istituto presuppone unicamente l’obbligo di denuncia penale e l’Agenzia ha agito tempestivamente anche con riferimento alla rettifica dei rilievi sub A) e D) che, esplicitamente, prevede il raddoppio dei termini per la notifica dell’avviso di accertamento relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione e non precisa che il raddoppio è attuabile esclusivamente in relazione alle violazioni suscettibili di essere oggetto di sanzione penale; B.G. ha gestito personalmente e materialmente l’amministrazione della VDB s.a.s. e tenuto i rapporti con clienti e fornitori comportandosi quindi come amministratore di fatto della società di cui poi è diventato liquidatore; spetta inoltre all’Amministrazione finanziaria che contesti l’inesistenza, anche soggettiva, delle operazioni fatturate, dimostrare, anche in via presuntiva, che il soggetto sapeva o avrebbe dovuto sapere che la propria operazione partecipava ad un’operazione che si iscriveva in una frode IVA: tuttavia per la prova presuntiva – che ammette prova contraria, cosicchè il contribuente potrà provare di non essere a conoscenza che prestazione non sia stata effettivamente resa dal fatturante – è sufficiente che quest’ultimo sia sfornito di dotazione personale e strumentale adeguata alla sua esecuzione: nella specie è incontestato che le società con le quali la contribuente ha intrattenuto rapporti sono del tutto prive di strutture aziendali, che tra queste si annoverano evasori totali non avendo mai presentato alcuna dichiarazione fiscale e che nel suo interrogatorio Z.R. indica nella F.lli B. s.r.l. una delle utilizzatrici delle società cartiere da lui create e le circostanze che la merce è stata effettivamente ricevuta e ne è stato versato il corrispettivo non sono idonee di per sè a dimostrare la frode;

la parte contribuente proponeva ricorso affidato a quattro motivi di impugnazione mentre l’Agenzia delle entrate si costituiva con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

con il primo motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la parte contribuente denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, in quanto la CTR ha violato le norme applicabili alla fattispecie laddove ha confermato la legittimità dell’accertamento in relazione all’applicabilità del cd. raddoppio dei termini con riguardo alle violazioni non oggetto di denuncia penale e penalmente irrilevanti descritte nell’avviso di accertamento ai paragrafi A) “Costi non deducibili” e D) “Controlli riconducibili agli scambi commerciali comunitari;

con il secondo motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la parte contribuente denuncia omesso e comunque insufficiente esame circa fatti decisivi per il giudizio in base agli artt. 112 e 115 c.p.c., al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, e al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, in quanto la CTR ha totalmente omesso l’esame del fatto storico oggetto di discussione tra le parti costituito dall’assenza non solo di denuncia, ma anche di violazioni penalmente rilevanti in relazione alle violazioni descritte nell’avviso di accertamento ai paragrafi A) “Costi non deducibili” e D) “Controlli riconducibili agli scambi commerciali comunitari;

con il terzo motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la parte contribuente denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 17, e degli artt. 2313,2324 e 2945 c.c. in quanto la CTR ha violato la norme e la giurisprudenza applicabili alla fattispecie laddove ha considerato amministratore di fatto il sig. B.G., nonostante l’Ufficio non avesse mai provato che egli esercitasse il controllo della gestione della società;

con il quarto motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la parte contribuente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 112,113,115 e 116 c.p.c., del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, del D.P.R. n. 917 del 1986 (T.U.I.R.), art. 109, del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 21 e 54, nonchè degli artt. 2697,2727 e 2729 c.c. in quanto la CTR non ha spiegato se la prova presuntiva e meramente indiziaria della frode offerta dall’Ufficio fosse dotata di quel sufficiente grado di gravità e precisione e concordanza la cui verificata esistenza ne consente l’utilizzo in sede di accertamento tributario e la cui verificata validità ed effettività ingenera l’inversione della prova a carico del contribuente;

ritenuto che il primo e il secondo motivo possono essere trattati congiuntamente in quanto entrambi vertono sulla legittimità o meno del raddoppio dei termini decadenziali per l’accertamento della violazione tributaria in quanto in particolare i ricorrenti non contestano che nel caso di specie i termini non potessero essere raddoppiati, ma solo che non lo potevano essere con riferimento ad alcune riprese a tassazione per violazioni non penalmente rilevanti e perchè prive della relativa denuncia penale;

considerato che, secondo questa Corte, relativamente alla necessità di una denuncia penale per il raddoppio dei termini:

ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 3, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, nei testi applicabili “ratione temporis” (e, quindi, prima delle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 128 del 2015 e dalla successiva L. n. 208 del 2015, vertendosi nel caso di specie di avviso di accertamento emesso e notificato nell’anno 2012 – cfr., ex multis, Cass. n. 16728 del 2016, Cass. n. 26037 del 2016 e, più recentemente, Cass. n. 33793 del 2019) il raddoppio dei termini presuppone unicamente l’obbligo di denuncia penale, ai sensi dell’art. 331 c.p.p., per uno dei reati previsti dal D.Lgs. n. 74 del 2000, tanto da essere del tutto indifferente l’effettiva presentazione della denuncia (cfr. Corte Cost. n. 247 del 2011, Cass. n. 1171 del 2016 e n. 27629 del 2018) e non rilevando nè la configurabilità di una causa di estinzione del reato come la prescrizione, nè l’intervenuta archiviazione della denuncia, “nè l’esercizio dell’azione penale da parte del p.m., ai sensi dell’art. 405 c.p.p., mediante la formulazione dell’imputazione, nè la successiva emanazione di una sentenza di condanna o di assoluzione da parte del giudice penale, anche in considerazione del doppio binario tra giudizio penale e procedimento e processo tributario” (in termini, Cass. n. 9974 del 2015, n. 16728 del 2016 e più recentemente Cass. n. 22337 del 2018 e n. 5228 del 2019);

considerato che, secondo questa Corte, relativamente alla necessità della violazione di norme presidiate da sanzioni penali:

“in tema di accertamento, il cd. “raddoppio dei termini”, previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, non può trovare applicazione anche per l’IRAP, poichè le violazioni delle relative disposizioni non sono presidiate da sanzioni penali” (Cass. n. 10483 del 2018; n. 4742 del 2020).

considerato pertanto che i ricorrenti non contestano che nel caso di specie i termini non potessero essere raddoppiati, ma solo che, fra l’altro, non lo potevano essere con riferimento ad alcune riprese a tassazione per violazioni non suscettibili di esser oggetto di natura penale e che effettivamente la Commissione Tributaria Regionale non si è attenuta all’ultimo dei suddetti principi laddove ha affermato che il D.L. n. 223 del 2006, art. 37, comma 24, non precisa che il raddoppio è attuabile esclusivamente in relazione alle violazioni suscettibili di essere oggetto di natura penale;

considerato infatti che il D.L. n. 223 del 2006, art. 37, comma 24, convertito con modificazioni dalla L. n. 248 del 2006, integrando il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 3, ha stabilito che “in caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 331 c.p.c. per uno dei reati previsti dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, gli ordinari termini di cui ai commi precedenti (ovvero di notifica, a pena di decadenza, degli avvisi di accertamento) sono raddoppiati relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa la violazione” che analoga disposizione è stata introdotta dal medesimo D.L. n. 223 del 2006, art. 37, comma 25, in materia di IVA, previa modifica del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, e che nulla è stato invece modificato con le modifiche apportate dal D.Lgs. n. 128 del 2015 e dalla L. n. 208 del 2015;

ritenuto che il terzo motivo è invece infondato in quanto, secondo l’art. 2321 c.c., dettato in tema di società in accomandita semplice, “i soci accomandanti non possono compiere atti di amministrazione, nè trattare o concludere affari in nome della società, se non in forza di procura speciale per singoli affari. Il socio accomandante che contravviene a tale divieto assume responsabilità illimitata e solidale verso i terzi per tutte le obbligazioni sociali”: la CTR, nell’affermare che ” B.G. ha gestito personalmente e materialmente l’amministrazione della VDB s.a.s. e tenuto i rapporti con clienti e fornitori comportandosi quindi come amministratore di fatto della società” si è attenuta fedelmente a tale norma, spiegando perchè B.G. debba essere considerato amministratore di fatto e quindi considerando pienamente raggiunta la prova della sua intromissione negli affari sociali che ne determina la sua responsabilità illimitata;

ritenuto che il quarto motivo è parimenti infondato in quanto, secondo questa Corte, nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti, è onere dell’Amministrazione che contesti il diritto del contribuente a portare in deduzione il costo ovvero in detrazione l’IVA pagata su fatture emesse da un concedente diverso dall’effettivo cedente del bene o servizio, dare la prova che il contribuente, al momento in cui acquistò il bene od il servizio, sapesse o potesse sapere, con l’uso della diligenza media, che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si è iscritta in un’evasione o in una frode. La dimostrazione può essere data anche attraverso presunzioni semplici, valutati tutti gli elementi indiziari agli atti, attraverso la prova che, al momento in cui ha stipulato il contratto, il contribuente è stato posto nella disponibilità di elementi sufficienti per un imprenditore onesto che opera sul mercato e mediamente diligente, a comprendere che il soggetto formalmente cedente il bene al concedente aveva, con l’emissione della relativa fattura, evaso l’imposta o compiuto una frode (Cass. n. 5873 del 2019);

in tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, nè la regolarità della contabilità e dei pagamenti, nè la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi (Cass. n. 27566 del 2018);

in tema di detrazione dell’IVA correlata ad operazioni inesistenti, la prova che il soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che la cessione dei beni si iscriveva in un’evasione dell’imposta sul valore aggiunto, in linea con la giurisprudenza della Corte di giustizia (Corte giustizia 22 ottobre 2015, C-277/14), può essere fornita dall’Amministrazione anche mediante presunzioni – come espressamente prevede il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54, comma 2 – valorizzando, nel quadro indiziario, quali elementi sintomatici della mancata esecuzione della prestazione dal fatturante, l’assenza della minima dotazione personale e strumentale adeguata alla predetta esecuzione, l’immediatezza dei rapporti (cedente/prestatore fatturante interposto e cessionario/committente), una conclamata inidoneità allo svolgimento dell’attività economica e la non corrispondenza tra i cedenti e la società coinvolta nell’operazione (Cass. n. 5339 del 2020);

in tema di IVA, qualora l’Amministrazione finanziaria contesti che la fatturazione attiene ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, incombe sulla stessa l’onere di provare la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi specifici, che il contribuente fosse a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto incombente istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto (Cass. n. 15369 del 2020);

ritenuto che la sentenza impugnata ha fatto un uso corretto dei suddetti principi di diritto, in quanto, dopo aver rilevato che è incontestato che le società con le quali la contribuente ha intrattenuto rapporti sono del tutto prive di strutture aziendali, che tra queste si annoverano evasori totali non avendo mai esse presentato alcuna dichiarazione fiscale e che nel suo interrogatorio Z.R. indica nella F.lli B. s.r.l. una delle utilizzatrici delle società cartiere da lui create, ha ritenuto ragionevolmente che l’Ufficio avesse addotto elementi e circostanze così rilevanti da gravare a quel punto il contribuente dell’onere della prova dell’effettività dell’operazione e della non consapevolezza dell’esistenza di una operazione diretta ad evadere il pagamento dell’IVA e ha ritenuto, altrettanto ragionevolmente, che le sole circostanze dell’effettiva recezione della merce e del pagamento delle stesse (senza il ricorrente abbia neppure allegato che il pagamento sia avvenuto al prezzo effettivo di mercato) non siano sufficienti a ritenere assolta da parte del contribuente la prova di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto;

ritenuto pertanto che il primo e il secondo motivo di impugnazione sono fondati mentre il terzo ed il quarto sono infondati, il ricorso dell’Agenzia delle entrate va accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia-Romagna, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.

PQM

La Corte accoglie il primo e il secondo motivo di impugnazione, respinge il terzo ed il quarto, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia-Romagna, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 27 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 1 marzo 2021

 

 

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