Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5564 del 08/03/2018


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Civile Ord. Sez. 1 Num. 5564 Anno 2018
Presidente: AMBROSIO ANNAMARIA
Relatore: FALABELLA MASSIMO

ORDINANZA
sul ricorso 2260/2015 proposto da:
Edil Costruzioni Donadio di Donadio Giacomo, in persona del
titolare della predetta ditta individuale, elettivamente
domiciliata in Roma, Piazzale delle Provincie n.8, presso lo
studio dell’avvocato Chialastri Umberto, rappresentata e difesa
dall’avvocato Piccardi Rodolfo, giusta procura in calce al
ricorso;
– ricorrente contro
Efeso Immobiliare S.r.I., quale incorporante della Profim
Immobiliare s.r.I., in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via G. Avezzana

tolg-

Data pubblicazione: 08/03/2018

n.1, presso lo studio dell’avvocato Manfredini Ornella, che la
rappresenta e difende unitamente agli avvocati Bellandi Elena,
Scripelliti Nino, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –

Fallimento Costruzioni Sant’Ubaldo di Gigli Antonio e C. S.a.s.,
Antonio Gigli, Mario Baldassini e Paolo Baldassini, in persona del
Curatore rag. Maurizio Solaro, elettivamente domiciliato in
Roma, Via Crescenzio n.58, presso lo studio dell’avvocato Del
Bufalo Maria Luisa, rappresentato e difeso dall’avvocato Solaro
Franco, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente avverso la sentenza n. 1785/2014 della CORTE D’APPELLO di
FIRENZE, depositata il 03/11/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
12/10/2017 dal cons. FALABELLA MASSIMO;
lette le conclusioni del P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale SALVATO LUIGI che ha chiesto che ha Corte rigetti il
ricorso.

FATTI DI CAUSA
1. — Il Fallimento Costruzioni Sant’Ubaldo di Gigli Antonio
& C. s.a.s. e, in estensione, del socio accomandatario Gigli
Antonio e dei soci accomandanti Baldassini Antonio e Baldassini
Paolo domandava dichiararsi l’inefficacia ex art. 67, comma 1,
n. 1, I. fall. (r.d. n. 267/1942) della vendita, da parte dei falliti
soci accomandanti, di una quota di un complesso immobiliare in
favore di Donadio Giacomo, il quale si era reso cessionario del
2

nonchè contro

contratto preliminare di vendita, riferito al detto cespite,
stipulato tra i Baldassini e Profim Immobiliare s.r.I..
Il Tribunale di Firenze respingeva la domanda osservando
che spettava alla curatela attrice, che non vi aveva assolto,

stato di insolvenza della società e della assunzione della
responsabilità illimitata da parte dei soci accomandanti
(assunzione di responsabilità conseguente al compimento di atti
di amministrazione in nome della società ex art. 2320 c.c.).
2.

— La sentenza era impugnata dal Fallimento;

partecipavano al giudizio di gravame Giacomo Donadio e
Immobiliare Efeso s.r.l. (già Profim Immobiliare).
La Corte di appello di Firenze, in parziale riforma della
pronuncia di primo grado, dichiarava inefficace nei confronti del
Fallimento il contratto di compravendita intercorso e per l’effetto
condannava Donadio al pagamento, in favore della curatela,
della somma di C 510.000,00, oltre rivalutazione ed interessi.
3. — Contro la decisione della Corte toscana Donadio ha
proposto una ricorso articolato in sei motivi; resistono con
controricorso il Fallimento di Costruzioni Sant’Ubaldo s.a.s., di
Gigli Antonio, di Baldassini Antonio e di Baldassini Paolo e
Immobiliare Efeso. Hanno depositato memoria Donadio e il
Fallimento. Il pubblico ministero ha rassegnato le proprie
conclusioni scritte.
RAGIONI DELLA DECISIONE

1. — Con il primo motivo è lamentata violazione o falsa
applicazione dell’art. 276 c.p.c. e conseguente nullità della
sentenza impugnata per difetto di costituzione del giudice ex
art. 158 c.p.c.. Deduce il ricorrente che la decisione impugnata
é stata assunta da un collegio non coincidente con quello avanti
al quale si era tenuta l’udienza di precisazione delle conclusioni.
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l’onere della prova della conoscenza, in capo l’acquirente, dello

Il motivo è privo di fondamento.
Dalla intestazione del verbale dell’udienza di precisazione
delle conclusioni del 27 maggio 2014, trascritta nel corpo del
ricorso (pag. 12), non risulta affatto che il consigliere Eugenia Di

al quale fu trattata la causa. Né rileva che il verbale individui, in
totale, il numero di cinque magistrati (in luogo di tre), dal
momento che nel caso in cui all’udienza siano chiamati giudici in
numero superiore a quello stabilito, il collegio, per ciascuna
causa, è formato dal presidente, dal relatore e dal giudice più
anziano (art. 114, comma 4, disp. att. c.p.c., applicabile al
giudizio di appello in forza del richiamo contenuto nell’art. 132
disp. att. c.p.c.). Che il giudice relatore della causa fosse la
dott.ssa Di Falco emerge, poi, dalla nominata verbalizzazione,
da cui si ricava la designazione del nominato magistrato quale
relatore della causa (pag. 14 del ricorso). E’ del tutto evidente,
al contempo, che l’indicazione, nell’intestazione del verbale, di
tre distinti relatori sia dovuto a un banale errore di compilazione
e che, in conseguenza, il dato in questione sia privo di rilevanza.
2. — Il secondo motivo oppone violazione o falsa
applicazione degli artt. 67 I. fall., 116 c.p.c. e 2697 c.c., oltre
che insufficiente e contraddittoria motivazione. Sostiene l’istante
che, contrariamente a quanto affermato dalla Corte di appello,
l’onere della prova quanto alla scientia decoctionis graverebbe
sulla curatela fallimentare; assume, inoltre, che il giudice del
gravame aveva errato nel ritenere che, in ogni caso, vi fossero
sufficienti elementi atti a far presumere la conoscenza, da parte
di esso ricorrente, della qualità di soci illimitatamente
responsabili dei Baldassini, accomandanti della fallita Costruzioni
Sant’Ubaldo s.a.s.. Osserva, in particolare, che non potevano
ritenersi decisivi né la circostanza per cui, in base a una norma
4

Falco, estensore delle sentenza, fosse estranea al collegio aveknti

statutaria, il compimento di alcuni atti necessitasse della firma
congiunta dei soci accomandanti e di quelli accomandatari —
posto che tale disposizione doveva ritenersi radicalmente nulla
—, né il fatto che il bene compravenduto fosse sottoposto ad

Sant’Ubaldo: e ciò in quanto la costituzione della detta garanzia
risulterebbe estranea al divieto posto dall’art. 2320 c.c.. Oppone
altresì il ricorrente che la Corte di merito non avrebbe fatto
corretto uso del ragionamento presuntivo, posto che attraverso
la prova per presunzioni avrebbe dovuto pervenirsi
all’affermazione di una conoscenza effettiva, e non solo
potenziale, da parte del terzo, delle circostanze che rilevavano
sul piano della scientia decoctionis.
Il motivo non merita accoglimento.
La Corte di appello con riferimento al tema oggetto della
censura ha reso una doppia motivazione. Ha affermato che, ai
fini della revocatoria fallimentare di un atto compiuto dal socio
illimitatamente responsabile di una società, il terzo convenuto,
nel caso di atti dispositivi o solutori anormali, ha l’onere di
dimostrare l’esistenza dell’elemento soggettivo
decoctionis)

(inscientia

che, nel caso di specie, andava riferito alla

insolvenza della società e alla qualità, in capo agli
accomandanti, di soci illimitatamente responsabili ex art. 2320
c.c..: ha quindi evidenziato che Donadio non aveva fornito
alcuna prova al riguardo. La stessa Corte distrettuale ha poi
osservato che, in ogni caso, la Curatela aveva fornito elementi
documentali che facevano ritenere provata in capo all’odierno
ricorrente la conoscenza del fatto che i Baldassini erano soci che
amministravano di fatto la società in accomandita semplice
Costruzioni Sant’Ubaldo. Segue, in sentenza, una dettagliata
ricognizione delle risultanze poste all’attenzione dei giudici di
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ipoteche rilasciate dai Baldassini in favore di debiti della società

merito: e in tale contesto, è opportuno notare, le clausole
statutarie che conferivano specifici poteri ai soci accomandanti
vengono in rilievo non già per il loro valore giuridico, ma quale
elemento rappresentativo della circostanza per cui, di fatto, i

Questa seconda

ratio decidendi

non è efficacemente

impugnata e tanto vale ad escludere il fondamento del motivo.
Come è evidente, infatti, il mancato accoglimento delle censure
mosse alla seconda ratio decidendi rende inammissibili, per
sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre
ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto
queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante
l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della
decisione stessa. Il motivo, dunque, risulta inammissibile per
difetto di interesse (per tutte: Cass. 18 aprile 2017, n. 9752;
Cass. 14 febbraio 2012, n. 2108; Cass. 3 novembre 2011, n.
22753; Cass. 24 maggio 2006, n. 12372).
E’ dunque superfluo interrogarsi sull’onere della prova
circa la consapevolezza, in capo al terzo, dell’assunzione della
qualità di socio illimitatamente responsabile della società fallita
da parte dell’accomandante: infatti la Corte di merito ha rilevato
che, in ogni caso, quella prova è stata fornita.
La censura diretta a quest’ultima affermazione, come si è
anticipato, è inidonea a dar ragione della cassazione della
sentenza sul punto.
Non coglie anzitutto nel segno la denunciata violazione o
falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., giacché la doglianza
relativa alla violazione del precetto di cui alla norma in
questione si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia
attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che
ne risulta gravata secondo le regole dettate da quella norma
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predetti soci si erano ingeriti nell’amministrazione della società.

(Cass. 17 giugno 2013, n. 15107; cfr. pure Cass. 12 febbraio
2004, n. 2707) e l’istante, sul punto, nulla deduce: è anzi da
sottolineare come la seconda ratio della decisione è svolta sul
presupposto che spettasse al Fallimento documentare, nei

quanto affermato, quanto alla ripartizione dell’onere probatorio,
dallo stesso odierno ricorrente).
Non è poi conferente la censura vedente sulla prescrizione
di cui all’art.116 c.p.c.. Tale norma ha natura processuale, onde
andrebbe censurata a norma dell’art. 360, n. 4 c.p.c.. Ora,
indipendentemente dal rilievo per cui l’istante non ha fatto
valere un

error in procedendo,

occorre osservare che la

violazione dell’art. 116 c.p.c. (con cui è sancito il principio della
libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale) è
idonea ad integrare il vizio di cui all’art. 360, n. 4, c.p.c., solo
quando il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di
una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti
secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza
probatoria soggetta ad un diverso regime (Cass. 10 giugno
2016, n. 11892): ciò che non è stato affatto dedotto.
Né il ricorrente può dolersi della «insufficiente e
contraddittoria motivazione», giacché tale vizio non è più
contemplato nella versione dell’art. 360, n. 5, risultante dall’art.
54 del d.l. n. 83/2012, n. 83, convertito in I. n. 134/2012. Del
resto, l’istante solleva questioni che attengono al lamentato
cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non
legali da parte del giudice di merito, che non é inquadrabile nel
paradigma dell’art. 360, n. 5, c.p.c. , nel testo vigente (Cass. 10
giugno 2016, n. 11892 cit.; cfr. pure Cass. 16 luglio 2014, n.
16300, secondo cui non è più configurabile il vizio di
contraddittorietà logica della motivazione circa l’idoneità
7

termini indicati, la scientia decoctionis (cioè sul presupposto di

probatoria di una determinata risultanza processuale, non
avendo più autonoma rilevanza il vizio di contraddittorietà della
motivazione; in tema si veda anche Cass. 6 luglio 2015, n.
13928).

procedimento, nonché violazione o falsa applicazione degli artt.
112 e 346 c.p.c.. Viene ivi contestato che per coltivare la
domanda di manleva nei confronti di Efeso in fase di gravame il
ricorrente dovesse proporre appello incidentale.
Il motivo va disatteso.
Certamente, in caso di rigetto della domanda principale e
conseguente omessa pronuncia sulla domanda di garanzia
condizionata all’accoglimento, la devoluzione di quest’ultima al
giudice investito dell’appello sulla domanda principale non
richiede che venga spiegato appello incidentale, essendo
sufficiente la riproposizione della domanda ai sensi dell’art. 346
c.p.c. (Cass. Sez. U. 19 aprile 2016, n. 7700; Cass. 16 gennaio
2017, n. 832). La Corte di merito ha però osservato che
Donadio aveva mancato di riproporre, ai sensi dell’art. 346
c.p.c., la domanda di garanzia. Tale affermazione non è stata
nemmeno impugnata dall’odierno ricorrente (il quale, oltretutto,
ai fini della valida proposizione della censura, avrebbe dovuto
trascrivere il contenuto della propria comparsa di risposta, in
modo da consentire alla Corte di verificare il fondamento
dell’ipotetica doglia nza basata sulla effettiva riproposizione della
domanda di manleva).
4. — Con il quarto motivo viene denunciata la nullità della
sentenza e del procedimento, oltre alla violazione o falsa
applicazione dell’art. 91 c.p.c.. Il ricorrente richiama il principio
per cui le spese processuali del chiamato che non sia risultato
soccombente non possono gravare sul chiamante ove
8

3. — Il terzo mezzo lamenta nullità della sentenza e del

quest’ultimo non sia rimasto, a sua volta, soccombente.
Osserva, inoltre, che la terza chiamata, la quale aveva concluso
per il rigetto della domanda revocatoria, era da considerare
parte vittoriosa, sicché le spese del primo grado del giudizio

Il quinto motivo censura la sentenza impugnata per
omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, oggetto di
discussione tra le parti. Il ricorrente muove dal principio per cui
il chiamante è tenuto a rifondere le spese del chiamato in causa
ove l’azione di garanzia sia ritenuta dal giudice palesemente
infondata, per poi evidenziare come non ricorresse, nella
fattispecie, detta situazione: e ciò fa richiamando alcuni
documenti di cui la Corte di appello avrebbe dovuto tener conto,
e che erano a suo avviso tali da evidenziare il buon fondamento
della domanda di manleva.
I due motivi, che possono esaminarsi congiuntamente,
sono palesemente infondati.
Come correttamente evidenziato dalla Corte di merito, la
Curatela è risultata essere totalmente vittoriosa in ordine alla
pretesa che aveva provocato la chiamata in causa del terzo. Il
principio secondo cui il rimborso delle spese processuali
sostenute dal terzo chiamato in garanzia dal convenuto deve
essere posto a carico dell’attore, ove la chiamata in causa si sia
resa necessaria in relazione alle tesi sostenute dall’attore stesso
e queste siano risultate infondate (così, ad esempio, Cass. 14
maggio 2012, n. 7431), non è quindi applicabile nella presente
fattispecie.
5. — Con il sesto mezzo il ricorrente lamenta l’omesso
esame di fatti decisivi per il giudizio che erano stati oggetto di
discussione tra le parti: richiama, in particolare gli atti e la
condotta tenuta dall’Agenzia delle entrate e dalla
9

avrebbero dovuto porsi a carico della Curatela.

Sovrintendenza dei beni culturali che avevano riguardato il
valore reale dell’immobile compravenduto, oggetto di
consulenza tecnica d’ufficio nel primo grado di giudizio. L’istante
contesta, nella sostanza, la ritenuta sproporzione tra il prezzo di

tale tema del decidere, la Corte di merito avrebbe dovuto
valorizzare il fatto che, con riferimento al bene compravenduto,
l’Agenzia delle entrate non aveva mai operato alcun
accertamento in rettifica dell’imposta di registro, ipotecaria e
catastale, mentre la Sovrintendenza, cui era stato sottoposto il
contratto di trasferimento, non aveva sollevato alcun rilievo
«riconfermando la giustezza del prezzo rispetto al reale valore
dell’immobile».
Il motivo è infondato, in quanto diretto a provocare il
riesame delle risultanze di causa.
Il giudice del gravame ha infatti ricavato il valore
dell’immobile dall’esperita consulenza d’ufficio, reputando
esauriente il giudizio tecnico-estimativo compiuto dall’esperto
nominato dal Tribunale. Ora, la scelta, tra le varie risultanze
probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la
motivazione, involge apprezzamenti di fatto riservati al giudice
del merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento
da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto
ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non
accolti, anche se allegati dalle parti (così, da ultimo, Cass. 4
luglio 2017, n. 16467) e dovendo ritenersi implicitamente
disattesi tutti i rilievi e le circostanze che, sebbene non
menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con
la decisione adottata (Cass. 2 agosto 2016, n. 16056; Cass. 21
luglio 2010, n. 17097).
6. — Il ricorso va dunque respinto, con condanna al
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vendita e il valore del cespite; assume che, con riferimento a

pagamento delle spese della parte ricorrente, siccome
soccombente.
Non deve rendersi statuizione sulle spese relative al
procedimento relativo alla sospensione dell’esecuzione ex art.

Fallimento — in mancanza della notificazione dell’istanza e dei
relativi documenti alla controparte (Cass. 20 ottobre 2015, n.
21198).
P.Q.M.
La Corte
rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento,
in favore del Fallimento, delle spese del giudizio di legittimità,
che liquida in C 7.000,00 per compensi, oltre alle spese
forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in
C 100,00, ed agli accessori di legge; condanna altresì parte
ricorrente al pagamento, in favore di Immobiliare Efeso, delle
spese del giudizio di legittimità, che liquida in C 5.000,00 per
compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per
cento, agli esborsi, liquidati in C 100,00, ed agli accessori di
legge; ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del
2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, dà
atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da
parte del ricorrente prlan-~ dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della la

373 c.p.c. della sentenza impugnata — così come richiesto dal

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