Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5552 del 28/02/2020

Cassazione civile sez. lav., 28/02/2020, (ud. 11/12/2019, dep. 28/02/2020), n.5552

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6614-2014 proposto da:

I.N.A.I.L. ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI

INFORTUNI SUL LAVORO, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE n. 144,

presso lo studio degli avvocati LAURA DAMIANI e DONATELLA MORAGGI,

che lo rappresentano e difendono;

– ricorrente principale –

contro

D.P., domiciliato ex lege in ROMA PIAZZA CAVOUR presso

LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato MIRCO RIZZOGLIO;

– controricorrente ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 1215/2012 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 25/06/2013 R.G.N. 725/2010.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. la Corte d’Appello di Milano, pronunciando sull’appello proposto dall’Inail avverso la sentenza del Tribunale di Monza che aveva condannato l’istituto a corrispondere a D.P. le differenze retributive maturate per lo svolgimento di mansioni superiori dal 12 ottobre 2006 al 18 luglio 2007, ha dichiarato non dovuta la rivalutazione monetaria, confermando per il resto la decisione gravata;

2. la Corte territoriale ha evidenziato che l’appellato, funzionario direttivo dell’ente, aveva retto la sede di (OMISSIS) senza che ricorressero i presupposti legittimanti il ricorso alla reggenza, perchè non era stata data prova dell’indizione della procedura concorsuale per la copertura del posto vacante;

3. il giudice d’appello ha aggiunto che, sebbene non fosse stata formulata alcuna specifica censura avverso il relativo capo della decisione, quest’ultima doveva essere confermata anche nella parte in cui aveva ritenuto che il maggiore trattamento dovuto si ripercuotesse “sull’indennità di buonuscita, sul trattamento di fine servizio e su quello pensionistico, aventi come parametro di riferimento l’ultima retribuzione spettante”;

4. per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso l’Inail sulla base di un unico motivo, al quale D.P. ha resistito con controricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale affidato ad un’unica censura;

5. entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 380 bis 1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. il ricorso principale denuncia, con un unico motivo formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione della L. n. 70 del 1975, art. 13 in relazione al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52 ed assume, in sintesi, che la base di calcolo del trattamento di quiescenza o di fine rapporto spettante ai dipendenti degli enti pubblici del cosiddetto parastato è costituita dallo stipendio tabellare, termine, questo, che ha valenza tecnico giuridica e che va riferito alla qualifica di inquadramento, con la conseguenza che nella sua quantificazione non si può tenere conto dello svolgimento temporaneo di mansioni superiori, in quanto ciò si tradurrebbe nella violazione della disciplina dettata dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52;

2. il controricorrente per resistere al ricorso principale eccepisce la formazione del giudicato interno sul capo della sentenza di primo grado che aveva condannato l’Istituto alla rideterminazione e riliquidazione dell’indennità di buonuscita, rilevando che lo stesso non era stato specificamente censurato con l’atto d’appello, e formula al riguardo anche un motivo di ricorso incidentale, addebitando alla Corte territoriale la violazione dell’art. 2909 c.c., perchè in assenza di uno specifico motivo d’appello nessuna statuizione doveva essere resa in relazione al capo non impugnato;

3. è infondata l’eccezione di tardività del ricorso, formulata dalla difesa del controricorrente e ribadita nella memoria ex art. 380 bis 1 c.p.c.;

3.1. da tempo questa Corte ha affermato che la notifica della sentenza in forma esecutiva, indirizzata alla controparte personalmente, è inidonea a far decorrere il termine breve d’impugnazione nei confronti sia del destinatario che del notificante, poichè è finalizzata unicamente a dare impulso alla procedura esecutiva e non persegue l’obiettivo di portare la sentenza a conoscenza della controparte per il tramite del suo rappresentante processuale, sicchè in tal caso non rileva neppure la circostanza che di fatto la notifica sia stata ricevuta dal difensore, perchè domiciliato presso la parte (Cass. n. 15389/2007);

3.2. sviluppando il richiamato principio in una fattispecie analoga a quella oggetto di causa, si è precisato che in caso di ente rappresentato in giudizio da un avvocato facente parte dell’avvocatura interna, presso la cui sede sia anche stato eletto il domicilio, la notifica ivi compiuta senza indicazione del procuratore domiciliatario è inidonea a fare decorrere il termine breve in quanto, trattandosi di organizzazioni complesse, la sola identità della domiciliazione non assicura che la sentenza giunga a conoscenza della parte per il tramite del suo rappresentante processuale (Cass. n. 14054/2016);

3.3. sulla base di detto orientamento, al quale il Collegio intende dare continuità, l’eccezione deve essere rigettata, perchè non è idonea a far decorrere il termine breve la notifica della sentenza in forma esecutiva indirizzata all’I.N.A.I.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, presso la sede legale di (OMISSIS), essendo priva di rilievo la circostanza che in quel luogo il difensore, non menzionato nella richiesta di notificazione, avesse a sua volta eletto domicilio;

4. parimenti infondata è l’eccezione di giudicato interno, sulla quale si fonda l’unico motivo di ricorso incidentale, da esaminare con priorità perchè prospetta una questione preliminare ed assorbente rispetto a quella dedotta con l’impugnazione principale;

4.1. il giudicato interno può formarsi solo su capi di sentenza autonomi, che cioè risolvano una questione controversa avente una propria individualità ed autonomia, così da integrare astrattamente una decisione del tutto indipendente (cfr. fra le tante in motivazione Cass. n. 24358/2018), autonomia che non si riscontra nella fattispecie perchè la condanna alla “regolarizzazione ed al ricalcolo dell’indennità di buonuscita” con inclusione nella base di calcolo delle differenze retributive maturate per lo svolgimento temporaneo di mansioni dirigenziali, è dipendente dall’accertamento del diritto a percepire le anzidette differenze;

4.2. è, pertanto, applicabile l’orientamento, ormai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, poichè il giudicato interno si determina su una statuizione minima della sentenza, costituita dalla sequenza fatto, norma ed effetto, l’appello motivato con riguardo ad uno soltanto degli elementi di quella statuizione riapre la cognizione sull’intera questione, così espandendo il potere del giudice di riconsiderarla e riqualificarla anche relativamente agli aspetti che, sebbene ad essa coessenziali, non siano stati coinvolti, neppure in via implicita, dal motivo di gravame (Cass. n. 10760/2019; Cass. n. 24783/2018; Cass. n. 12202/2017; Cass. n. 2217/2016);

5. è, invece, fondato il ricorso principale perchè la sentenza impugnata si è posta in contrasto con l’orientamento espresso per i dipendenti degli enti pubblici del c.d. parastato da Cass. n. 16506/2013, poi avallato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 10413/2014 riguardante i dipendenti delle amministrazioni statali, secondo cui nella base di calcolo dell’indennità di buonuscita va incluso lo stipendio relativo alla qualifica di appartenenza e non quello corrisposto per il temporaneo esercizio delle mansioni superiori di dirigente perchè, altrimenti, si realizzerebbe un sostanziale aggiramento del disposto del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52;

5.1. il controricorso non prospetta argomenti che possano indurre a ripensare il richiamato orientamento, ribadito in numerose successive pronunce (cfr. fra le più recenti Cass. nn. 22013, 13431, 7469 del 2019), sicchè la sentenza impugnata deve essere cassata in parte qua e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito ex art. 384 c.p.c., comma 2, con il rigetto della domanda di riliquidazione dell’indennità di buonuscita;

6. le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vanno poste a carico del ricorrente incidentale nella misura indicata in dispositivo;

7. sussistono le condizioni processuali di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater quanto al ricorrente incidentale.

PQM

La Corte accoglie il ricorso principale e rigetta l’incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso ed al motivo accolto e, decidendo nel merito, rigetta l’originaria domanda di riliquidazione dell’indennità di buonuscita. Conferma le ulteriori statuizioni della sentenza impugnata anche in relazione al regolamento delle spese processuali. Condanna il ricorrente incidentale al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5.000,00 per competenze professionali, oltre al rimborso delle spese generali del 15 % ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso incidentale, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 11 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2020

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