Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5567 del 11/03/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 5567 Anno 2014
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: FERNANDES GIULIO

SENTENZA
sul ricorso 10199-2009 proposto da:
BERNABEI MARCELLO C.F. BRNMCL38CO3H501T, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA JACOPO DA PONTE 45, presso lo
studio dell’avvocato TUMIOTTO MARCELLO, che lo
rappresenta e difende giusta delega in atti;
– ricorrente 2013
3912

contro

SOCIETA’ CREDITO EMILIANO S.P.A. – GRUPPO BANCARIO
CREDITO EMILIANO – CREDEM S.P.A. C.F. 01806740153, in
persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domicíliata in ROMA, VIALE DI VILLA

Data pubblicazione: 11/03/2014

MASSIMO 33, presso lo studio dell’avvocato SICARI
GIORGIO, che la rappresenta e difende unitamente
all’avvocato TREVISAN DARIO, giusta delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 7595/2007 della CORTE D’APPELLO

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 20/12/2013 dal Consigliere Dott. GIULIO
FERNANDES;
udito l’Avvocato TUMIOTTO MARCELLO;
udito l’Avvocato LANZINGER GIANNI per delega TREVIS
DARIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ALBERTO CELESTE, che ha concluso per
l’inammissibilità in subordine rigetto.

di ROMA, depositata il 16/06/2008 r.g.n. 10135/2004;

FATTO
La Corte di appello di Roma, con sentenza del 16 giugno 2008, confermava
la decisione del primo giudice: a) di rigetto della domanda proposta da
Bernabei Marcello nei confronti del Credito Emiliano s.p.a. — Gruppo
Bancario Credito Emiliano – CREDEM s.p.a. intesa ad ottenerne la condanna
al risarcimento dei danni asseritamente subiti a seguito del grave
inadempimento al contratto di agenzia stipulato il 26.10.2000 dalla banca con
il ricorrente nonché al pagamento delle somme dovute in forza del rapporto

di lavoro instauratosi e di ogni altra indennità retributiva accessoria; b) di
accoglimento della domanda riconvenzionale proposta dalla banca con
condanna del Bernabei alla restituzione di euro 15.480,38 per provvigioni
indebitamente percepite.
La Corte territoriale rilevava:
che erano circostanze pacifiche tra le parti che il Bernabei non aveva
provveduto al reclutamento di 14 procacciatori di affari né aveva raggiunto gli
obiettivi minimi di raccolta come disposto dal punto 3 della lettera di intenti
scambiata tra le parti e che tra queste era intercorso solo un rapporto di
agenzia, poi disdettato dalla banca con raccomandata del 14.6.2002;
che il contratto di agenzia era senza esclusiva con l’espressa previsione per
la società di avvalersi anche di altri agenti;
che il minimo provvisionale pattuito non era dovuto non avendo il Bernabei
reclutato i promotori finanziari ( 7 nei primi otto mesi ed altri sette nei
successivi otto) né raggiunto i minimi di raccolta fissati;
che, pertanto, la pretesa condotta illecita del CREDEM — consistita nell’aver
impedito il detto reclutamento avendolo affidato anche ad un altro soggetto,
così ostacolando il raggiungimento degli obiettivi da parte del Bernabei — non
ricorreva avendo la banca agito nel rispetto delle previsioni contrattuali e,
dunque, nessun risarcimento del danno era dovuto;
che, con riferimento alla riconvenzionale spiegata dalla società, essendo
incontestato il mancato raggiungimento degli obiettivi minimi, vi era l’obbligo
per il Bernabei di restituzione degli anticipi sulle provvigioni.
Infine, la Corte evidenziava che la prova testimoniale articolata
dall’appellante nel ricorso introduttivo del giudizio era inammissibile o
superflua.
Per la cassazione di tale decisione propone ricorso il Bernabei affidato a
due motivi.
1

Resiste con controricorso il Credito Emiliano s.p.a. illustrato da memoria ex
art. 378 c.p.c..
DIRITTO
Con il primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1743
c.c. per non essersi pronunciata la Corte di merito sulla questione
fondamentale dedotta in giudizio costituita dall’aver il Bernabei lamentato
l’esautoramento dalle sue funzioni attuato dal Credito Emiliano che,
attraverso l’attività posta in essere da altri soggetti, lo aveva privato nei

mezzi per poter conseguire gli obiettivi prefissati e per non aver ammesso i
capi di prova volti a provare tale illecita condotta della banca.
Con il secondo motivo viene denunciata violazione e falsa applicazione
dell’art. 2697 c.c., insufficiente motivazione , nullità del procedimento ex art.
360 n. 4 c.p.c. nonché violazione e falsa applicazione degli artt. 134 c.p.c. e
111 co.1° Cost. in quanto la Corte di appello aveva erroneamente ritenuto le
0
circostanze di cui ai capi 1°, 2°, 3° e 7 della prova testimoniale superflui
risultando documentalmente od essendo incontestati — mentre non
emergevano dai documenti agli atti né erano incontestati – ed i capi 4°, 5° e
6° inammissibili perché aventi ad oggetto opinioni e non fatti laddove gli
stessi erano intesi a dimostrare che il ricorrente era stato privato del ruolo di
“branch manager” per essere relegato “in un cantuccio”.
I motivi si concludono con quesito di diritto.
Osserva il Collegio che il primo mezzo, nonostante il formale richiamo alla
violazione di norme di legge contenuto nell’intestazione, si risolve nella
denuncia di un vizio di motivazione della sentenza impugnata per errata
valutazione del materiale probatorio acquisito ai fini della ricostruzione dei
fatti.
La critica è infondata in base alla premessa, costantemente affermata da
questa Corte, che il controllo di legittimità sulla motivazione delle sentenze
riguarda unicamente (attraverso il filtro delle censure mosse con il ricorso) il
profilo della coerenza logico-formale delle argomentazioni svolte, in base
all’individuazione, che compete esclusivamente al giudice di merito, delle
fonti del proprio convincimento, raggiunto attraverso la valutazione delle
prove, il controllo della loro attendibilità e concludenza, scegliendo tra di esse
quelle ritenute idonee a sostenerlo all’interno di un quadro valutativo
complessivo privo di errori, di contraddizioni e di evidenti fratture sul piano
logico, nel suo intero tessuto ricostruttivo della vicenda (v. tra le molte, S.U.
5802/1998; Cass. 4770/2006 e Cass. 1754/2007). Nè appare sufficiente, sul
2

piano considerato, a contrastare le valutazioni del giudice di merito, il fatto
che alcuni elementi emergenti nel processo, e invocati dal ricorrente, siano in
contrasto con le valutazioni del giudice o con la sua ricostruzione
complessiva e finale. Il controllo, in sede di legittimità, sul giudizio di fatto del
giudice di merito non può infatti spingersi fino alla rielaborazione dello stesso
alla ricerca di una soluzione alternativa rispetto a quella ragionevolmente
raggiunta, da sovrapporre, in una sorta di terzo grado di giudizio di merito, a
quella operata nei due gradi precedenti, perché ritenuta la migliore possibile,

dovendosi viceversa muovere esclusivamente nei limiti segnati dall’art. 360
c.p.c., n. 5 ( per tutte: Cass. 6064/2008, Cass. 9477/2009).
E’ necessario, pertanto, che gli specifici dati della controversia, dedotti per
invalidare la motivazione della sentenza impugnata con ricorso per
cassazione, siano autonomamente dotati di una forza esplicativa o
dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento
svolto dal giudicante o determini, al suo interno, radicali incompatibilità sì da
vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la
motivazione (v. Cass. 24744/2006, Cass. 17076/2007).
Invero, la Corte di appello, con argomentazioni analitiche, logiche e prive di
contraddizioni ha valutato in modo puntuale ed approfondito tutto il materiale
istruttorio raccolto giungendo alle conclusioni riportate in narrativa.
Infondato è anche il secondo mezzo — che riprende quanto, sul punto, già
evidenziato nella parte finale del primo motivo – che genericamente censura
la motivazione con la quale la Corte di appello non ha ammesso la prova
testimoniale. In particolare, il motivo non contiene alcuna censura specifica al
rilievo contenuto nella impugnata sentenza in relazione al fatto che i motivi
IV, V e VI avevano ad oggetto solo opinioni. Con riferimento alle circostanze
di cui ai capi I, II, III e VII evidentemente la Corte le ha valutate – avendole
ritenute non contestate o provate documentalmente — e, comunque, esse
sono prive del requisito della decisività come dimostrato dalla motivazione
della impugnata sentenza.
Per quanto esposto il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio, per il principio della soccombenza, sono
poste a carico del ricorrente e vengono liquidate come da dispositivo in
favore del Credito Emiliano s.p.a..

P.Q.M.

3

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del presente
giudizio liquidate in euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre accessori
come per legge, ed euro 100,00 per esborsi.

Così deciso in Roma, il 20 dicembre 2013.

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