Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5561 del 08/03/2010

Cassazione civile sez. lav., 08/03/2010, (ud. 28/01/2010, dep. 08/03/2010), n.5561

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. D’AGOSTINO Giancarlo – Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 11373/2006 proposto da:

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA, in

persona del Ministro in carica, e per il PROF. G.P.,

PRESIDE DELL’ISTITUTO TECNICO (OMISSIS), domiciliati in ROMA, VIA

DEI PORTOGHESI 12, presso l’avvocato AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, che li rappresenta e difende Ope legis;

– ricorrenti –

contro

C.V.;

– intimato –

sul ricorso 13241/2006 proposto da:

C.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CALABRIA

56, presso lo studio dell’avvocato FEROCI MARCO, rappresentato e

difeso dall’avvocato PARRINELLO MARCELLO, giusta mandato a margine

del controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA e PROF.

G.P., PRESIDE DELL’ISTITUTO TECNICO (OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 256/2005 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 04/05/2005 r.g.n. 608/01;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/01/2010 dal Consigliere Dott. ULPIANO MORCAVALLO;

udito l’Avvocato GERARDIS CRISTINA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

principale per quanto di ragione, rigetto dell’incidentale.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. C.V. adiva il Tribunale di Messina domandando, con distinti atti di citazione, la condanna di G.P., preside dell’Istituto nautico (OMISSIS) presso cui egli insegnava, al risarcimento dei danni subiti per la lesione del diritto all’onore e alla reputazione a seguito di alcuni giudizi, a suo dire offensivi, espressi dal suddetto preside in alcuni atti amministrativi di contestazione di un’assenza dal lavoro, nonchè dello stesso G. e del Ministero della Pubblica Istruzione al risarcimento dei danni subiti in conseguenza del provvedimento in data 4 dicembre 1991 – poi dichiarato illegittimo dal Provveditore agli Studi di (OMISSIS) – con cui era stato disposto nei suoi confronti il divieto di esercitare la libera professione di ingegnere. Riuniti i giudizi, il Tribunale con sentenza del 22 marzo 2001 respingeva la domanda proposta contro il G. per i danni all’onore e alla reputazione e accoglieva nei confronti del solo Ministero la domanda per i danni conseguenti al divieto della libera professione, determinati in L. 71.140.000, oltre accessori.

2. Tale decisione veniva confermata dalla Corte d’appello di Messina, che, con sentenza del 4 maggio 2005, respingeva l’appello proposto dal Ministero e quello incidentale proposto dal C.. La Corte di merito rilevava che: a) il divieto di esercizio della libera professione, disposto dal preside secondo una valutazione inadeguata e riconosciuto illegittimo dalla Pubblica Amministrazione nell’esercizio dei suoi poteri di annullamento di propri atti, aveva determinato nei confronti del C. un danno ingiusto, consistito nella diminuzione del volume di affari comprovata dalle dichiarazioni IVA acquisite in giudizio; b) di tali danni non doveva rispondere anche il G., non potendo configurarsi a suo carico il requisito del dolo o della colpa grave richiesto dalla L. n. 3 del 1957, artt. 22 e 23; c) doveva escludersi qualunque illiceità in relazione alle censure mosse dallo stesso G. con gli atti di contestazione lamentati dal C., che le medesime erano state originate dal comportamento di quest’ultimo (che, fra l’altro, non era stato trovato al proprio domicilio per la visita di controllo nè aveva addotto alcuna giustificazione al riguardo) e, peraltro, avevano trovato pieno riscontro nel provvedimento di rigetto del ricorso proposto dal docente contro la sanzione dell’avvertimento scritto comminatagli dal preside.

3. Di questa sentenza il Ministero e il G. domandano la cassazione con due motivi di impugnazione, illustrati con memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Il C. resiste con controricorso e propone ricorso incidentale, affidato anch’esso a due motivi.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I due ricorsi vanno riuniti, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., perchè proposti avverso la stessa sentenza.

2. Nel controricorso del C. viene eccepita la inammissibilità del ricorso principale per difetto dei requisiti di cui all’art. 366 bis c.p.c., ma l’eccezione va disattesa poichè tale norma non è applicabile nella specie ratione temporis, ai sensi della disposizione transitoria di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 27, comma 2, essendo impugnata una sentenza pubblicata il 4 maggio 2005.

3. Il ricorso principale consta di due motivi.

3.1. Il primo motivo denuncia violazione dell’art. 2043 c.c., e dei principi in tema di responsabilità della P.A., nonchè vizio di motivazione. Si lamenta che la Corte di merito abbia erroneamente configurato la responsabilità della P,A. come un effetto automatico dell’annullamento del provvedimento di divieto dell’esercizio della libera professione e, comunque, abbia affermato tale responsabilità contraddicendo la propria valutazione relativa all’assenza di dolo e colpa grave da parte del preside della scuola.

3.2. Il secondo motivo, subordinato, denuncia violazione degli artt. 2043, 2697, 2056 e 1223 c.c., nonchè vizio di motivazione, lamentandosi che la sentenza impugnata abbia ritenuto sussistente il nesso causale – fra il danno dedotto e il provvedimento del preside che aveva inibito al docente l’esercizio dell’attività di ingegnere – sulla base della sola diminuzione del volume di affari nel periodo successivo al provvedimento.

4. Il ricorso incidentale si articola in due motivi.

4.1. Con il primo motivo, denunciandosi violazione del D.P.R. n. 3 del 1957, e dell’art. 2059 c.c., si lamenta che la sentenza impugnata abbia escluso la colpa grave del preside della scuola, in relazione al provvedimento di divieto dell’esercizio della libera professione, senza considerare che tale atto si fondava su mere presupposizioni, erronee e prive di alcun riscontro.

4.2. Con il secondo motivo, denunciandosi vizio di motivazione, si lamenta che la sentenza impugnata, nel respingere la domanda attorea proposta nei confronti del preside in relazione alla lesione dell’onore e della reputazione, non abbia considerato la natura lesiva del comportamento del G. a prescindere dall’uso – nei provvedimenti in questione – di espressioni direttamente offensive.

5. Il primo motivo del ricorso principale è fondato.

L’accoglimento della pretesa risarcitoria nei confronti del Ministero è conseguito, nella sentenza impugnata, all’avvenuta eliminazione, con efficacia ex tunc, del provvedimento del preside di divieto al C. dell’esercizio della libera professione (ritenuto illegittimo e annullato dal Provveditore agli Studi in sede di ricorso gerarchico) e alla configurazione di una colpevole e inadeguata valutazione, da parte del predetto preside, dei comportamenti da lui contestati al docente.

La decisione, sul punto, contrasta con i principi ripetutamente affermati da questa Corte, secondo cui l’imputazione della responsabilità alla Pubblica Amministrazione può discendere dalla adozione ed esecuzione di un atto illegittimo in violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona fede, ma non può avvenire sulla base del mero dato obiettivo della illegittimità dell’azione amministrativa in relazione alla normativa applicabile, ovvero sulla base della valutazione della colpa del funzionario agente riferita ai parametri della negligenza o dell’imperizia (cfr. Cass., sez. un., n. 500 del 1999; Cass. n. 2424 del 2004; n. 13164 del 2005; n. 12282 del 2009).

Nella specie, la sussistenza di una violazione delle anzidette regole, che devono ispirare l’esercizio della funzione amministrativa, è stata esclusa in concreto nella stessa decisione qui impugnata, essendosi accertato che la revoca dell’autorizzazione alla libera professione venne adottata in base a comportamenti del docente, che avevano causato la reazione del preside della scuola intesa a tutelare le esigenze dell’insegnamento e che, fra l’altro, avevano anche comportato l’adozione di provvedimenti disciplinari a carico del C.. Ne consegue che l’imputazione della responsabilità alla P.A. è stata erroneamente configurata.

6. L’accoglimento del primo motivo determina l’assorbimento del secondo, proposto in via subordinata e relativo alla prova del nesso causale fra il provvedimento amministrativo e il danno dedotto.

7. Il primo motivo del ricorso incidentale è infondato.

Nella sentenza impugnata l’esclusione del dolo e della colpa grave in capo al preside della scuola si fonda su una valutazione puntuale dei fatti e dei comportamenti del docente, che avevano determinato “una diversa percezione…sui reali motivi delle assenze”; e tale valutazione viene censurata in modo del tutto generico e senza una adeguata specificazione delle violazioni addebitate.

8. Infondato è anche il secondo motivo del medesimo ricorso.

La valutazione dei giudici di merito riguardo all’assenza di comportamenti illeciti da parte del G. consegue, non già alla inesistenza di espressioni direttamente offensive negli atti in questione, ma all’accertamento di comportamenti del docente che avevano causato “una diversa interpretazione dei fatti” da parte del preside e il suo riferimento “ai doveri di docente e di educatore” e che, comunque, avevano trovato riscontro nel provvedimento ministeriale di conferma della sanzione disciplinare irrogata al C.; le censure mosse da quest’ultimo si rivelano, perciò, del tutto incongrue stante la puntualità e completezza di tale valutazione.

9. In conclusione, va accolto il primo motivo del ricorso principale, assorbito il secondo, e va respinto il ricorso incidentale. La sentenza impugnata deve essere cassata, in relazione al motivo accolto, e, decidendosi la causa nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, deve rigettarsi la domanda del C. anche nei confronti del Ministero.

10. L’esito dei giudizi di merito e la complessità della vicenda inducono a compensare fra tutte le parti le spese dell’intero processo.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, accoglie il primo motivo del ricorso principale, assorbito il secondo, e rigetta il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, rigetta la domanda anche nei confronti del Ministero. Compensa le spese dell’intero processo fra tutte le parti.

Così deciso in Roma, il 28 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2010

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