Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5573 del 08/03/2010

Cassazione civile sez. II, 08/03/2010, (ud. 09/02/2010, dep. 08/03/2010), n.5573

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. ODDO Massimo – Consigliere –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – rel. Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, PIAZZA DEI PRATI DEGLI STROZZI 30, presso lo studio

dell’avvocato MOLFESE FRANCESCO, rappresentato e difeso dall’avvocato

MILLEMACI TEOBALDO;

– ricorrente –

e contro

D.F.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2262/2004 del TRIBUNALE di MESSINA, depositata

il 13/09/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del

09/02/2010 dal Consigliere Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SCARDACCIONE Eduardo Vittorio che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

C.G. proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso dal giudice di pace di Messina su ricorso del condominio (OMISSIS) per il pagamento di L. 1.560.000 a titolo di quote condominiali. Deduceva l’opponente: a) la mancanza di titolarita’ del credito in capo al condominio spettando la somma in questione eventualmente all’amministrazione autonoma dell’edificio (OMISSIS); b) l’inapplicabilita’ dell’art. 63 disp. att. c.c. non essendo stato costituito un condominio; c) la legittimita’ del rifiuto di esso opponente di pagare le quote condominiali non essendogli stata comunicata la copia del verbale di assemblea relativo alla investitura dell’amministratore; d) l’errata quantificazione delle somme richieste.

Il condominio si costituiva e chiedeva il rigetto dell’opposizione sostenendone l’infondatezza.

Con sentenza 362/00 il giudice di pace di Messina rigettava l’opposizione.

Avverso la detta sentenza il C. proponeva appello al quale resisteva D.F. nella qualita’ di amministratore pro tempore del condominio (OMISSIS).

Con sentenza 13/9/2005 il tribunale di Messina dichiarava inammissibile l’appello osservando: che con l’atto di opposizione il C., oltre a contestare l’entita’ del credito e a sostenere di non aver avuto formale conoscenza della nomina dell’amministratore del condominio, aveva eccepito la mancanza di titolarita’ in capo al condominio del credito in questione spettando tale titolarita’ all’Amministrazione autonoma dell’edificio (OMISSIS) per la gestione delle parti comuni e dei servizi prevista dal D.P.R. n. 1035 del 1972, art. 20 e posta in essere in virtu’ di convenzione tra l’IACP di (OMISSIS) ed i conduttori degli alloggi; che l’opponente, quindi, aveva eccepito l’illegittimita’ della costituzione del condominio assumendo implicitamente anche la nullita’ della delibera assembleare di costituzione e della successiva delibera di approvazione del rendiconto del 1998 e del bilancio di previsione de 1999; che l’opponente non aveva mai chiesto la dichiarazione di nullita’ delle citate delibere essendosi limitato ad ampliare l’oggetto dell’accertamento estendendolo alla verifica della legittima costituzione del condominio, al mero fine di paralizzare la pretesa creditoria (c.d. eccezione riconvenzionale); che di conseguenza il merito della questione posta dall’opponente (regolarita’ o meno della costituzione del condominio e delle relative delibere) doveva essere vagliata solo quale necessario antecedente logico per decidere sul fondamento della domanda del condominio, senza estensione del giudicato su tale questione; che pertanto l’eccezione prospettata dall’opponente non integrava una domanda riconvenzionale in senso tecnico poiche’, pur ampliando l’oggetto dell’accertamento, si risolveva di fatto in un mero mezzo di difesa finalizzato a paralizzare l’azione dell’attore, senza dar luogo ad un giudicato sulla questione pregiudiziale rappresentata dalla regolarita’ delle delibere assembleari; che quindi l’opposizione al decreto ingiuntivo non aveva determinato un ampliamento del “petitum” con la conseguenza che il giudice di pace si era pronunciato su una domanda avente un valore inferiore ad Euro 1302,91 per cui la sentenza impugnata era inappellabile ex art. 339 c.p.c..

La cassazione della sentenza del tribunale di Messina e’ stata chiesta da C.G. con ricorso affidato a due motivi illustrati da memoria. L’intimato D.F., quale amministratore del condominio (OMISSIS), non ha svolto attivita’ difensiva in questa sede di legittimita’.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso C.G. denuncia violazione degli artt. 10, 34, 43, 132, 324, 342, 354 c.p.c. deducendo che il tribunale, con la sentenza impugnata, ha dichiarato che, in conseguenza dell’opposizione a decreto ingiuntivo, il giudice era obbligato a vagliare il merito della questione posta dall’opponente (regolarita’ o meno della costituzione del condominio e delle relative delibere) in quanto era l’antecedente logico per decidere il fondamento della domanda del condominio e che, non essendo necessario decidere con efficacia di giudicato la detta questione pregiudiziale introdotta con l’opposizione, non restava ampliato il valore della causa e l’appello doveva essere dichiarato inammissibile. In conseguenza il giudice di appello non ha esaminato l’eccezione di nullita’ della sentenza di primo grado malgrado le gravi violazioni denunciate sul diritto di difesa ed ha omesso il riesame dei motivi di opposizione richiamati nell’atto di appello. La detta statuizione contrasta con quanto la giurisprudenza ha precisato ritenendo che la questione avente ad oggetto l’accertamento della validita’ o meno della delibera assembleare, dalla quale scaturisce la pretesa del condominio, costituisce causa pregiudiziale da decidere con efficacia di giudicato in quanto destinata a produrre conseguenze giuridiche oltre il rapporto controverso per cui l’accertamento richiesto non si puo’ compiere “incidenter tantum”. Il giudice di pace, quindi, in base a quanto disposto dagli artt. 35 e 36 c.p.c., doveva rimettere la causa al giudice superiore. Non avendo a cio’ ottemperato, la sentenza di primo grado era appellabile in relazione a tutti i capi.

Il motivo e’ infondato.

Occorre premettere che la determinazione del valore della causa, al fine di stabilire se una sentenza del giudice di pace e’ appellabile o ricorribile, va effettuata con riferimento all’oggetto della domanda su cui e’ chiesto al giudice di pronunciasi con autorita’ di giudicato, dovendo in tali limiti essere contenuto il “thema decidendum”.

Al riguardo va rilevato che questa Corte ha avuto modo piu’ volte di affermare i seguenti principi:

– al fine di stabilire se la domanda proposta davanti al giudice di pace debba o meno essere decisa secondo equita’, ai sensi dell’art. 113 c.p.c., comma 2, occorre far riferimento al petitum originario, non essendo rilevante l’eventuale riduzione della domanda in corso di causa e derivando tale irrilevanza non gia’ dal disposto dell’art. 5 c.p.c. (secondo cui la competenza si determina con riferimento allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda), bensi’ da quello dell’art. 10 c.p.c. (secondo cui il valore della causa, ai fini della competenza, si determina dalla domanda), che va inteso come riferito alla domanda proposta con l’atto introduttivo del giudizio. Del resto, conferendo rilievo alle riduzioni della domanda nel corso del processo, si attribuirebbe all’attore la possibilita’ di cambiare le regole del giudizio a proprio piacimento ed eventualmente sulla base di una prognosi sfavorevole dei risultati di un giudizio secondo diritto, il che e’ da evitare procedendo ad una interpretazione costituzionalmente orientata in relazione all’art. 24 Cost. (sentenza 3/3/2006 n. 4716);

– la “esplicita domanda di una delle parti”, occorrente, ai sensi dell’art. 34 c.p.c., per la trasformazione della questione pregiudiziale in causa pregiudiziale, non esige un’apposita istanza ma e’ pur sempre necessario che essa risulti in modo inequivoco dalle deduzioni e conclusioni della parte interessata (sentenza 5/6/2007 n. 13173);

– la questione pregiudiziale idonea ad incidere sulla competenza del giudice adito, ai sensi dell’art. 34 c.p.c., postula non solo che sia investito un punto costituente un antecedente logico necessario, di fatto o di diritto, rispetto alla decisione della controversia principale, ma anche che tale punto assuma rilievo autonomo, in quanto destinato a proiettare le sue conseguenze giuridiche, oltre il rapporto controverso, su altri rapporti, al di fuori della causa, con la formazione della cosa giudicata a tutela di un interesse che trascende quello inerente alla soluzione della controversia nel cui ambito la questione e’ stata sollevata (sentenza 12/7/2005 n. 14578);

– la determinazione del valore della causa ai fini della individuazione del giudice competente deve avvenire con riferimento al momento in cui la domanda viene proposta, per cui, una volta fissata la competenza del giudice in base alle pretese fatte valere nell’atto introduttivo del giudizio e alle eventuali contestazioni e richieste svolte dal convenuto nella prima difesa, sono prive di rilevanza le successive modifiche. Ne segue che, al fine di stabilire se la domanda proposta davanti al giudice di pace debba o meno essere decisa secondo equita’, ai sensi dell’art. 113 c.p.c., comma 2, occorre far riferimento al petitum originario, non essendo rilevante le eventuale ampliamento della domanda in corso di causa (sentenza 18/9/2006 n. 20118);

– affinche’ una questione pregiudiziale possa trasformarsi in una causa pregiudiziale non e’ sufficiente che vi sia esplicita richiesta di una delle parti ex art. 34 c.p.c., ma e’ necessario che l’istante abbia un interesse a far valere l’accertamento con efficacia autonoma, anche al di fuori del giudizio in corso (sentenza 5/8/1998 n. 7691).

Cio’ posto va rilevato che – come risulta dagli atti processuali la cui lettura e’ consentita in questa sede di legittimita’ attesa la natura in procedendo dei vizi denunciati con il motivo di ricorso in esame – il C., con l’atto di opposizione avverso il decreto ingiuntivo ottenuto dal condominio intimato per il pagamento di quote condominiali per L. 1.560.000 (somma inferiore a quella indicata dall’art. 113 c.p.c.), si limito’ a chiedere la dichiarazione di nullita’, annullamento o inefficacia del decreto opposto sostenendo:

a) l’insussistenza del credito in questione in capo al condominio opposto spettando tale credito ad altro soggetto; b) la mancata comunicazione ad esso opponente del verbale d’assemblea condominiale con la quale era stato nominato l’amministratore nella persona che aveva chiesto il decreto monitorio. Nessuna richiesta risulta essere stata formulata con l’atto di opposizione volta ad ottenere la dichiarazione di nullita’ di delibere condominiali relative alla nomina dell’amministratore e, in particolare, all’approvazione del rendiconto del 1988 e al bilancio preventivo del 1999 (ossia le delibere poste a base della richiesta avanzata dal condominio).

In applicazione dei sopra enunciati principi va quindi affermato che – come posto in evidenza nella sentenza impugnata – il C. con l’atto di opposizione a decreto ingiuntivo non ha ampliato il “thema decidendum” come fissato con la richiesta di decreto ingiuntivo per cui la controversia in esame deve ritenersi contenuta entro i limiti indicati dal citato art. 113 c.p.c. per la pronuncia del giudice di pace secondo equita’.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 24 Cost., degli artt. 320, 321, 112, 113, 115 c.p.c. sostenendo che il tribunale, respingendo l’eccezione di inammissibilita’ doveva pronunciarsi sull’eccezione di nullita’ dichiarando la sentenza impugnata nulla in quanto, pur non essendo il giudice di pace obbligato a fissare una particolare udienza per la precisazione delle conclusioni, deve sempre consentire alle parti tale attivita’ processuale nel rispetto del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost..

Dal rigetto del primo motivo deriva logicamente l’inammissibilita’ del secondo con il quale il ricorrente prospetta una questione – asserita nullita’ della sentenza del giudice di pace per violazione del diritto di difesa – che avrebbe dovuto formare oggetto del ricorso per Cassazione avverso la detta sentenza e della quale coerentemente non si e’ occupata il tribunale con le decisione impugnata stante la preclusione derivante dall’inammissibilita’ dell’appello avverso la pronuncia di primo grado.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato. Nulla per le spese del giudizio di cassazione nel quale l’intimato non ha svolto attivita’ difensiva.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 9 febbraio 2010.

Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2010

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