Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5573 del 28/02/2020

Cassazione civile sez. I, 28/02/2020, (ud. 01/10/2019, dep. 28/02/2020), n.5573

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. ANDRONIO Alessandro Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

D.W., nato in Senegal il 18 febbraio 1994, elettivamente

domiciliato in Padova, vicolo Buonarroti 2, presso lo studio

dell’avv. Maria Monica Bassan, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, ((OMISSIS)), rappresentato e difeso ex lege

dall’Avvocatura generale dello Stato e domiciliato nei suoi uffici

di Roma, via dei Portoghesi 12;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di VENEZIA depositato il 23/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 01/10/2019 dal consigliere Alessandro M. Andronio.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con decreto n. 2188/2018, comunicato il 23 aprile 2018, il Tribunale di Venezia ha rigettato il ricorso proposto dall’interessato avverso il provvedimento di diniego della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Padova.

2. Avverso il provvedimento l’interessato ha proposto ricorso per cassazione, deducendo:1) la mancanza di motivazione in relazione alla credibilità delle dichiarazioni da lui rese; 2) la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per mancata valutazione della situazione del suo paese di origine, ai fini del riconoscimento della sussistenza dei presupposti per il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari. Si lamenta che il Tribunale non avrebbe considerato il concreto pericolo corso dal richiedente, sia per le minacce che avrebbe ricevuto da banditi assoldati dai genitori di una ragazza minorenne a cui dava ripetizioni e della quale avrebbe abusato sessualmente, sia per il pericolo di subire trattamenti inumani in caso di arresto, sia per la situazione di conflitto armato presente nel paese.

3. L’amministrazione intimata si è costituita, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso è inammissibile.

Va premesso che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, in materia di protezione umanitaria, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione di integrazione raggiunta nel paese d’accoglienza (ex multis, Sez. 1, n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298 – 01). E deve ricordarsi, inoltre, che l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato (Sez. U, n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062 – 02). Tale valutazione comparativa è stata compiutamente effettuata dal Tribunale, che con argomentazioni del tutto logiche e coerenti e, dunque, insindacabili in sede di legittimità – ha ritenuto non credibile la versione fornita dall’interessato, secondo cui egli era stato perseguitato a causa di una pretesa violenza sessuale commessa ai danni di una ragazza, rilevando l’assoluta genericità della versione dei fatti da lui riportata, che è risultata stereotipata, in mancanza di elementi circostanziali caratterizzanti; cosicchè non può essere ritenuto sussistente il paventato pericolo di arresto e di conseguenti trattamenti inumani. Il Tribunale ha anche accertato l’insussistenza di una situazione generalizzata di pericolo nel paese di origine, spingendo il suo sindacato ben oltre la generica prospettazione dell’interessato, sulla base di documentazione proveniente da organizzazioni internazionali e associazioni umanitarie, presa in considerazione d’ufficio, giungendo ad accertare che egli non presenta profili di vulnerabilità nel suo paese di origine.

2. Il ricorrente soccombente deve essere condannato alla rifusione delle spese sostenute dall’amministrazione resistente, da liquidarsi in Euro 2.100,00, oltre spese prenotate a debito.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese di controparte, che liquida in Euro 2.100,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 1 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2020

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