Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5561 del 11/03/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 5561 Anno 2014
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: BLASUTTO DANIELA

SENTENZA

sul ricorso 19708-2009 proposto da:
ADAMO GIOVANNI C.F. DMAGNN55R21A351V, domiciliato in
ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE
SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso
dall’avvocato CINNIRELLA CARMELO, giusta delega in
atti;
– ricorrente –

2013

contro

3319

C.C.I.A.A.
ARTIGIANATO

CAMERA

DI

ED AGRICOLTURA

COMMERCIO,
DI

INDUSTRIA,

AGRIGENTO

C.F.

80000150849, in persona del legale rappresentante pro

Data pubblicazione: 11/03/2014

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZALE
CLODIO N.1, presso lo studio dell’avvocato VIRGILIO
GAITO, rappresentata e difesa dall’avvocato SEBASTIANO
MAURIZIO TIMINERI, giusta procura speciale notarile in
atti;

avverso la sentenza n. 1670/2008 della CORTE D’APPELLO
di PALERMO, depositata il 01/12/2008 r.g.n. 1744/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 20/11/2013 dal Consigliere Dott. DANIELA
BLASUTTO;
udito l’Avvocato CINNIRELLA CARMELO;
udito l’Avvocato RIBAUDO SEBASTIANO per delega
TIMINERI SEBASTIANO MAURIZIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO che ha concluso per
rigetto del ricorso.

– controricorrente

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Adamo Giovanni, già dipendente dal Ministero dell’Industria con profilo di

dell’ufficio metrico provinciale di Agrigento al quale era addetto, alla Camera di
commercio di Agrigento, veniva inquadrato nella categoria C, posizione
economica C3. Tale inquadramento era contestato dall’Adamo che deduceva di
avere diritto all’inquadramento nella categoria D, posizione economica D1, dal
1.12.2001 e chiedeva la condanna della Camera di Commercio di Agrigento a
corrispondergli le relative differenze retributive.
La domanda, accolta in primo grado, veniva respinta dalla Corte di appello di
Palermo, con sentenza depositata il 10 dicembre 2008.
La Corte territoriale osservava che il d.l. n. 143 del 2001 aveva disposto la
soppressione degli uffici metrici provinciali stabilendo che all’inquadramento
delle unità in servizio presso gli uffici soppressi dovesse provvedersi, nel rispetto
delle posizioni economiche acquisite, mediante trasposizione orizzontale delle
qualifiche funzionali sulla base della tabella di equiparazione prevista dal decreto
del presidente del Consiglio dei Ministri del 6.7.1999. La tabella di equiparazione
prevedeva, con carattere esaustivo, le regole della trasposizione e non richiedeva,
a differenza di quanto ritenuto dal primo giudice, alcuna verifica circa la
corrispondenza tra i contenuti dell’attività di provenienza rispetto a quella di
destinazione. In particolare, la qualifica posseduta dall’Adamo corrispondeva alla
quinta e non alla sesta qualifica funzionale degli enti locali, con conseguente
infondatezza della pretesa di inquadramento in categoria D. Osservava ancora la
Corte di appello che, emanati i decreti del Presidente della Regione Sicilia, che

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Udienza 20 novembre 2013

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operatore amministrativo e poi trasferito, a seguito della soppressione

avevano recepito gli accordi relativi al personale regionale, i dipendenti, anche
delle camere di commercio, erano stati riclassificati in base all’apposita tabella A,
che prevedeva, in corrispondenza alla ex V qualifica con oltre 5 anni di

di istruttore amministrativo, e tale era stato l’inquadramento legittimamente
attribuito all’Adamo. Osservava che, in ogni caso, anche dal confronto tra le
declaratorie dei profili di provenienza e di destinazione era riscontrabile la
coincidenza di contenuto tra i relativi profili professionali. Si trattava in
entrambi i casi di compiti propri della ex carriera esecutiva, che si sostanziano in
attività di supporto a quella istruttoria, propria della ex carriera di concetto.
Per la cassazione di tale sentenza Adamo Giovanni propone ricorso affidato a
quattro motivi. Resiste la Camera di commercio di Agrigento con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con i primi due motivi si denuncia la violazione della normativa che disciplina
il trasferimento (art. 360 n. 3 c.p.c.) e con altri due motivi si censura la sentenza
per vizi di motivazione (art. 360 n. 5 c.p.c.).
Preliminarmente, deve rilevarsi che il ricorso è privo dei requisiti prescritti
dall’art. 366 bis c.p.c..
Tale articolo — inserito nel codice di rito dall’art. 6 d.lgs. n. 40 del 2006 e poi
abrogato dall’art. 47, comma 1, lett. D) legge 18 giugno 2009 n. 69 — ha disposto
che, nei casi previsti dall’art. 360, primo comma, nn. 1,2,3, e 4, l’illustrazione di
ciascun motivo si dove concludere, a pena di inammissibilità, con la
formulazione di un quesito di diritto che consenta alla Corte di enunciare un
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anzianità, l’attribuzione della categoria C, livello economico C3, poi C6, profilo

corrispondente principio di diritto. In ragione del disposto dell’art. 272 d.lgs. ri.
40 del 2006 la nuova disposizione si applica ai ricorsi per cassazione proposti
avverso le sentenze e gli altri provvedimenti pubblicati a decorrere dalla data di

disposizione è stata successivamente abrogata ad opera dell’art. 47 della citata
legge n. 69 del 2009: “Le disposizioni di cui all’art. 47 si applicano alle
controversie nelle quali il provvedimento impugnato con il ricorso per
cassazione è stato pubblicato ovvero, nei casi in cui non sia prevista la
pubblicazione, successivamente alla data di entrata in vigore della presente
legge” (avvenuta il 4 luglio 2009). Quindi l’abrogazione dell’art. 366 bis è
operante per i ricorsi proposti con riferimento ai provvedimenti pubblicati
successivamente alla suddetta data, mentre per quelli proposti antecedentemente
(ma dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 40 del 2006) tale norma è da ritenersi
ancora applicabile.
Nel caso di specie, la sentenza impugnata è stata pubblicata mediante deposito
in cancelleria il 1° dicembre 2008; pertanto, soggiace alla disciplina di cui al d.lgs.
n. 40 del 2006, in quanto pubblicata successivamente al 2 marzo 2006 e
anteriormente al 4 luglio 2009, data di entrata in vigore della legge n. 69 del
2009, che ha abrogato l’art. 366 bis c.p.c..
La ratio dell’art. 366 bis c.p.c. era quella di soddisfare l’esigenza che il ricorso,
espressione dello ius litigatoris, sia orientato anche vero la formulazione del
principio di diritto da parte della Corte nell’esercizio della sua funzione
nomofilattica (ius constitutionis).

La disposizione di cui all’art. 366 bis c.p.c.

assolveva indirettamente anche la funzione di rendere il ricorso di più agevole
comprensione, costringendo la parte a dare chiarezza al ricorso attraverso

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entrata in vigore del decreto medesimo (avvenuta il 2 marzo 2006). La

l’imposizione di una sintesi originale ed autosufficiente della violazione,
funzionalizzata alla formazione immediata e diretta del principio di diritto e
quindi al migliore esercizio della funzione nomofilattica (S.U. n. 19444 del 2009).

perché è denunciato un vizio di motivazione (art. 360, primo comma n. 5,
c.p.c.), la norma esige la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al
quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le
quali la insufficienza della motivazione si rende inidonea a giustificare la
decisione. Ciò significa che la relativa censura deve contenere un momento di
sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti,
in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di
valutazione della sua ammissibilità. Al riguardo, non è sufficiente che tale fatto
sia esposto nel corpo del motivo o che possa comprendersi dalla lettura di
questo, atteso che è indispensabile che sia indicato in una parte del motivo
stesso, che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente dedicata (cfr. ex
plurimis, Cass. 8555/2010, Cass. sez. unite 4908/2010, Cass. 16528/2008, Cass.
8897/2008, Cass. 16002/2007).
Questa Corte ha difatti più volte ribadito che, nel vigore dell’art. 366 bis c.p.c.,
non può ritenersi sufficiente – perché possa dirsi osservato il precetto di tale
disposizione – la circostanza che il quesito di diritto possa implicitamente
desumersi dall’esposizione del motivo di ricorso. Una siffatta interpretazione
della norma positiva si risolverebbe, infatti, nella abrogazione tacita dell’art. 366
bis, secondo cui è invece necessario che una parte specifica del ricorso sia
destinata ad individuare in modo specifico e senza incertezze interpretative la
questione di diritto che la S.C. è chiamata a risolvere nell’esplicazione della

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Nel caso in cui la pronuncia della cassazione non assolve a tale funzione

funzione nomofilattica che la modifica di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006 ha inteso
valorizzare (Cass. 5208/2010, Cass. 20409/2008).
Nel caso in esame, il ricorso è del tutto privo della formulazione dei quesiti di

indicazione dei fatti controversi in relazione ai quali la motivazione si assume
omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza
della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.
Stante il rilievo assorbente delle considerazioni che precedono, il ricorso va
dichiarato inammissibile.
Le spese del presente procedimento, liquidate nella misura indicata in
dispositivo, sono regolate secondo il principio della soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese del presente giudizio, che liquida in € 3.000,00 per compensi e in €
100,00 per esborsi, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, 11 20 novembre 2013
Il Consigliere est.

Il Presidente

diritto con riguardo ai denunciati erro res in indicando ed è privo della chiara

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