Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5576 del 21/02/2022

Cassazione civile sez. VI, 21/02/2022, (ud. 21/10/2021, dep. 21/02/2022), n.5576

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Lucia – Presidente –

Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. BUFFA Francesco – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 34280-2019 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE, (OMISSIS), Ente Pubblico

Economico, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA DEL POPOLO, presso lo

studio dell’avvocato NUNZIO RIZZO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

I.A.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 305/2019 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 17/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 21/10/2021 dal Consigliere Relatore Dott. GABRIELLA

MARCHESE.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. La Corte di appello di Napoli, con la sentenza in epigrafe, ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva condannato l’Agenzia delle Entrate, già Equitalia Sud, al pagamento, in favore di I.A., della somma di Euro 38.821,49, oltre accessori, a titolo di rinnovi contrattuali, premi di produttività e incentivi economici non pagati dalla società durante il periodo del suo licenziamento poi dichiarato illegittimo;

2. la Corte territoriale, a fondamento della decisione, ha rilevato che: a) il ricorso introduttivo relativo all’impugnativa di licenziamento non poteva ricomprendere le somme oggetto di giudizio perché la retribuzione globale di fatto era stata quantificata sulla base di voci retributive esistenti al momento del recesso e nella loro entità all’epoca del licenziamento stesso; b) conseguentemente, sul punto non poteva essere modificata la domanda o proposto appello perché il danno, al momento della proposizione del (primo) giudizio, non si era ancora verificato; c) il quantum (del nuovo credito azionato) era stato esattamente determinato e la società aveva genericamente contestato le somme liquidate dal Tribunale;

3. avverso la decisione, ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate Riscossione, Ente Pubblico Economico, affidato a tre motivi, cui non ha opposto difese il lavoratore;

4. la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di consiglio non partecipata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

5. con il primo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – è dedotta la violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, per avere la Corte di merito erroneamente affermato che la retribuzione globale di fatto, alla quale commisurare il risarcimento dei danni per l’illegittimo licenziamento, doveva parametrarsi alla retribuzione che il dipendente avrebbe percepito se avesse lavorato, da tanto facendo derivare la inclusione, nella stessa, degli aumenti contrattuali nelle more intervenuti dopo il licenziamento e fino alla sentenza di reintegra;

6. con il secondo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., degli artt. 112,324 e 420 c.p.c., della L. n. 300 del 1970, art. 18, per avere erroneamente la Corte di merito, disattendendo il giudicato intervenuto e violando il principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, ritenuto che al lavoratore andassero liquidati gli ulteriori emolumenti maturati nel periodo dal licenziamento (e per esso dalla domanda) alla sentenza di annullamento del licenziamento medesimo. Si assume che, nella originaria domanda, alcuna riserva era stata prevista in ordine ad aumenti di retribuzione che sarebbero potuti intervenire successivamente al licenziamento ovvero alla domanda e che alcun appello incidentale, sul punto, era stato presentato avverso la sentenza che dichiarava la illegittimità del licenziamento;

7. con il terzo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 – è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 416 c.p.c., per avere la Corte di appello ritenuto genericamente contestato il calcolo delle somme dovute, come operato dal Tribunale, e per avere ritenuto che non fosse stata fornita prova dell’erogazione, in eccedenza, della somma di Euro 20.492,73;

8. deve premettersi che altro giudizio, avente ad oggetto questioni sostanzialmente analoghe a quelle poste con il presente ricorso, è stato definito dalla Corte con pronuncia di rigetto (v. Cass. n. 23820 del 2021);

9. ciò posto, venendo allo scrutinio dei primo motivo, lo stesso non si confronta con la effettiva ratio decidendi della sentenza impugnata che ha ritenuto la fondatezza della pretesa del lavoratore non perché gli adeguamenti e i premi previsti per effetto di accordi collettivi nazionali ed aziendali, intervenuti successivamente, andassero ad incidere sulla nozione di retribuzione globale di fatto posta a base della determinazione della indennità risarcitoria ma piuttosto perché rappresentavano “ulteriori e diversi crediti che erano inesistenti al momento del licenziamento”;

10. tali affermazioni dovevano indurre parte ricorrente a modulare diversamente le censure in modo, eventualmente, da incrinare il fondamento giustificativo delle argomentazioni svolte dai giudici di merito; viceversa, come sviluppate, restano prive di riferibilità alla decisione impugnata e sono pertanto inammissibili (v., ex plurimis, Cass. n. 20652 del 2009; n. 17125 del 2007; in motivazione, Cass. n. 9384 del 2017);

11. in ordine al secondo motivo, osserva il Collegio che esso, oltre a presentare profili di inammissibilità, per difetto di specificità “sia sul contenuto sia sul deposito rite et recte, nel presente giudizio, dei documenti ivi indicati, in particolare del ricorso di primo grado del 23.2.2006 e della sentenza della Corte di appello di Napoli 6.11.2008”, è infondato perché, nella fattispecie, non vi è stata alcuna lesione del giudicato formatosi in tema di licenziamento, ma la formulazione di una domanda, qualificata, sostanzialmente, come nuova e autonoma, rispetto alla quale il licenziamento, dichiarato illegittimo, ha rappresentato un antecedente di mero fatto;

12. nessun rilievo assume, dunque, la questione, pure sollevata dal ricorrente, in ordine alla necessità di prospettare una eventuale “riserva” di ulteriori danni derivanti dal licenziamento illegittimo;

13. come affermato in questa sede di legittimità (v. Cass. n. 23820 del 2021 cit. che richiama, a tale riguardo, Cass. n. 6091 del 2020) il giudicato copre dedotto e deducibile in relazione al medesimo oggetto e, pertanto, non soltanto le ragioni giuridiche e di fatto esercitate in giudizio, ma anche tutte le possibili questioni, proponibili in via di azione o eccezione, che, sebbene non dedotte specificamente, costituiscano precedenti logici, essenziali e necessari, della pronuncia, ma non può spiegare i suoi effetti in ordine alle questioni che non potevano essere proposte, per non essere sorto il fatto giuridico da cui scaturiscono;

14. alcuna riserva, pertanto, in relazione a fatti non ancora venuti in essere e di cui non era neanche certo il loro accadimento, sarebbe stata ammissibile, difettando per l’allora ricorrente l’intero ed effettivo panorama delle conseguenze dannose subite;

15. anche il terzo motivo è infondato;

12. per un verso, il giudice del merito ha deciso il profilo controverso non in applicazione della regola processuale di riparto dell’onere probatorio ma sulla base di un complessivo accertamento di merito; per altro verso, il fatto storico denunziato come omesso nella censura (id est: il versamento in eccedenza della somma di Euro 20.492,73) è stato valutato dalla Corte di merito che, tuttavia, è pervenuta a conclusioni diversi da quelle auspicate. La sentenza impugnata non e’, dunque, incorsa nel vizio dli cui all’art. 360 c.p.c., comma 5, come delineato dalle SS.UU. di questa Corte con le pronunce nn. 8053 e 8054 del 2014;

14. sulla base delle esposte argomentazioni, il ricorso deve essere rigettato;

15. non vi è luogo a regolazione di spese, in difetto di attività difensiva da parte dell’intimato;

16. deve, invece, darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, del raddoppio del contributo unificato, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 21 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2022

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