Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5563 del 11/03/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 5563 Anno 2014
Presidente: VIDIRI GUIDO
Relatore: CURZIO PIETRO

SENTENZA
sul ricorso 23087-2010 proposto da:
CEVA AUTOMOTIVE LOGISTICS S.R.L., (già CEVA INBOUND
LOGISTICS S.R.L.), in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata
in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo studio
dell’avvocato FIORILLO LUIGI, rappresentata e difesa
2013
3534

dagli avvocati TOSI PAOLO, UBERTI ANDREA, giusta
delega in atti;
– ricorrente contro

PISTIDDA ANNA MARIA, LA ROCCA ANGELO, BRESCIA

Data pubblicazione: 11/03/2014

SALVATORE,

LO

GIUDICE

SALVATORE,

elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA B. RICASOLI 7, presso lo
studio dell’avvocato MUGGIA ROBERTO, che li
rappresenta e difende unitamente all’avvocato BISACCA
SIMONE, giusta delega in atti;

avverso la sentenza n.

969/2009 della CORTE D’APPELLO

di TORINO, depositata il 29/09/2009 R.G.N. 1510/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del

05/12/2013

dal Consigliere Dott. PIETRO

CURZIO;
udito l’Avvocato GALLEANO SERGIO per delega TOSI
PAOLO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. FRANCESCA CERONI che ha concluso per
l’inammissibilità, in subordine rigetto del ricorso.

– controricorrenti

1. La società ricorrente chiede l’annullamento della sentenza della Corte d’appello
di Torino che, accogliendo il ricorso dei lavoratori, ha ritenuto non provata
l’impossibilità da parte della società di continuare a ricevere la prestazione
lavorativa, su cui si fonda il ricorso alla Cassa integrazione guadagni
straordinaria.
2. La Corte, nel motivare la decisione, ha seguito questo percorso argomentativo:
l’onere della prova della sussistenza del necessario rapporto di causalità tra
riduzione della produzione e ricorso alla Cassa integrazione guadagni è a carico
dell’impresa datrice di lavoro. Nella specie tale prova non è stata fornita ed,
anzi, si è accertato, sulla base dell’analisi della evoluzione del fatturato
aziendale, che tale nesso eziologico non sussiste e che vi è stato un processo di
esternalizzazione delle lavorazioni di competenza dei lavoratori posti in cassa
integrazione, che è in contraddizione con il ricorso al beneficio della
integrazione salariale.
3. La sentenza, esaminando le prospettazioni aziendali in ordine al contenuto delle
mansioni svolte dai lavoratori ricorrenti, ha valutato il quadro probatorio e sulla
base di tale valutazione, con giudizio prettamente di merito, motivato in modo
argomentato e privo di contraddizioni, ha escluso che le mansioni dei lavoratori
in esame, per le loro caratteristiche fattuali quantitative e qualitative, fossero
escluse da tale processo di esternalizzazione.
4. Di qui la conclusione di ritenere non provata l’impossibilità da parte
dell’azienda di continuare a ricevere la prestazione lavorativa di questi specifici
dipendenti.
5. Contro la sentenza l’impresa ricorre articolando un unico motivo. Gli intimati si
sono difesi con controricorso.
6. Il motivo di ricorso concerne il merito della valutazione operata dalla Corte,
censurando la sentenza o per pretesa violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e
dell’art. 2697 c.c. o per vizio di “omessa, insufficiente o contraddittoria
motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio” relativo alle
circostanze che gli importi delle fatture considerati in sentenza si riferiscano a
Ricorso n. 23087.10
Udienza 5 dicembre 2013
Pietro Curzio, este ore
1

,i

Ragioni della decisione

Ricorso n. 23087.10
Udienza 5 dicembre 2013
Pietro Curzio, esfrjore
2

lavorazioni astrattamente eseguibili dai soggetti sospesi o si riferiscano a
quantità di confezioni non irrilevanti rispetto ai volumi normali del
confezionamento manuale.
7. L’art. 115 c.p.c. impone al giudice di porre a fondamento della decisione le
prove proposte dalla parti o dal pm, nonché i fatti non specificamente contestati
dalla parte costituita. Oltre che (secondo comma) nozioni di fatto derivanti dalla
comune esperienza. L’art. 116 c.p.c. sancisce che “il giudice deve valutare le
prove secondo il suo prudente apprezzamento, salvo che la legge disponga
altrimenti”.
8. La Corte di Torino ha formulato e motivato la sua valutazione delle prove entro
l’ambito di valutazione tracciato da queste due norme. Le censure della società
si muovono su di un piano del tutto estraneo al giudizio di cassazione,
richiedendo alla Corte di legittimità una terza valutazione di merito della
controversia. Quanto invece al vizio di motivazione, lo stesso viene prospettato
in modo generico, assumendo che la motivazione sarebbe al tempo stesso
omessa e quindi mancante, contraddittoria ed insufficiente. Ma è impossibile
logicamente sostenere che una motivazione possa presentare congiuntamente
questi diversi ed inconciliabili tipi di vizio. Non può essere contraddittoria o
anche meramente insufficiente una motivazione che si assume mancare. Inoltre,
ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c. il vizio di motivazione deve riguardare un
“fatto” che deve essere “controverso e decisivo”. Questa formula è stata
introdotta dalla riforma del giudizio di cassazione operata con la legge n. 40 del
2009, che ha sostituito il concetto di ‘punto decisivo della controversia” con
quello di ‘fatto controverso e decisivo’.
9. Delimitando in tal modo l’ammissibilità del ricorso per vizio di motivazione, il
legislatore ha mirato ad evitare che il giudizio di cassazione, che è giudizio di
legittimità, venga impropriamente trasformato in un terzo grado di merito.
10.Prendendo atto di tale volontà legislativa questa S.C. ha affermato, con
orientamento da tempo consolidato, il seguente principio di diritto: “Il motivo
di ricorso con il quale – ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c. così come modificato
dall’art. 2 del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 – si denuncia omessa, insufficiente o
contraddittoria motivazione, deve specificamente indicare il ‘fatto’ controverso
o decisivo in relazione al quale la motivazione si assume carente, dovendosi
intendere per ‘fatto’ non una ‘questione’ o un ‘punto’ della sentenza, ma un
fatto vero e proprio e, quindi, un fatto principale, ex art. 2697 c.c., (cioè un fatto

PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la società ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore dei controricorrenti,
liquidandole in 4.000,00 euro per compensi professionali, in 100,00 euro per spese
borsuali, oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 5 dicembre 2013.

costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche un fatto secondario
(cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purché
controverso e decisivo. (ex plurimis, Cass. 29 luglio 2011, n. 16655; Cass.
(ord.) 5 febbraio 2011, n. 2805; v. anche Cass. 31 luglio 2013, n. 18368).
11.Nel caso in esame la censura non concerne un fatto, ma un giudizio in quanto si
chiede alla Corte di cassazione di valutare se le fatture richiamate nella sentenza
si riferiscano a lavorazioni astrattamente eseguibili dai soggetti sospesi e si
riferiscano a quantità di confezioni non irrilevanti rispetto ai volumi normali del
confezionamento manuale.
12. Si tratta di temi prettamente di merito che non possono trovare ingresso nel
giudizio di legittimità, quando, come nel caso in esame, la motivazione della
Corte di merito sia (più che) sufficiente, lineare e sicuramente priva di
contraddizioni logiche.
13.11 ricorso per cassazione, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile perché
si colloca al di fuori dell’ambito del giudizio di legittimità. Le spese devono
essere poste a carico della parte soccombente.

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