Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5556 del 08/03/2010

Cassazione civile sez. lav., 08/03/2010, (ud. 21/01/2010, dep. 08/03/2010), n.5556

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCIARELLI Guglielmo – Presidente –

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –

Dott. D’AGOSTINO Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 13389-2006 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato TOSI PAOLO, giusta delega a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

S.R.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 786/2005 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 27/04/2005 R.G.N. 224/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/01/2010 dal Consigliere Dott. GIANCARLO D’AGOSTINO;

udito l’Avvocato FIORILLO LUIGI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso al Tribunale di Torino S.R. esponeva di aver intrattenuto con Poste Italiane s.p.a. un contratto di lavoro a tempo determinato dal (OMISSIS) stipulato a norma dell’art. 8 del CCNL 26.11.1994 e dell’accordo integrativo del 25.9.1997 con espresso riferimento a “esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e di rimodulazione degli assetti occupazionali in corso”. Chiedeva al giudice adito di accertare la nullità del termine e di dichiarare l’esistenza tra le parti di un contratto di lavoro a tempo indeterminato dal (OMISSIS).

Poste Italiane s.p.a. si costituiva e resisteva. Il Tribunale respingeva il ricorso.

La Corte di Appello di Torino, con sentenza depositata il 27 aprile 2005, accoglieva l’appello della dipendente, dichiarava nullo il termine apposto al contratto e conseguentemente dichiarava la sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato dal (OMISSIS).

A sostegno della decisione la Corte rilevava che per la legittimità del termine non era sufficiente la prova della ristrutturazione aziendale in atto, essendo onere del datore di lavoro provare anche che a seguito del processo di ristrutturazione erano sorte particolari esigenze tali da legittimare l’apposizione del termine al singolo contratto di lavoro. La Corte riteneva poi di escludere la risoluzione del rapporto per mutuo consenso sul mero presupposto del lungo arco di tempo decorso tra la data di scadenza del rapporto a termine e la costituzione in mora della società, poichè l’inerzia dell’interessata non è di per sè sufficiente ad integrare tale fattispecie risolutoria.

Per la cassazione di tale sentenza Poste Italiane s.p.a. ha proposto ricorso con due motivi ed ha depositato memoria. L’intimata non si è costituita.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso, denunciando violazione della L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 violazione dell’art. 1362 e segg. c.c. e vizi di motivazione la società censura la sentenza impugnata perchè la decisione sarebbe fondata sull’erroneo assunto che la L. n. 56 del 1987, art. 23 non consentirebbe all’autonomia collettiva di costruire fattispecie legittimanti assunzioni a termine collegate a situazioni tipicamente aziendali, quale la ristrutturazione aziendale, che non siano collegate ad occasioni precarie di lavoro ed il cui onere probatorio graverebbe sul datore di lavoro. Sostiene la società che nè il contratto collettivo nè gli accordi integrativi richiedono una siffatta correlazione tra ipotesi astratta di contratto a termine e singola necessità del lavoro temporaneo.

Rileva che la L. n. 57 del 1987, art. 23 contiene una delega piena all’autonomia collettiva in ordine alla individuazione di nuove ipotesi di contratto a termine, scelta non sindacabile nel merito.

Osserva che il datore di lavoro deve ritenersi onerato della sola prova del processo di ristrutturazione prefigurato dall’accordo integrativo del 25.9.1997 non anche del collegamento tra tale processo e la singola assunzione.

Il primo motivo di ricorso è infondato in quanto il dispositivo della sentenza impugnata è conforme al diritto, benchè la motivazione debba essere corretta a norma dell’art. 384 c.p.c..

Questa Corte, in analoghe controversie aventi ad oggetto i contratti di lavoro a termine stipulate da Poste Italiane, ha affermato i seguenti principi.

La L. n. 56 del 1987, art. 23 nel demandare alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati all’individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per L. n. 230 del 1962 (cfr. Sez. Un. 4588/2006).

L’attribuzione alla contrattazione collettiva del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962 discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulla necessità della stipulazione di tali contratti idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori (Cass. n. 14011/2004, n. 21063/2008).

La L. n. 56 del 1987, art. 23 non impone di fissare contrattualmente dei limiti temporali alla facoltà di assumere lavoratori a tempo determinato; comunque, ove le parti nella contrattazione collettiva abbiano fissato un limite temporale alla facoltà di assumere lavoratori a tempo determinato, la sua inosservanza determina l’illegittimità del termine apposto, dovendosi altrimenti ritenere che la clausola contenuta nell’accordo collettivo sia “senza senso”, in violazione del canone ermeneutico di cui all’art. 1367 c.c. (Cass. n. 9259/2008).

E’ corretta e non contrasta con i canoni di ermeneutica contrattuale l’interpretazione dei giudici di merito che, con riferimento all’art. 8 del CCNL 26.11.1994, all’accordo integrativo 25.9.1997 ed agli accordi attuativi stipulati in data 25.9.1997 e in data 16.1.1998, hanno ritenuto che con tali accordi le parti abbiano convenuto di riconoscere la sussistenza fino al 30 aprile 1998 della situazione di “esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e d rimodulazione degli assetti occupazionali in corso”, con la conseguenza che per far fronte alle esigenze derivanti da tale situazione, le Poste potevano procedere nei suddetti limiti temporali ad assunzioni di personale con contratti a termine (Cass. n. 27024/2008, n. 9259/2008, n. 22920/2008 ed altre conformi).

Di conseguenza devono ritenersi validi i contratti a termine stipulati prima del 30 aprile 1998 per far fronte alle eccezionali esigenze di cui sopra, senza che il datore di lavoro debba provare volta per volta il collegamento causale tra la singola assunzione a termine e le esigenze organizzative dell’azienda, mentre devono ritenersi nulli (con tutte le conseguenze di legge) i contratti a termine stipulati dopo tale data, visto il limite temporale alle assunzioni a termine posto dalle parti sociali nei predetti accordi attuativi (cfr. Cass. n. 9259/2008).

Nella specie, essendo stato accertato che il contratto è stato stipulato con decorrenza successiva al 30 aprile 1998, lo stesso deve ritenersi illegittimo in quanto la sua decorrenza era successiva al termine concordato fra le parti con gli accordi attuativi. In questi termini, dunque, il dispositivo della sentenza impugnata è conforme a diritto.

Con il secondo motivo di ricorso, denunciando violazione degli artt. 1372, 1362 e 2697 c.c., violazione dell’art. 115 c.p.c., nonchè insufficiente motivazione, la società censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso la tacita risoluzione del rapporto per mutuo consenso e sostiene che, contrariamente a quanto ritenuto dai giudici di appello, la prolungata inerzia della resistente, valutata unitamente alle altre circostanze dedotte dalla società in primo grado, doveva indurre la Corte a ritenere risolto il rapporto. Il motivo è infondato.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, affinchè possa configurarsi una risoluzione del rapporto di lavoro per mutuo consenso è necessario che sia accertata sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonchè del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà delle parti di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo; la valutazione del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto (Cass. n. 20390/2007, n. 23554/2004).

Nel caso di specie la Corte territoriale ha preso in esame il motivo di ricorso di Poste Italiane e le circostanze di fatto allegate e non ha ravvisato in esse un comportamento delle parti incompatibile con la volontà di mantenere in vita il vincolo contrattuale. Tali valutazioni del giudice di merito, per essere congruamente motivate e prive di vizi logici e contraddizioni, non sono suscettibili di riesame in sede di legittimità.

In conclusione, il ricorso deve essere respinto. Nulla per le spese del giudizi di cassazione, poichè l’intimato non ha svolto attività difensiva.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 21 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2010

 

 

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