Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 555 del 11/01/2017

Cassazione civile, sez. VI, 11/01/2017, (ud. 10/11/2016, dep.11/01/2017),  n. 555

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3616/2016 proposto da:

O.S., elettivamente domiciliato in ROMA, V. TIBULLO 10,

presso lo studio dell’avvocato MARIA VITTORIA PIACENTE,

rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONINA RICCIO, giusta procura

in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTRO DELLA GIUSTIZIA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 331/2015 della CORTE D’APPELLO di

CALTANISSETTA, depositata, il 25/06/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/11/2016 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Con ricorso depositato presso la Corte d’appello di Caltanissetta il 28 aprile 2014 O.S. chiedeva la condanna del Ministero della Giustizia all’equa riparazione per la irragionevole durata di un processo civile introdotto dinanzi al Pretore di Termini Imerese il 22 marzo 1989, conclusosi con la pronuncia della Corte di cassazione n. 15631 del 18/9/2012.

Con decreto del 3/10/2014 il Consigliere delegato della Corte d’Appello di Roma dichiarava il ricorso inammissibile in quanto tardivo, e la statuizione era confermata dalla Corte in composizione collegiale, all’esito dell’opposizione proposta dall’ O., con decreto del 4/6/2015, osservandosi che il processo presupposto si era concluso con la citata sentenza della Corte di Cassazione, sicchè la domanda di equa riparazione andava proposta nei sei mesi da tale termine, non potendosi a tal fine tenere conto del fatto che la decisione fosse stata suscettibile di essere impugnata con ricorso per revocazione ex art. 391 bis c.p.c..

Quanto alla deduzione secondo cui il ricorrente non aveva avuto tempestiva conoscenza del deposito della sentenza a cura della Cancelleria della Corte di Cassazione, tilevava che ex art. 327 c.p.c., il termine per la proposizione delle impugnazioni prescinde dalla notificazione della sentenza, essendo ricollegato al decorso del termine dalla pubblicazione, senza che quindi abbia alcuna rilevanza la regolare comunicazione del provvedimento alle parti a cura del Cancelliere.

Per la cassazione di questo decreto il ricorrente ha proposto ricorso affidato a due motivi.

L’intimato Ministero ha resistito con controricorso.

Con il primo motivo si denunzia la violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 4, nonchè degli artt. 111 e 117 Cost., degli artt. 6 e 35 della Cedu. Infatti, si rileva che la sentenza n. 15631/2012 di questa corte con la quale è stato definito il giudizio presupposto, non era stata comunicata al ricorrente nè ai suoi difensori o al domiciliatario, essendo stata depositata presso la Cancelleria della stessa Corte. Trattasi però di affermazione che contrasta con quanto affermato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione che ha affermato che ai fini della decorrenza del termine di cui all’art. 4 citato occorre che la parte abbia avuto conoscenza del provvedimento che chiuda il processo, dovendosi avere riguardo, come sostenuto dalla giurisprudenza intervenuta in materia di interpretazione delle norme della CEDU, a tale evento ai fini della decorrenza del termine per la proposizione della domanda di equa riparazione.

Con il secondo motivo si denunzia la violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 4, nonchè degli artt. 24, 111 e 117 Cost. e degli artt. 6 e 35 CEDU, nella parte in cui il provvedimento impugnato ha escluso che ai fini della definitività della sentenza della Corte di cassazione debba tenersi conto anche del termine lungo previsto per la proposizione del ricorso per revocazione ex art. 391 bis c.p.c., trascurando il fatto che la nozione di definitività cui è ancorata la decorrenza del termine di cui all’art. 4, presuppone che sia decorso anche il tetniine per la proposizione degli eventuali rimedi che possano portare alla revoca del provvedimento giurisdizionale.

Ad avviso del Collegio il primo motivo è meritevole di accoglimento.

Si ritiene a tal fine di dover assicurare continuità a quanto di recente affermato da Cass. n. 21294/2015 che richiamando il principio, per cui “nel giudizio per l’equa riparazione ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, il giudice italiano, nel caso di applicazione della norma transitoria di cui all’art. 6 della citata Legge del 2001, è tenuto a verificare la sussistenza dei presupposti processuali della domanda e, quindi, anche a controllare la tempestività della presentazione del ricorso alla Corte Europea, dovendo in tale verifica di tempestività attenersi per la individuazione della “data della decisione interna definitiva”, termine “a quo” del previsto periodo semestrale per la proposizione del ricorso alla Corte di Strasburgo, alla definizione data dall’art. 35, par. 1 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali, che contiene un evidente rinvio ai singoli ordinamenti nazionali per la configurazione della “definitività” delle decisioni, ha affermato la necessità di dover guardare alla effettività della conoscenza. Ciò comporta che ove la decisione sia in se definitiva del processo ma non pubblicamente palesata (come nel caso di una sentenza di reiezione del ricorso da parte della cassazione civile), il termine per denunziare dinanzi al giudice sopranazionale la tardività della lite decorra dalla data nella quale alla parte venga comunicato il deposito, non potendosi prescindere dalla interpretazione che la stessa Corte Europea ha offerto della disposizione di cui al citato art. 35, par. 1 della Convenzione, là dove ha fatto invio alla data nella quale la decisione nazionale viene comunicata al difensore della parte”. Tale regola deve poi quindi estendersi anche al fine della verifica del rispetto della L. n. 89 del 2001, art. 4, non potendosi reputare che la diversa regola posta dall’art. 327 c.p.c., ai fini della decorrenza del termine cd. lungo per l’impugnazione dei provvedimenti giurisdizionali, e che fa riferimento unicamente al dato oggettivo della pubblicazione della sentenza, impedisca, al di fuori dei casi espressamente disciplinati dal legislatore, che debba farsi appunto riferimento all’effettiva conoscenza del provvedimento.

Il provvedimento impugnato non si è attenuto al detto principio, avendo infatti affermato l’irrilevanza della dedotta irregolarità dell’avviso di deposito della sentenza della Cassazione, e per l’effetto, in accoglimento del primo motivo, deve essere cassato, con conseguente assorbimento del secondo, e con rinvio della causa alla Corte d’appello di Caltanissetta, in diversa composizione, la quale procederà a nuovo esame della domanda di equa riparazione alla luce del richiamato principio di diritto.

L’accoglimento del primo motivo determina l’assorbimento del secondo motivo di ricorso.

Al giudice di rinvio è demandata altresì la regolamentazione delle spese del giudizio di cassazione.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, ed assorbito il secondo cassa il decreto impugnato, con rinvio alla Corte di Appello di Caltanissetta in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 2, della Corte Suprema di Cassazione, il 10 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 11 gennaio

2017

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