Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5563 del 08/03/2010

Cassazione civile sez. II, 08/03/2010, (ud. 22/10/2009, dep. 08/03/2010), n.5563

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ELEFANTE Antonino – Presidente –

Dott. MENSITIERI Alfredo – rel. Consigliere –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

P.G. (OMISSIS), P.A.

(OMISSIS), quali eredi del padre PU.AN.

elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato COMITINI SALVATORE;

– ricorrenti –

contro

A.L. (OMISSIS), A.V.A.

(OMISSIS), A.S.A. (OMISSIS),

quali eredi di A.F., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA APPENNINI 60, presso lo studio dell’avvocato DI ZENZO CARMINE,

che li rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 944/2003 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 08/10/2003;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del

22/10/2009 dal Consigliere Dott. MENSITIERI Alfredo;

udito l’Avvocato DI ZENZO Carmine, difensore dei resistenti che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto, che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato il 28 aprile 1981 A.F. conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Catania, Pu.An. esponendo: Con scrittura privata del (OMISSIS) il convenuto aveva promesso di vendere ad esso attore l’appartamento sito in (OMISSIS), composto di quattro vani ed accessori, unitamente al giardino annesso all’immobile, esteso circa 500 mq..

Il prezzo era stato concordato in settantacinque milioni che il promissario acquirente aveva versato contestualmente alla redazione del preliminare.

L’atto pubblico doveva essere stipulato entro il successivo 31 dicembre.

Senonchè il promittente venditore, benchè reiteratamente sollecitato, non era addivenuto alla conclusione del contratto definitivo.

Chiedeva pertanto l’attore che l’adito Tribunale emettesse sentenza ex art. 2932 c.c. produttiva degli effetti del contratto non concluso.

Il convenuto non si costituiva e il giudizio proseguiva nella sua dichiarata contumacia.

Il Tribunale, con sentenza del 19 settembre 1989, trasferiva dal Pu. all’ A. l’immobile oggetto di causa e condannava il primo al pagamento delle spese processuali. Proposto gravame dal soccombente, ammessa la prova testimoniale dedotta dall’appellante, il processo, interrotto per la dichiarata morte del Pu.

all’udienza del 13 maggio 1993,proseguiva ad istanza dei suoi figli ed eredi P.G. ed A..

Rinunciata dagli appellanti la dedotta prova testimoniale stante la reiterata mancata comparizione del teste per asseriti motivi di salute, la Corte d’appello di Catania, con sentenza dell’8 ottobre 2003, rigettava l’impugnazione. Avverso tale decisione hanno proposto ricorso per Cassazione P.G. e P.A., quali eredi del genitore Pu.An. sulla base di due motivi, illustrati da memoria. Resistono con controricorso L., S.A. e A.V.A., quali eredi di A. F., nelle more deceduto.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso si denunzia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione dell’art. 2744 c.c. in relazione all’art. 1344 c.c. e dell’art. 2041 c.c. nonchè insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.

Osservano i ricorrenti che l’imposta sottoscrizione di un preliminare di vendita unilateralmente predisposto contenente la falsa attestazione di un ipotetico prezzo pagato, evidenziava in maniera lapalissiana l’intento fraudolento dell’ A.F. di conseguire non la funzione di scambio a parità di condizioni, tipica di ogni contratto di compravendita, ma il mezzo per permettergli di ottenere il risultato illecito di raggirare il divieto del patto commissorio, determinando una causa illecita che rendeva applicabile all’intero contratto la sanzione di cui all’art. 1344 c.c..

Nella specie era risultato evidente il deliberato proposito dell’ A. di impadronirsi dell’appartamento e terreno di proprietà del Pu.An. imponendogli la sottoscrizione del preliminare contenente la iugulatoria clausola di ricevimento dell’ipotetico prezzo di L. 75.000.000 con dichiarazione di quietanza e l’obbligo della stipula dell’atto di trasferimento entro il 31 dicembre. I testi indotti avevano invero concordemente e tassativamente escluso che il promissario acquirente avesse versato alcun prezzo e la teste D.N. aveva in particolare ricordato che l’atto costituiva garanzia per la restituzione delle somme portate dalle cambiali. La garanzia era così assunta a causa del contratto e il promesso trasferimento della proprietà trovava giustificazione nel fine della garanzia medesima, costituendo la vendita un negozio mezzo perchè tendente ad eludere il contenuto di una norma, assumendo la figura di un contratto in frode alla legge con ogni relativa conseguenza. La Corte territoriale aveva proceduto alla ricostruzione dei fatti in via meramente induttiva prescindendo del tutto dalle risultanze testimoniali, trascurando di considerare che la funzione di garanzia del simulato preliminare di vendita e la inesistenza del pagamento del prezzo costituivano piena ed esaustiva prova della nullità dell’atto per la rilevata violazione del divieto del patto commissorio sancito dall’art. 2744 c.c.. La circostanza riferita dalla teste D.N. che l’ A., contestualmente alla sottoscrizione, aveva versato la somma di L. 5.000.000, non aveva alcuna rilevanza giuridica sia perchè tale somma integrava il complessivo debito di L. 13.000.000 mutuate al P. e fatto proprio dal padre An., sia perchè, anche a voler ammettere che rappresentassero parte del prezzo, mancava la prova del versamento della altre L. 70.000.000 che avrebbero dovuto costituire il pagamento del fantomatico prezzo di vendita.

La conferma della decisione di prime cure malgrado l’eccepita nullità del fasullo preliminare e la mancata considerazione dei pagamenti eseguiti a deconto del debito, avevano altresì determinato un arricchimento senza causa a danno del Pu. e a vantaggio dell’ A..

Per tali denunziati errori si era in sostanza verificato il simultaneo concorso fra l’arricchimento dell’ A. e la diminuzione patrimoniale del Pu. non collegati da un nesso di causalità data l’assenza di qualsiasi causa giustificatrice dell’arricchimento del primo e del depauperamento del secondo dipendenti dal fatto costitutivo unico del rapporto di mutuo. Il motivo è infondato.

Nello statuire l’infondatezza dell’omologo terzo motivo del gravame di merito con il quale il Pu.An. aveva dedotto la nullità del contratto preliminare perchè celante un patto commissorio avente ad oggetto la garanzia patrimoniale del soddisfacimento di un precedente mutuo stipulato con l’ A. nel 1974 in occasione del matrimonio del figlio G. (l’appellante Pu. aveva esposto in fatto che in occasione del convenuto rinnovo del mutuo, nel 1980, il mutuante A. aveva preteso ed ottenuto il rilascio di n. 60 effetti cambiari per L. 417.000 ciascuno, e così per un complessivo ammontare di L. 25.000.000, effetti per i quali aveva sollecitato anche la sottoscrizione del figlio G., quale coemittente e contestualmente e in aggiunta aveva altresì preteso la sottoscrizione del preliminare in oggetto da parte del mutuatario An., senza che la dichiarazione ivi contenuta di coeva corresponsione del prezzo di L. 75.000.000 corrispondesse alla realtà, con la deducibile conseguenza che la trama lasciava intravedere sia la coesistenza di una (promessa di) vendita con un (rinnovo) di mutuo, sia il concepimento dei due negozi in un rapporto di reciproca interdipendenza, tale da evocare quel patto commissorio vietato dalla legge a norma dell’art. 2744 c.c.) la Corte territoriale ha dato atto che gli elementi di prova versati in causa (solo in sede di appello) a supporto della domanda risultavano insufficienti e contraddittori.

In primo luogo, sul piano documentale, erano state prodotte copie di n. 31 ricevute di vaglia postali, ciascuna di L. 500.000, emessi tra il 1984 e il 1990 a favore di A.F., che secondo l’appellante P. dimostravano la mancata corresponsione del prezzo della compravendita da parte del beneficiario delle anzidette somme, inviate dal P. medesimo a scomputo del mutuo. Ma a parte il fatto che nessuno dei testi escussi vi aveva fatto riferimento, la causa di detti versamenti, ovviamente non evincibile dalle anzidette ricevute, non era affatto nota, donde l’arbitrarietà di una loro imputazione al rimborso dei ratei di mutuo, piuttosto che a qualsivoglia altra funzione, anche non satisfattiva. La circostanza poi che tali ricevute coprivano un così lungo lasso di tempo, a partire da epoca successiva non solo alla notificazione della citazione con cui l’ A. aveva proposto la domanda ex art. 2932 c.c. (1981) ma anche alla data della prima udienza fissata inspiegabilmente a tre anni di distanza, neutralizzava da un canto il “sospetto” che tale singolare “vacatio” fosse in qualche modo collegata all’attesa del compimento dell’effettivo rimborso dell’asserito mutuo ed escludeva logicamente, dall’altro, la dedotta imputazione:non si spiegava infatti perchè mai il mutuatario avrebbe dovuto iniziare a pagare ratei di mutuo proprio una volta attivata l’illegittima garanzia e, ancor più, dopo la pronuncia della impugnata sentenza costitutiva.

In secondo luogo le versioni dei fatti fornite dagli unici due testi escussi apparivano in taluni punti essenziali inconciliabili tra loro ed entrambe in contrasto con quella di parte appellante.

Intanto, sia P.G. (figlio di An. e, al momento della deposizione, capace di testimoniare perchè non ancora parte) sia D.N.P. (suocera di G.) avevano escluso che mutuatario fosse Pu.An. in quanto l’ A. aveva concesso prestiti soltanto al figlio G.: di qui la irrimediabile e decisiva cesura del collegamento tra i due atti (mutuo e preliminare) stipulati l’uno da Pu.An. (il contratto preliminare di compravendita) l’altro da P. G. (il mutuo) – contro la prospettazione dell’appellante, che dalla circostanza della coincidenza, nella sua persona, del soggetto mutuatario e del soggetto promittente venditore, aveva ricavato invece quel rapporto di reciproca interdipendenza dei due negozi tale da rendere manifesto l’intento delle parti di costituire, attraverso la vendita, una garanzia reale per il mutuante.

Poi, dei titoli cambiari che P.G. aveva dichiarato di aver onorato (10 o 12) non vi era traccia in atti perchè, secondo esso teste, l’ A. non glieli aveva restituiti (dato che non era logico, da parte del debitore, pagare delle cambiali senza contestualmente ottenerne la restituzione dal creditore, era legittimo dubitare che tali cambiali fossero state effettivamente emesse).

Infine, mentre il teste P.G. aveva escluso che in occasione della stipula del preliminare l’ A. avesse versato alcunchè, la teste D.N., anch’essa presente, aveva affermato che i due P., padre e figlio, avevano ricevuto in quella circostanza la somma di L. 5.000.000 (parte del prezzo?); mentre, ancora – sempre il P. – aveva riferito che nel 1975, all’epoca del primo prestito di L. 5.000.000 a lui fatto dall’ A., questi aveva preteso il rilascio delle cennate 60 cambiali solo in minima parte onorate, la teste D.N. aveva narrato che queste ultime erano state invece formate e rilasciate nel 1981 e comunque contestualmente alla stipula del preliminare avvenuta il (OMISSIS). In conclusione, ad avviso del giudice d’appello, il contrasto dei fatti, quali emergevano e dalla documentazione offerta e dal racconto fattone dai testi, con la tesi esposta da parte appellante, rendeva nebulosa ed incerta, per non dire poco credibile, tutta la vicenda che avrebbe dovuto sorreggere la ricostruzione fenomenica del patto commissorio vietato di cui si chiedeva la declaratoria di nullità: il che, sul piano processuale, si traduceva in carenza assoluta di prova la quale non poteva che ridondare in danno dello stesso appellante P. che risultava pertanto sul punto soccombente.

Ebbene, come ognun vede, tali considerazioni costituiscono apprezzamento di fatto in ordine alla statuita esclusione nel caso di specie della dedotta violazione del divieto del patto commissorio, non solo completo ed esauriente, ma altresì sorretto da motivazione adeguata, esente da vizi logici e da errori giuridici e pertanto incensurabile nella attuale sede di legittimità.

Con il secondo mezzo si deduce, sempre in riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 violazione e falsa applicazione dell’art. 2744 c.c. e degli artt. 1418 e 1421 c.c.; degli artt. 99 e 112 c.p.c., nonchè motivazione insufficiente, illogica e contraddittoria.

Rilevano i ricorrenti che l’esistenza del patto commissorio comportava, ai sensi dei denunziati artt. 1418 e 1421 c.c., il rilievo d’ufficio della nullità, in qualsiasi stato e grado del giudizio, trattandosi di violazione di norma diretta alla tutela di interesse pubblico generale avente carattere assoluto, la cui elusione comportava la nullità del negozio. Il motivo è privo di fondamento.

Invero la Corte catanese non ha di certo qualificato come nuova la domanda di nullità del preliminare di vendita per violazione del divieto del patto commissorio, tanto che l’ha esaminata ritenendo insussistente la relativa eccezione come esposto nella trattazione del primo motivo di ricorso, tal che inconferente si appalesa la doglianza dei ricorrenti incentrata sul mancato rilievo d’ufficio da parte del giudice d’appello della nullità derivante dal divieto sancito dall’art. 2744 c.c..

Alla stregua delle svolte argomentazioni il proposto ricorso va rigettato con la condanna dei ricorrenti, in solido, alle spese di questo giudizio, liquidate come da dispositivo.

PQM

LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento, in favore di A.L., S.A. e V.A., delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 200,00, oltre ad Euro 1.500,00 per onorari, con gli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 22 ottobre 2009.

Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2010

 

 

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