Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5557 del 06/03/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 06/03/2017, (ud. 24/01/2017, dep.06/03/2017),  n. 5557

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4007-2015 proposto da:

POSTE ITALIANE SPA, (C.F. (OMISSIS)) in persona del Presidente del

Consiglio di Amministrazione e Legale Rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, V.LE MAZZINI 134, presso lo

studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

P.S.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 8542/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 03/02/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 24/01/2017 dal Consigliere Dott. PAOLA GHINOY.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

1. La Corte d’ appello di Roma ha confermato la sentenza del Tribunale di Frosinone che aveva dichiarato l’illegittimità del termine apposto al contratto intercorso tra P.S. e Poste Italiane s.p.a. nel periodo dal 4.10.2002 al 31.12.2002 “per sostenere il livello del servizio di recapito durante la fase di realizzazione dei processi di mobilità tuttora in fase di completamento ai sensi degli Accordi del 17, 18 e 23 ottobre 2001, 11 dicembre 2001 e 11 gennaio, 13 febbraio, 17 aprile, 30 luglio e 18 settembre 2002 che prevedono il riposizionamento su tutto il territorio degli organici della società”.

2. La Corte di merito, nell’affermare che correttamente il Tribunale aveva ritenuto applicabile la disciplina dettata dal D.Lgs. n. 368 del 2001, ha ritenuto che il primo motivo di ricorso fosse inammissibile in quanto incentrato sulla applicazione dell’art. 25 del ccnl del 2001 che non poteva nel caso trovare applicazione, essendo stato il contratto stipulato dopo la scadenza del contratto collettivo del 2001 e senza alcun riferimento a quella disciplina. Inoltre, ha argomentato che le censure formulate non investivano l’ampia motivazione del Tribunale relativamente al mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte della società ed ha poi sottolineato come condivisibilmente il primo giudice avesse ritenuto insussistente la prova che l’assunzione della ricorrente nell’ufficio postale a cui era stata destinata nel periodo in cui aveva lavorato fosse stata determinata da una specifica esigenza di ricollocazione del personale connessa a processi di mobilità, da cui era nata l’esigenza di provvedere all’assunzione. Esclusa poi la denunciata violazione dell’art. 1419 c.c., la Corte territoriale ha accolto il gravame con riguardo alle conseguenze economiche dell’accertata illegittimità del termine e, ritenuto applicabile la L. n. 183 del 2001, art. 32 in parziale riforma della sentenza impugnata, ha condannato la Società al pagamento di un’indennità risarcitoria che ha quantificato in tre mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, con rivalutazione monetaria ed interessi legali dal 31.12.2002 al saldo.

3. Per la cassazione della sentenza ricorre Poste Italiane s.p.a. che articola quattro motivi. P.S. è rimasta intimata.

4. Il Collegio ha autorizzato la redazione della motivazione in forma semplificata.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

1. I primi tre motivi di ricorso non sono fondati.

Va in via generale rammentato che l’apposizione di un termine al contratto di lavoro, consentita dal D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, art. 1, a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, che devono risultare specificate, a pena di inefficacia, in apposito atto scritto, impone al datore di lavoro l’onere di indicate in modo circostanziato e puntuale, al fine di assicurare la trasparenza e la veridicità di tali ragioni, nonchè l’immodificabilità delle stesse nel corso del rapporto, le circostanze che contraddistinguono una particolare attività e che rendono conforme alle esigenze del datore di lavoro, nell’ambito di un determinato contesto aziendale, la prestazione a tempo determinato, sì da rendere evidente la specifica connessione tra la durata solo temporanea della prestazione e le esigenze produttive ed organizzative che la stessa sia chiamata a realizzare e la utilizzazione del lavoratore assunto esclusivamente nell’ambito della specifica ragione indicata ed in stretto collegamento con la stessa.

Spetta al giudice di merito accertare – con valutazione che, se correttamente motivata ed esente da vizi giuridici, resta esente dal sindacato di legittimità – la sussistenza di tali presupposti, valutando ogni elemento, ritualmente acquisito al processo, idoneo a dar riscontro alle ragioni specificamente indicate con atto scritto ai fini dell’assunzione a termine, ivi compresi gli accordi collettivi intervenuti fra le parti sociali e richiamati nel contratto costitutivo del rapporto (v. Cass. 27 aprile 2010, n. 10033, Cass. 27 gennaio 2011, n. 1931).

E’ pertanto errata la tesi della società ricorrente secondo cui sarebbe stato piuttosto onere di controparte provare l’estraneità della sua assunzione rispetto alle esigenze individuate in seno ai singoli contratti (si veda in tal senso Cass. 24/11/2014, n. 24954 e recentemente anche Cass. ord. n. 8319 del 2016).

3. Quanto al denunciato vizio di motivazione (secondo motivo di ricorso) ed ai rilievi relativi alla mancata utilizzazione dei poteri d’ufficio (terzo motivo) va rilevato che il giudice di merito, preliminarmente alla verifica della prova testimoniale assunta in primo grado come riportata nella motivazione della sentenza del Tribunale, ha accertato che la censura di insufficiente ed errata valutazione delle prove era relegata all’intestazione del motivo di appello (il secondo) e non era poi sviluppata nel corpo del motivo che aveva riguardo solo l’ accertata genericità della clausola appositiva del termine.

4. In sostanza, la Corte d’appello, esclusa l’esistenza di una specifica censura, ad abundantiam ha verificato la correttezza della motivazione della sentenza gravata. Ne consegue che le censure contenute nel ricorso per cassazione che investono sotto vari profili l’acquisizione e la valutazione della prova sono inammissibili, sia perchè non censurano specificatamente l’accertata inammissibilità del gravame per tale aspetto, sia perchè pretendono dalla Cassazione un’ inammissibile rivisitazione delle emergenze istruttorie compiutamente valutate dal giudice di merito, cui ne è riservato l’esame.

5. Si aggiunga che nel rito del lavoro, il mancato esercizio da parte del giudice dei poteri ufficiosi ex art. 421 c.p.c., preordinato al superamento di una meccanica applicazione della regola di giudizio fondata sull’onere della prova, non è censurabile con ricorso per cassazione ove la parte non abbia investito lo stesso giudice di una specifica richiesta in tal senso, indicando anche i relativi mezzi istruttori (v. Cass. 12/3/2009, n. 6023).

6. Il quarto motivo è invece fondato.

L’indennità di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, dovuta al lavoratore a titolo di risarcimento del danno per l’illegittima apposizione del termine al rapporto di lavoro, copre l’intero periodo cosiddetto “intermedio”, quello, cioè, che corre dalla scadenza del termine fino alla sentenza che accerta la nullità di esso e dichiara la conversione del rapporto (così come peraltro chiarito con la norma di interpretazione autentica contenuta nella L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 13) sicchè la rivalutazione monetaria e gli interessi legali spettano (solo) dalla data della sentenza che dichiara la conversione (Cass. 17/02/2016 n. 3062, Cass. 10/07/2015 n. 14461). L’impugnata sentenza ha pertanto errato laddove ha fatto decorrere gli accessori dalla scadenza del rapporto a termine.

7. Per tutto quanto sopra considerato, deve essere accolto il quarto motivo di ricorso, rigettati gli altri. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, con la condanna della società Poste Italiane alla corresponsione in favore di P.S. dell’indennità L. n. 183 del 2010, ex art. 32come determinata dalla Corte territoriale, maggiorata di rivalutazione monetaria ed interessi legali a decorrere dalla decisione di conversione del rapporto.

8. Le spese del giudizio di legittimità devono essere compensate tra le parti, considerato che Poste è risultata solo parzialmente vittoriosa nei confronti della controparte, rimasta intimata.

9. Il parziale accoglimento del ricorso determina l’insussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

Accoglie il quarto motivo di ricorso, rigetta gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, condanna Poste italiane s.p.a. al pagamento degli interessi legali e della rivalutazione monetaria sull’indennità risarcitoria, come liquidata, con decorrenza dalla sentenza del Tribunale che ha disposto la conversione del rapporto a tempo indeterminato. Compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 24 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 6 marzo 2017

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