Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5554 del 06/03/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 06/03/2017, (ud. 06/12/2016, dep.06/03/2017),  n. 5554

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 8870-2011 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, C.F. (OMISSIS), in

persona del Presidente legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli

Avvocati MAURO RICCI, CLEMENTINA PULLI, SERGIO PREDEN, ANTONELLA

PATTERI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

M.G., C.f. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIALE MAZZINI 145, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE TEPEDINO,

rappresentato e difeso dall’avvocato GIOVANNI LO SASSO, giusta

delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 172/2010 della CORTE D’APPELLO di POTENZA,

depositata il 24/03/2010 R.G.N. 377/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/12/2016 dal Consigliere Dott. FRANCESCA SPENA;

udito l’Avvocato PREDEN SERGIO;

udito l’Avvocato LO SASSO GIOVANNI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ricorso al Tribunale di Melfi M.G. agiva nei confronti dell’INPS e dell’INAIL per l’accertamento del proprio diritto a percepire la pensione di anzianità, come da domanda del 9.11.2004, in ragione della rivalutazione della contribuzione previdenziale accreditata ai sensi della L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8 e per la condanna dell’INPS al pagamento dei ratei di pensione maturati; chiedeva altresì il risarcimento del danno derivatogli dalla mancata erogazione del trattamento pensionistico, attesa la maturazione del diritto sin dal 30.6.2003.

Lamentava che la esposizione ad amianto e la conseguente rivalutazione contributiva non erano state riconosciute dall’INAIL per tutto il periodo dall’anno 1974 all’anno 1980 nonchè dal 1992 al 1994 ma soltanto nel periodo intermedio.

Il giudice del lavoro, con sentenza del 24 aprile 2007 (nr. 303/2007), dichiarato il difetto di legittimazione passiva dell’INAIL, accoglieva nei confronti dell’INPS la domanda di accertamento del diritto alla rivalutazione contributiva; rigettava la domanda di risarcimento del danno per difetto di prova.

La Corte d’appello di Potenza, riuniti gli appelli separatamente proposti dal M. e dall’INPS, con sentenza del 18.2- 24.3.2010 (nr. 172/2010), in parziale accoglimento dell’appello del M., condannava l’INPS al pagamento dei ratei di pensione di anzianità maturati dall’1.12.2004 all’1.4.2008 e delle differenze sul trattamento pensionistico erogato dall’aprile 2008; in parziale accoglimento dell’appello dell’INPS escludeva il diritto al riconoscimento dei benefici L. n. 257 del 1992, ex art. 13, comma 8 per le settimane di cassa integrazione comprese nel periodo 1974-1992. Per quanto in questa sede rileva,la Corte territoriale osservava che la ctu disposta nel secondo grado aveva confermato la esposizione qualificata del lavoratore alle polveri di amianto. Nelle more del giudizio ed a decorrere dall’1 aprile 2008 il M. aveva ottenuto il riconoscimento della pensione di anzianità; il ctu aveva confermato che tenendo conto della rivalutazione dei contributi per il periodo di effettiva ed accertata esposizione ad amianto egli aveva già maturato il requisito pensionistico alla data della domanda amministrativa ed accertato che l’importo della pensione erogato dall’1 aprile 2008 avrebbe dovuto essere determinato nella maggior somma di Euro 1.811,99 (rispetto all’importo liquidato in Euro 1.778,40 mensili).

Il danno derivato dal ritardo nella erogazione del trattamento pensionistico doveva essere risarcito con il pagamento dei ratei di pensione non percepiti. Era irrilevante ai fini della riduzione del danno tanto la percezione fino alla data di riconoscimento della pensione della retribuzione da lavoro dipendente che la imputabilità del mancato riconoscimento del beneficio contributivo alla condotta dell’INAIL.

Di contro non poteva essere liquidato un maggior danno, in quanto il M. non aveva fornito alcuna prova del fatto che la attività lavorativa espletata nonostante il diritto al collocamento in pensione avesse influito negativamente sulle sue condizioni di vita e di salute.

Per la Cassazione della sentenza ricorre l’INPS, articolando cinque motivi. Resiste con controricorso M.G..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo l’INPS ha denunziato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 – nullità della sentenza per violazione degli artt. 414 e 437 c.p.c.. Ha esposto che sin dal ricorso introduttivo del giudizio il M. aveva agito per il risarcimento del danno subito – in conseguenza della non corretta valutazione del periodo di esposizione ad amianto – nel periodo compreso tra la data di rilascio della certificazione dell’INAIL – il 30.6.2003 e la data della domanda di pensione, il 9.11.2004.

La domanda di risarcimento avrebbe dovuto essere respinta, per non essere ipotizzabile alcun danno derivante dall’illegittimo diniego del trattamento pensionistico anteriormente alla presentazione della domanda di pensione.

La Corte d’appello di propria iniziativa aveva, invece, risarcito il danno maturato nel diverso periodo decorrente dalla data della domanda di pensione a quella di effettivo pensionamento, che non era oggetto di allegazione.

Il motivo è infondato.

Come dedotto dallo stesso ente ricorrente – (alla pagina 7 dell’attuale ricorso e come si dirà anche nella trattazione del secondo motivo di ricorso) – il pregiudizio allegato dal M. quale conseguenza della illegittima negazione della possibilità di accesso al trattamento pensionistico consisteva nella necessità di continuare a prestare una attività lavorativa usurante; ove fosse stata correttamente riconosciuta la sua esposizione all’asbesto egli sarebbe stato dispensato dal dovere di “prestare attività lavorativa a tutt’oggi, quando per effetto di tale corretto riconoscimento avrebbe potuto da ben quattro anni godere della vita ed assaporare la serenità di una esistenza lontana da un luogo di lavoro che per anni aveva attentato alla sua salute ed alla sua integrità psico fisica”.

La Corte di merito pertanto non è incorsa nel vizio di ultra petizione denunziato ma ha correttamente interpretato la domanda nel senso che il pregiudizio allegato era quello connesso all’esercizio della attività lavorativa per tutto il periodo in cui il ricorrente assumeva di avere diritto a pensione; a tal fine il giudice dell’appello altrettanto correttamente ha letto ed interpretato l’atto introduttivo della lite, anche nel grado di appello, nel suo complesso.

Il secondo, il terzo ed il quarto motivo, in quanto connessi, devono essere esaminati congiuntamente.

2. Con il secondo motivo l’INPS ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Ha lamentato che la Corte di appello nell’accertare il danno e nel quantificarlo nella misura dei ratei di pensione non percepiti dal mese di dicembre 2004, non aveva esposto le ragioni dell’accoglimento della domanda nè indicato la concreta consistenza e la natura patrimoniale o non patrimoniale del danno risarcito.

Ha dedotto altresì la contraddittorietà della motivazione, evidenziando che il pregiudizio allegato dal ricorrente, consistente nella forzata continuazione di una attività lavorativa usurante, era un danno non – patrimoniale di carattere esistenziale e, come tale, presupponeva la allegazione e la prova del concreto pregiudizio alle proprie abitudini di vita.

Il giudice dell’appello, pur accogliendo la domanda di risarcimento, aveva affermato che il M. non aveva fornito alcuna prova del fatto che la attività lavorativa prestata nonostante il raggiungimento del requisito pensionistico avesse influito negativamente sulle sue condizioni di vita e di salute; tale accertamento avrebbe dovuto coerentemente condurre al rigetto della domanda di risarcimento del danno non patrimoniale.

3. Con il terzo motivo l’Ente ricorrente ha lamentato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 – violazione dell’art. 1223 c.c. nonchè insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui il giudice dell’appello affermava essere irrilevante al fine di ridurre l’ammontare del danno la circostanza che il M. avesse continuato a lavorare, percependo le relative retribuzioni, a seguito del rigetto della domanda di pensione.

Ha esposto che ove l’INPS avesse tempestivamente riconosciuto il diritto al trattamento di pensione il M. non avrebbe percepito le retribuzioni, stante la incompatibilità della pensione con il reddito da lavoro dipendente ai sensi della L. n. 153 del 1969, art. 22 (per la pensione di anzianità) e del D.Lgs. n. 503 del 1992, art. 1, comma 7 (per la pensione di vecchiaia). Un eventuale danno risarcibile poteva residuare, dunque, solo se l’importo del trattamento pensionistico fosse stato superiore a quello della retribuzione, circostanza quest’ultima non allegata nè provata dal M..

4. Con il quarto motivo, proposto in via subordinata, l’INPS ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione della L.10 n. 153 del 1969, art. 22.

Ha esposto che mentre nella motivazione della sentenza si faceva riferimento all’accoglimento di una pretesa risarcitoria, con danno parametrato ai ratei di pensione non percepiti, il dispositivo di condanna era nel senso del pagamento in favore del M. dei ratei di pensione maturati dal dicembre 2004 all’aprile 2008.

La condanna se intesa nel senso del pagamento di un trattamento di pensione di anzianità sarebbe stata emessa in violazione della L. n. 153 del 1969, art. 22 che prevedeva quale condizione del diritto alla pensione di anzianità la cessazione della attività di lavoro dipendente.

Il secondo ed il terzo motivo del ricorso sono fondati sotto il profilo del dedotto vizio di motivazione.

La Corte territoriale si è limitata ad accertare l’inadempimento dell’INPS rispetto al diritto del ricorrente a percepire il trattamento di pensione ed ha quantificato il danno in misura pari ai ratei di pensione non percepiti nel periodo dall’1.12.2004 all’1.4.2008 omettendo di accertare se tale fosse il danno allegato in ricorso e di precisare se il danno riconosciuto fosse di natura patrimoniale o non patrimoniale.

Ove il giudice dell’appello avesse inteso liquidare un danno non patrimoniale la motivazione sarebbe contraddittoria rispetto alla statuizione, del pari contenuta in sentenza, della mancanza di prova del fatto che la attività lavorativa espletata dal M. nonostante il conseguimento del requisito pensionistico avesse influito negativamente sulle sue condizioni di vita e di salute.

Ove il giudice avesse inteso, invece, liquidare un danno patrimoniale, sussisterebbe il vizio di violazione dell’art. 1223 denunziato con il terzo motivo.

La statuizione di irrilevanza ai fini dell’accertamento del danno (patrimoniale) delle retribuzioni da lavoro dipendente percepite dal M. nel periodo di illegittimo diniego del trattamento pensionistico (da dicembre 2004 a marzo 2008) non terrebbe conto, infatti, del regime di incumulabilità del trattamento di pensione con il reddito da lavoro dipendente L. n. 153 del 1969, ex art. 22 (per la pensione di anzianità) ed D.Lgs. n. 503 del 1992, art. 1, comma 7 (per la pensione di vecchiaia).

Dall’accoglimento del secondo e del terzo motivo deriva l’assorbimento del quarto.

5. Con il quinto motivo il ricorrente ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 – nullità della sentenza per violazione degli artt. 414 e 437 c.p.c..

La censura ha ad oggetto il capo di sentenza recante condanna dell’INPS alla riliquidazione della pensione erogata dall’aprile 2008.

L’Ente ha dedotto che tale domanda non era stata formulata nel ricorso introduttivo del giudizio e neppure con il ricorso in appello ma per la prima volta con le note difensive depositate dal M. in data 16.1.2010.

Il motivo è infondato.

Nel ricorso introduttivo della lite il ricorrente aveva formulato domanda di condanna dell’INPS alla erogazione del trattamento pensionistico ed al pagamento dei ratei maturati e maturandi.

Soltanto in epoca successiva alla sentenza di primo grado e dopo il deposito dell’atto di appello l’INPS riconobbe il diritto del M. a percepire il trattamento di pensione.

Nella prima difesa utile il ricorrente provvedeva ad adeguare la proposta domanda di pagamento della pensione alla nuova situazione di fatto, concludendo per la riliquidazione della pensione.

La Corte territoriale nell’accogliere la domanda di riliquidazione della pensione non è pertanto incorsa in violazione delle norme sul divieto di nova in appello giacchè le preclusioni processuali ineriscono unicamente alla proposizione di domande nuove ovvero alla modifica della domanda sotto il profilo della causa petendi o del petitum laddove nella specie sia i fatti costitutivi che il petitum rimanevano sostanzialmente invariati.

La sentenza deve essere conclusivamente cassata in accoglimento del secondo e del terzo motivo e gli atti rinviati ad altro giudice, che si individua nella Corte d’appello di Potenza in diversa composizione, perchè provveda a compiere gli accertamenti di fatto omessi dal giudice del merito, emendando la sentenza dai rilevati vizi di motivazione.

Il giudice del rinvio provvederà anche alla disciplina delle spese del presente grado.

PQM

La Corte accoglie il secondo ed il terzo motivo di ricorso, rigetta il primo ed il quinto, dichiara assorbito il quarto. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia – anche per le spese – alla Corte di appello di Potenza in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 6 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 6 marzo 2017

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