Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5577 del 01/03/2021

Cassazione civile sez. VI, 01/03/2021, (ud. 27/01/2021, dep. 01/03/2021), n.5577

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCIOTTI Lucio – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30499-2019 proposto da:

B.G., BO.GI., B.D., tutti in proprio

e nella qualità di ex soci della “V.D.B. SAS DI B. D. &

C.”, nonchè nella loro qualità di eredi di P.D.,

B.V., anch’egli nella propria qualità di erede di

P.D., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CICERONE, 28, presso lo

studio dell’avvocato ANTONIO BUONFIGLIO, rappresentati e difesi

dagli avvocati MARIO MARTELLI, GIOVANNI CALICETI;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1848/3/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE dell’EMILIA ROMAGNA, depositata il 03/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 27/01/2021 dal Consigliere Relatore Dott. LORENZO

DELLI PRISCOLI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

la parte contribuente proponeva ricorso avverso un avviso di accertamento relativo al periodo di imposta 2007;

la Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso della parte contribuente;

la Commissione Tributaria Regionale accoglieva l’appello dell’Agenzia delle entrate affermando che B.G. ha gestito personalmente e materialmente l’amministrazione della VDB s.a.s. e tenuto i rapporti con clienti e fornitori comportandosi quindi come amministratore di fatto della società di cui poi è diventato liquidatore mentre per tutti i soci accomandanti, in virtù dell’art. 2324 c.c., è pacifico che l’estinzione della società, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese non determina l’estinzione dell’obbligazione sociale ma solo il suo trasferimento in capo ai soci i quali ne rispondono secondo lo stesso regime di responsabilità vigente pendente societate e che inoltre devono essere confermate le sanzioni irrogate; spetta inoltre all’Amministrazione finanziaria che contesti l’inesistenza, anche soggettiva, delle operazioni fatturate, dimostrare, anche in via presuntiva, che il soggetto sapeva o avrebbe dovuto sapere che la propria operazione partecipava ad un’operazione che si iscriveva in una frode IVA: tuttavia per la prova presuntiva che ammette prova contraria, cosicchè il contribuente potrà provare di non essere a conoscenza che prestazione non sia stata effettivamente resa dal fatturante – è sufficiente che quest’ultimo sia sfornito di dotazione personale e strumentale adeguata alla sua esecuzione: nella specie è incontestato che le società con le quali la contribuente ha intrattenuto rapporti sono del tutto prive di strutture aziendali, che tra queste si annoverano evasori totali non avendo mai presentato alcuna dichiarazione fiscale e che nel suo interrogatorio Z.R. indica nella F.lli B. s.r.l. una delle utilizzatrici delle società cartiere da lui create e le circostanze che la merce è stata effettivamente ricevuta e ne è stato versato il corrispettivo non sono idonee di per sè a dimostrare la frode;

la parte contribuente proponeva ricorso affidato a tre motivi di impugnazione e in prossimità dell’udienza depositava memoria chiedendo che la causa sia decisa in pubblica udienza e comunque insistendo per l’accoglimento del ricorso, mentre l’Agenzia delle entrate si costituiva con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

con il primo motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la parte contribuente denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 17,artt. 2313,2324 e 2945 c.c., in quanto la CTR non ha considerato che, per i soci accomandanti, vale il principio della limitazione della responsabilità prevista dall’art. 2324 c.c., ragion per cui i creditori sociali (e tra questi l’Ufficio) non soddisfatti nella liquidazione dell’ente possono far valere i loro crediti per tributi e sanzioni nei confronti degli accomandanti limitatamente alla loro quota di liquidazione;

con il secondo motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la parte contribuente denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 17,artt. 2313,2324 e 2945 c.c., in quanto la CTR ha violato la norme e la giurisprudenza applicabili alla fattispecie laddove ha considerato amministratore di fatto il sig. B.G., nonostante l’Ufficio non avesse mai provato che egli esercitasse il controllo della gestione della società;

con il terzo motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la parte contribuente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 112,113,115 e 116 c.p.c., del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, del D.P.R. n. 917 del 1986 (T.U.I.R.), art. 109, del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 21 e 54, nonchè artt. 2697,2727,2729 c.c., in quanto la CTR non ha spiegato se la prova presuntiva e meramente indiziaria della frode offerta dall’Ufficio fosse dotata di quel sufficiente grado di gravità e precisione e concordanza la cui verificata esistenza ne consente l’utilizzo in sede di accertamento tributario e la cui verificata validità ed effettività ingenera l’inversione della prova a carico del contribuente;

ritenuto che il primo motivo è fondato in quanto, secondo questa Corte, dopo la riforma del diritto societario, attuata dal D.Lgs. n. 6 del 2003, qualora all’estinzione della società, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale: a) l’obbligazione della società non si estingue, ciò che sacrificherebbe ingiustamente il diritto del creditore sociale, ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, “pendente societate”, fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali; b) i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o comunione indivisa, con esclusione delle mere pretese, ancorchè azionate o azionabili in giudizio, e dei crediti ancora incerti o illiquidi, la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un’attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale), il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato, a favore di una più rapida conclusione del procedimento estintivo (Cass. SU n. 6070 del 2013; n. 23269 del 2016; Cass. 15474 del 2017; Cass. nn. 13386 e 33554 del 2019);

considerato che nella specie sono gli stessi soci, al termine delle motivazioni del primo motivo di impugnazione, a dedurre analiticamente di aver riscosso in seguito alla liquidazione della società, somme nettamente inferiori rispetto al credito vantato dall’Ufficio e il cui pagamento è stato chiesto per intero e indistintamente a tutti i soci senza distinzione tra accomandatari e accomandanti che si sono ingeriti nella gestione della società – che quindi rispondono illimitatamente dei debiti sociali anche dopo l’estinzione della società e accomandanti che non si siano ingeriti in suddetta gestione;

considerato altresì che, secondo Cass. n. 619 del 2021, “questa Corte si è andata ormai consolidando nell’affermare che non è dirimente la circostanza che i soci abbiano goduto o no di un qualche riparto in base al bilancio finale di liquidazione ai fini dell’esclusione dell’interesse ad agire del Fisco creditore, sicchè l’assenza nel bilancio di liquidazione della società estinta di ripartizioni agli ex soci non esclude “l’interesse dell’Agenzia a procurarsi un titolo nei confronti dei soci, in considerazione della natura dinamica dell’interesse ad agire, che rifugge da considerazioni statiche allo stato degli atti” Cass. n. 12953/2017, Cass. n. 9672/2018, Cass. n. 17243/2018, Cass. n. 29117/2018″ e “ne consegue che il limite di responsabilità dei soci di cui all’art. 2495 c.c., non incide sulla loro legittimazione processuale rispetto all’atto di accertamento emesso nei loro confronti ma, al più, sull’interesse ad agire dei creditori sociali, interesse che, tuttavia, non è di per sè escluso dalla circostanza che i soci non abbiano partecipato utilmente alla ripartizione finale potendo, ad esempio, sussistere beni e diritti che, sebbene non ricompresi nel bilancio di liquidazione della società estinta, si sono trasferiti ai soci” (Cass. n. 897/2019, Cass., 8 marzo 2017, n. 5988; Cass., 7 aprile 2017, n. 9094; Cass., 16 giugno 2017, n. 15035; Cass., 24 gennaio 2018, n. 1713; Cass., 19 aprile 2018, n. 9672; Cass., 5 giugno 2018, n. 14446; Cass., 18 dicembre 2019, n. 33582, Cass. n. 12758/2020, Cass. n. 26402/2020″ come del resto affermato sub b) dal precedente giurisprudenziale sopra riportato);

considerato inoltre che i soci non rispondono delle sanzioni irrogate dall’Ufficio in quanto “a seguito dell’estinzione della società, le sanzioni amministrative a carico di quest’ultima per la violazione di norme tributarie non sono trasmissibile ai soci ed al liquidatore, trovando applicazione nel D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 8, che sancisce l’intrasmissibilità delle stesse agli eredi, in armonia con il principio della responsabilità personale, codificato dal detto decreto, art. 2, comma 2, nonchè, in materia societaria, con il D.L. n. 269 del 2003, art. 7, comma 1, conv., con modif., in L. n. 326 del 2003, che ha introdotto la regola della riferibilità esclusiva alle persone giuridiche delle sanzioni amministrative tributarie” (Cass. n. 9094 del 2017);

ritenuto che la CTR non si è attenuta ai suddetti principi laddove per un verso – pur dove aver affermato in motivazione che l’estinzione della società, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese non determina l’estinzione dell’obbligazione sociale ma solo il suo trasferimento in capo ai soci i quali ne rispondono secondo lo stesso regime di responsabilità vigente pendente societate ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, “pendente societate”, fossero limitatamente (perchè soci accomandanti che non si siano ingeriti nella gestione della società) o illimitatamente responsabili (perchè soci accomandatari o soci accomandanti che si siano ingeriti nella gestione della società) per i debiti sociali – ha affermato che “deve pronunciarsi la nullità della sentenza impugnata” e ha accolto l’appello dell’Ufficio, così non provvedendo ad individuare i limiti entro i quali, nel rispetto dei principi sopra indicati, i soci accomandanti che non si siano ingeriti nella gestione sociale rispondano dei debiti fiscali residuati pur dopo l’estinzione della società e per un altro verso ha ritenuto dovute le sanzioni senza tenere conto dei principi sopra riportati che affermano che i soci – a prescindere dall’essere loro responsabili limitatamente o illimitatamente – non rispondono, dopo l’estinzione della società, delle sanzioni irrogate dall’Ufficio;

ritenuto che il secondo motivo – innanzitutto inammissibile da un lato là dove censura l’inidoneità degli elementi probatori addotti dall’amministrazione finanziaria, in quanto tale doglianza si risolve in una non consentita richiesta alla Corte di rivalutazione del materiale probatorio esaminato dal giudice di merito (cfr., ex multis, Cass., Sez. U, n. 34476 del 2019; Cass., Sez. U, n. 24148 del 2013; Cass. n. 91 del 2014) e dall’altro perchè deduce una violazione di legge e quindi la censura incorre nel profilo di inammissibilità conseguente all’ontologica incompatibilità tra i due vizi di legittimità (error in iudicando e vizio motivazionale), ripetutamente affermata da questa Corte, in considerazione del diverso oggetto dell’attività del Giudice cui si riferisce la critica: attività interpretativa della fattispecie normativa astratta, nel primo caso, ed attività valutativa della fattispecie concreta emergente dalle risultanze probatorie, nel secondo caso (cfr. Cass. n. 6224 del 2002, n. 15499 del 2004, n. 10295 del 2007, n. 16698 del 2010, n. 9185 del 2011, n. 8315 del 2013, n. 195 del 2016, n. 19188 del 2017) – è comunque infondato in quanto, secondo l’art. 2321 c.c., dettato in tema di società in accomandita semplice, “i soci accomandanti non possono compiere atti di amministrazione, nè trattare o concludere affari in nome della società, se non in forza di procura speciale per singoli affari. Il socio accomandante che contravviene a tale divieto assume responsabilità illimitata e solidale verso i terzi per tutte le obbligazioni sociali”: la Commissione Tributaria Regionale, nell’affermare che ” B.G. ha gestito personalmente e materialmente l’amministrazione della VDB s.a.s. e tenuto i rapporti con clienti e fornitori comportandosi quindi come amministratore di fatto della società” si è attenuta fedelmente a tale norma, spiegando perchè B.G. debba essere considerato amministratore di fatto e quindi considerando pienamente raggiunta la prova della sua intromissione negli affari sociali che ne determina la sua responsabilità illimitata;

ritenuto che il terzo motivo è parimenti infondato in quanto, secondo questa Corte, nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti, è onere dell’Amministrazione che contesti il diritto del contribuente a portare in deduzione il costo ovvero in detrazione l’IVA pagata su fatture emesse da un concedente diverso dall’effettivo cedente del bene o servizio, dare la prova che il contribuente, al momento in cui acquistò il bene od il servizio, sapesse o potesse sapere, con l’uso della diligenza media, che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si è iscritta in un’evasione o in una frode. La dimostrazione può essere data anche attraverso presunzioni semplici, valutati tutti gli elementi indiziari agli atti, attraverso la prova che, al momento in cui ha stipulato il contratto, il contribuente è stato posto nella disponibilità di elementi sufficienti per un imprenditore onesto che opera sul mercato e mediamente diligente, a comprendere che il soggetto formalmente cedente il bene al concedente aveva, con l’emissione della relativa fattura, evaso l’imposta o compiuto una frode (Cass. n. 5873 del 2019);

in tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, nè la regolarità della contabilità e dei pagamenti, nè la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi (Cass. n. 27566 del 2018);

in tema di detrazione dell’IVA correlata ad operazioni inesistenti, la prova che il soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che la cessione dei beni si iscriveva in un’evasione dell’imposta sul valore aggiunto, in linea con la giurisprudenza della Corte di giustizia (Corte giustizia 22 ottobre 2015, C-277/14), può essere fornita dall’Amministrazione anche mediante presunzioni – come espressamente prevede il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54, comma 2 – valorizzando, nel quadro indiziario, quali elementi sintomatici della mancata esecuzione della prestazione dal fatturante, l’assenza della minima dotazione personale e strumentale adeguata alla predetta esecuzione, l’immediatezza dei rapporti (cedente/prestatore fatturante interposto e cessionario/committente), una conclamata inidoneità allo svolgimento dell’attività economica e la non corrispondenza tra i cedenti e la società coinvolta nell’operazione (Cass. n. 5339 del 2020);

in tema di IVA, qualora l’Amministrazione finanziaria contesti che la fatturazione attiene ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, incombe sulla stessa l’onere di provare la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi specifici, che il contribuente fosse a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto incombente istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto (Cass. n. 15369 del 2020);

ritenuto che la sentenza impugnata ha fatto un uso corretto dei suddetti principi di diritto, in quanto, dopo aver rilevato che è incontestato che le società con le quali la contribuente ha intrattenuto rapporti sono del tutto prive di strutture aziendali, che tra queste si annoverano evasori totali non avendo mai esse presentato alcuna dichiarazione fiscale e che nel suo interrogatorio Z.R. indica nella F.lli B. s.r.l. una delle utilizzatrici delle società cartiere da lui create, ha ritenuto ragionevolmente che l’Ufficio avesse addotto elementi e circostanze così rilevanti da gravare a quel punto il contribuente dell’onere della prova dell’effettività dell’operazione e della non consapevolezza dell’esistenza di una operazione diretta ad evadere il pagamento dell’IVA e ha ritenuto, altrettanto ragionevolmente, che le sole circostanze dell’effettiva recezione della merce e del pagamento delle stesse (senza il ricorrente abbia neppure allegato che il pagamento sia avvenuto al prezzo effettivo di mercato) non siano sufficienti a ritenere assolta da parte del contribuente la prova di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto;

ritenuto pertanto fondato il primo motivo di impugnazione e infondati il secondo ed il terzo, il ricorso dell’Agenzia delle entrate va accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia-Romagna, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di impugnazione, respinge il secondo ed il terzo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia-Romagna, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 27 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 1 marzo 2021

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