Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5564 del 28/02/2020

Cassazione civile sez. I, 28/02/2020, (ud. 09/07/2019, dep. 28/02/2020), n.5564

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Luigi Pietro – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 22220/2018 proposto da:

N.A., elettivamente domiciliato in Roma, Viale Manzoni, 81

presso lo studio dell’avvocato Emanuele Giudice che lo rappresenta e

difende giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., elettivamente

domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi, 12 presso l’Avvocatura

Generale dello Stato;

– intimato –

avverso la sentenza n. 780/2018 della Corte di appello di Torino,

pubblicata il 26/04/2018;

udita la relazione della causa svolta dal Cons. Dott. Laura Scalia

nella camera di consiglio del 09/07/2019.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. N.A. ricorre in cassazione con due motivi avverso la sentenza in epigrafe indicata con cui la Corte di appello di Torino, nel confermare l’ordinanza emessa D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35 e art. 702-bis c.p.c. dal locale Tribunale, ha rigettato le domande di riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria dal primo proposte, nella ritenuta insussistenza dei relativi presupposti di legge.

2. Il Ministero dell’Interno, intimato, non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente, originario del (OMISSIS), esponeva alla Commissione territoriale di Novara che aveva dovuto lasciare il suo Paese di origine nel 2004, sedicenne; nel racconto reso, il padre del ricorrente, capo di una Provincia al quale il Presidente aveva dato grossi quantitativi di riso per distribuirli gratuitamente, aveva invece venduto una buona parte del riso a terzi che lo avevano denunciato per corruzione alla polizia; in seguito alla denuncia il padre era stato arrestato ed era deceduto in carcere per le “botte” ricevute, nella condotta di resistenza posta in essere rispetto alla richiesta di restituzione dei soldi.

La polizia quindi dava fuoco alla casa del ricorrente che picchiava ed ammanettava dopo avergli richiesto, senza risultato, la restituzione del denaro.

Il richiedente, aiutato da amici, si rifugiava in (OMISSIS), nel (OMISSIS), presso una zia che poi lasciava per l’insicurezza del Paese, emigrando dapprima in Libia e quindi in Italia.

2. Con il primo motivo il ricorrente fa valere la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, per non avere la Corte di appello compiuto lo scrutinio di credibilità delle dichiarazioni rese in base ai parametri individuati dalla indicata norma.

La Corte territoriale avrebbe escluso la verosimiglianza del racconto senza fare alcun riferimento agli avvenimenti occorsi in (OMISSIS), antecedente logico dell’allontanamento del richiedente protezione, ed apprezzando invece la contraddizione nelle dichiarazioni rese dal primo su fatti meramente secondari della vicenda, e tanto per una lettura frazionata.

2.1. Il motivo è inammissibile.

Ai fini della concessione dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b) è indispensabile, anche ai fini dei necessari approfondimenti istruttori, la credibilità e l’attendibilità della narrazione dei fatti effettuata dal richiedente, si ha poi che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c).

Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra e parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Cass. n. 3340 del 05/02/2019).

La censurabilità del racconto da valere nei limiti suindicati di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – per i quali il giudice del merito è chiamato a valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c) che costituisce un parametro di attendibilità della narrazione – non può aversi, invero, per violazione di legge il cui vizio resta invece integrato nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa, con conseguente inammissibilità in subiecta materia (Cass. 3340/2019).

In mancanza di credibilità dell’istante deve, di conseguenza, escludersi la necessità e la possibilità stessa per il giudice di merito – laddove non vengano dedotti fatti attendibili e concreti, idonei a consentire un approfondimento ufficioso – di operare ulteriori accertamenti.

2.2. Nel caso di specie, la Corte d’appello ha ampiamente motivato circa le ragioni per le quali ha ritenuto non attendibili le dichiarazione dell’istante, perchè lacunose e contraddittorie, ogni esame restando quindi precluso dalla non deducibilità della violazione di legge e dai non ammissibile sconfinamento nel merito (Cass., 07/12/2017, n. 29404; Cass., 04/08/2017, n. 19547; Cass., 02/08/2016, n. 16056).

3. Con il secondo motivo il ricorrente fa valer la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.

La Corte territoriale avrebbe dovuto valorizzare la circostanza che il ricorrente si fosse allontanato dal (OMISSIS) da quattordici anni al fine di riconoscergli la protezione umanitaria, integrata altresì dai passi livelli di alfabetizzazione e di salute goduti dalla popolazione e dalla integrazione socio-lavorativa del richiedente in territorio italiano.

I giudici di appello avrebbero dovuto accertare che il ritorno ne Paese di origine avrebbe determinato per il richiedente protezione il sacrificio di ineludibili bisogni umani connessi al sostentamento ed al raggiungimento di standards minimi ad una esistenza dignitosa.

3.1. Il motivo è inammissibile perchè, generico, esso non si confronta con la motivazione impugnata nella parte in cui ha denegato protezione muovendo dalla mancata allegazione in fatto di situazioni tutelabili.

La domanda diretta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio, onere destinato ad operare anche ai fini della protezione umanitaria rispetto ad una condizione di grave violazione dei diritti umani (Cass. n. 27336 del 29/10/2018).

L’inattendibilità della narrazione dei fatti che hanno indotto lo straniero a lasciare il proprio Paese svolge un ruolo rilevante, atteso che, ai fini di valutare se il richiedente abbia subito nel paese d’origine una effettiva e significativa compromissione dei diritti fondamentali inviolabili, la situazione oggettiva del Paese d’origine deve essere necessariamente correlata alla condizione personale che ha determinato la ragione della partenza, secondo le allegazioni del richiedente, la cui attendibilità soltanto consente l’attivazione dei poteri officiosi (Cass. n. 4455/2018).

E nella specie, come dianzi detto, il ricorrente è stato ritenuto inattendibile.

3.2. La Corte d’appello ha, poi, ritenuto irrilevante – secondo la giurisprudenza di questa Corte – il percorso di inserimento del richiedente nel tessuto sociale.

Il proposto mezzo si risolve, pertanto, in modo inammissibile, per un verso nella generica esposizione del regime giuridico della misura di protezione in esame e per altro verso nella prospettazione di questioni di merito.

4. Il ricorso, in via conclusiva, va dichiarato inammissibile.

Nulla sulle spese nella mancata costituzione dell’Amministrazione intimata.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 9 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2020

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