Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 556 del 15/01/2020

Cassazione civile sez. trib., 15/01/2020, (ud. 06/11/2019, dep. 15/01/2020), n.556

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 596-201 proposto:

R.D., R.M., elettivamente domiciliati ROMA, VIA DEI

DARDANELLI 46, presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO SPINELLA, che

li rappresenta e difende unicamente all’avvocato CINZIA CAPRIOTTI

giusta delega calce;

– ricorrenti –

Contro

COMUNE DI SAN BENEDEITO DEL TRONTO in persona del Sindaco pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA A. RISTORI 9, STUDIO

TIGANI, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO VANNUCCI, che lo

rappresenta e difende giusta delega in calce;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 374/2014 della COMM. TRIB. REG. di ANCONA,

depositata il 18/11/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/11/2019 dal Consigliere Dott. RITA RUSSO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GIACALONE GIOVANNI che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito per i ricorrenti l’Avvocato CAPRIOTTI che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato BONTEMPI per delega

dell’Avvocato VANNUCCI che chiesto il rigetto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.- R.M. e R.D. sono comproprietari di un area in ragione del 50% ciascuno e sono destinatari di avvisi accertamento relativi agli gli anni dal 2002 al 2006 per il recupero differenza di ICI. L’ufficio contesta che nel 2006 i contribuenti hanno alienato il terreno per la somma di Euro 3.950.000 e cioè per un importo superiore a quello da loro dichiarato ai fini ICI.

I contribuenti oppongono gli avvisi di accertamento e contestano: l’inesistenza della notifica degli atti impugnati; la nullità degli avvisi per difetto di motivazione; la prescrizione per l’anno 2002; l’erroneo calcolo della imposta in quanto basato sul contratto di vendita del 4 dicembre 2006 e non sui parametri del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5; deducono inoltre il loro terreno è agricolo e che loro sono imprenditori agricoli e quindi si applicherebbe in ogni caso il trattamento fiscale di cui al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 9.

La CTP accoglie il ricorso dei contribuenti. Il Comune propone appello e la CTR pur ritenendo tuttavia la eccezione di prescrizione opposta dai contribuenti per l’annualità 2002, accoglie quanto al resto l’appello del Comune. La CTR accerta che l’area in questione è sempre stata dichiarata dai contribuenti come area edificabile e tale la considera essendo decaduti i vincoli del piano regolatore. Di conseguenza ritiene corretto il riferimento al valore venale del bene formatosi in regime di libera contrattazione, e osserva che il valore indicato in contratto è corrispondete a quello di una perizia di stima del 2002 utilizzata in un giudizio; rigetta la richiesta di considerare il terreno esente ai sensi del D.Lgs. n. 504 del 1992, artt. 2 e 9, perchè mancano i requisiti indicati dalla legge e nel regolamento del Comune di San Benedetto del Tronto

2.- Avverso la predetta sentenza propongono ricorso per cassazione i contribuenti, affidandosi a cinque motivi. Si costituisce con controricorso il Comune. Con nota del 31.10.2019 viene comunicato e documentato il decesso di entrambi i ricorrenti.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

3.- Preliminarmente si osserva che nel giudizio di legittimità, dominato dall’impulso d’ufficio la morte o la sopravvenuta perdita di capacità della parte non produce l’effetto interruttivo (Cass. 8685/2012; Cass. 17450/2013). Con il primo motivo di ricorso la parte lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 5, e del D.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 59 e 52, in quanto la CTR avrebbe operato una non consentita interpretazione analogica della noma.

Secondo i contribuenti una volta che il Comune ha stabilito il valore venale in comune commercio delle aree fabbricabili (ai sensi del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 59 lett. g)) non potrebbe più mutarlo e esercitare la pretesa imponibile su valori diversi; invece il Comune ha applicato retroattivamente il valore risultante da un atto di vendita.

Il motivo è infondato.

Si deve qui richiamare il consolidato principio al quale questo Collegio intende dare continuità, secondo il quale “In tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), ai fini della determinazione del valore imponibile è necessario che la misura del valore venale in comune commercio sia ricavata in base ai parametri vincolanti e tassativi di cui al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 5, solo laddove si debba pervenire al calcolo del valore venale in comune commercio in mancanza di un valore direttamente riferibile al terreno oggetto di stima, mentre, ove il valore del terreno, e quindi il suo prezzo, sia già assegnato, perchè posto in vendita, il valore fissato, considerato congruo o rettificato con avviso di accertamento divenuto definitivo, ne rappresenta il valore venale in comune commercio” (Cass. 14118/29017; v. anche Cass. 27708/2018; Cass. 10308/2019)

Nel caso di specie la CTR ha ritenuto corretta l’utilizzazione del valore stabilito in regime di libera contrattazione e ha aggiunto che il valore del contratto di vendita del 2006 è sostanzialmente conforme alla perizia del 2002 quindi per tutti gli anni in questione e non solo per il 2006 si può ritenere che il valore utilizzato dal Comune è effettivamente il valore venale in commercio. Si tratta di una corretta applicazione del principio di cui sopra, che resta immune dalle censure mosse dai contribuenti.

4.- Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione degli artt. 1 e 5 statuto contribuente, e dei percetti costituzionali di cui agli artt. 53 e 23. Deduce che il contribuente doveva essere preventivamente avvisato della rivalutazione dei terreni ai sensi della L. n. 448 del 2001, art. 7.

Il motivo è infondato. Non si tratta di una rivalutazione operata ai fini della imposte sui redditi, ma della applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 5, sulla base dei principi come sopra fissati da questa Corte. Del resto i contribuenti erano perfettamente conoscenza del prezzo fissato nell’atto di vendita e nella perizia. La rivalutazione non è stata operata dal Comune, che si è limitato a recepire valori di stima di cui per primi i contribuenti si sono avvalsi e che hanno ritenuto congrui nell’ambito della contrattazione privata.

3.- Con il terzo e quarto motivo di ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 9, della L. n. 99 del 2004, art. 1, comma 1,

Il ricorrente assume di avere dato la piena prova di essere imprenditore agricolo e di trarre almeno il 50% del reddito dalla coltivazione e che il beneficio si estende anche ai comproprietari e quindi anche alla sorella pur se, come rileva la CTR mancherebbe per quest’ultima la prova piena sulla entità del reddito tratto dalla coltivazione dei terreni.

Con il quinto motivo di ricorso si chiede un rinvio pregiudiziale alla CGUE per valutare la compatibilità della L. n. 9 del 1963, art. 11, e del D.Lgs. n. 99 del 2004, art. 1, con i Regolamenti UE n. 1303, 1304, 1305, 1306, 1308/2013 che hanno lo scopo di garantire ed incentivare le attività economiche delle aziende agricole. In particolare, la parte osserva che mentre la normativa italiana distingue tra l’imprenditore agricolo professionale di cui al D.Lgs. n. 99 del 2004 e quello iscritto al registro delle imprese come imprenditore agricolo ai sensi dell’art. 2135 c.c., a livello comunitario non vi sono distinzioni avendo entrambi diritto a pieno titolo ai finanziamenti comunitari essendo l’agricoltura un settore sostenuto a livello Europea.

I motivi, da esaminare congiuntamente stante la stretta connessione, sono infondati.

La CTR, fondandosi anche sull’esame del regolamento comunale, ha escluso, con giudizio di fatto non soggetto a revisione in questa sede, che ricorrano i benefici dell’esenzione ex citato art. 9 per entrambi i ricorrenti e non solo per R.D.: in particolare ha ritenuto che manca la iscrizione negli elenchi INPS (ex SCAU), e ha osservato inoltre che manca la prova della conduzione diretta del fondo, trattandosi di imprenditori agricoli, nonchè – per la sola R.- la riconducibilità del reddito agrario ad una certa quota del reddito complessivo.

Si deve qui ricordare che, ai sensi del combinato disposto del D.Lgs. n. 504 del 1992, artt. 2 e 9, e del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 58, non si considerano edificabili – ai fini previsti dalla normativa in esame – quei terreni che, ancorchè inseriti in PRG come edificabili, sono posseduti e condotti dai soggetti di cui al D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 58, che prevede che si considerano imprenditori agricoli a titolo principale e coltivatori diretti le persone iscritte negli appositi elenchi comunali previsti dalla L. n. 9 del 1963, art. 11, e soggette al corrispondente obbligo di assicurazione per invalidità, vecchiaia e malattia. I requisiti necessari per avere accesso al regime agevolato sono quindi: a) iscrizione agli appositi elenchi; b) assoggettamento agli obblighi assicurativi per invalidità, malattia e vecchiaia; c) possesso e conduzione diretta di terreni agricoli e/o aree edificabili; d) carattere principale di tali attività rispetto ad altre fonti di reddito.

La giurisprudenza di questa Corte, cui il Collegio intende dare continuità, ha fissato taluni principi interpretativi e in particolare: la prova della sussistenza dei presupposti richiesti dalla norma è a carico del contribuente che chiede di avvalersi della agevolazione (cfr. ex plurimis Cass. n. 9143/2010); l’iscrizione di cui al D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 58, in quanto attestante una qualità della persona è idonea a provare la sussistenza del requisito dell’assoggettamento agli obblighi assicurativi; deve ritenersi che chi viene iscritto in quell’elenco svolge normalmente a titolo principale quell’attività (di coltivatore diretto o di imprenditore agricolo) legata all’agricoltura, mentre il requisito relativo alla conduzione diretta dei terreni va provato in via autonoma, potendo ben accadere che un soggetto iscritto nel detto elenco poi non conduca direttamente il fondo per il quale chiede l’agevolazione, la quale, pertanto, non compete; è legittimo il regolamento comunale che pone un quota minima di reddito che si deve ricavare dal fondo (Cass. n. 10284/2019; Cass. 7139/2019; Cass.16794/2017; Cass. n. 19130/2016 Cass. n. 12336/ 2011; Cass. n. 214/ 2005; Cass. n. 9510/ 2008).

Si deve quindi osservare che, alla luce di questi principi, alcuni dei rilievi in fatto esplicitati nella sentenza impugnata sono trancianti: i contribuenti non hanno dato prova della conduzione diretta del fondo e dell’assoggettamento agli obblighi assicurativi per invalidità, malattia e vecchiaia, allegando invece documenti previdenziali riferiti ai lavoratori stagionali. Ciò esclude che possano fruire della agevolazione di cui al citato art. 9. Inconferente, e non pertinente al thema decidendum, oltre che generico, è il richiamo alla normativa UE, e alla pretesa incompatibilità con la L. n. 9 del 1963, art. 11. La iscrizione negli elenchi di cui alla L. n. 9 del 1963, richiamata dal D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 59,8 (elenchi INPS ex SCAU), non viene qui in rilievo quale presupposto per fruire di un contributo, ma è considerato elemento idoneo a provare, unitamente ad altri elementi, che nel terreno di cui si discute il soggetto svolge effettivamente a titolo principale l’attività agricola e quindi può fruire dello specifico trattamento fiscale previsto dalla norma.

Si tratta in definitiva non già di richieste volte a limitare irragionevolmente l’esercizio di una attività produttiva (nella specie quella agricola) e l’accesso alle misure di sostegno finanziario previste per quella attività, ma di dimostrare che si assolvono gli obblighi assicurativi e quindi che quella attività produttiva si svolge realmente, con tutto ciò che essa implica: la conduzione diretta del fondo, il trarne la fonte principale del reddito e l’assolvimento degli obblighi assicurativi.

Ne consegue il rigetto del ricorso.

Le spese seguono la soccombenza dei contribuenti e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti alle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 7.000,00 oltre rimborso spese forfetarie ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, Camera di consiglio, il 6 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2020

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